GLORIERI (Gloriero, Glorierio), Alessandro
Nacque probabilmente a Roma, intorno al 1540, da Cesare; non si conosce il nome della madre, una nobile toscana.
Il nonno del G., Jean Grolier, era francese, di una famiglia di origine veronese, e fu tesoriere di Milano, ambasciatore del re di Francia a Roma, e infine tesoriere di Francia. Il padre, Cesare, figlio illegittimo di Jean, era nato a Milano nel 1505. Nel 1526 era con il padre alla corte romana di Clemente VII e sembra che sia stato il pontefice in persona ad aprirgli prospettive di impiego negli uffici curiali. Dopo il 1529 entrò nel collegio degli scutiferi; al più tardi nel 1550 divenne scriptor brevium e due anni dopo secretarius apostolicus. Nel 1556, in una bolla papale, compare per la prima volta la forma latinizzata del suo cognome, Glorierius, da cui derivò qualche anno dopo la forma italiana Gloriero o Glorieri. Nel 1557 entrò nella segreteria epistolare personale creata da Paolo IV, divenendo in breve segretario dei brevi. All'inizio del pontificato di Pio IV, nel 1560, accanto a Trifone Benci, segretario delle cifre, raggiunse i vertici della cancelleria pontificia con la carica di segretario unico per i brevi. Nel 1569, di concerto con gli emissari della corte toscana a Roma, si adoperò per la nomina di Cosimo de' Medici a granduca di Toscana; e fu probabilmente lui a redigere la bolla "Romanus pontifex", del 27 agosto, con la quale Pio V concesse a Cosimo il titolo granducale. Dopo la morte di Pio V la fortuna di Cesare subì un brusco cambiamento. Nel 1584 si trovò coinvolto in uno scandalo finanziario relativo alla manipolazione del testamento di Pio IV, alla quale egli si era prestato per compiacere i cardinali Giovane Morone e Ippolito II d'Este, protettori del duca Iacopo Altemps. Quando, sotto Gregorio XIII, il maneggio emerse, su Cesare si abbatté l'ira del papa e, dopo il sequestro di tutti i suoi beni, aiutato dal cardinale Ferdinando de' Medici, riuscì a malapena a sottrarsi al carcere con la fuga a Firenze, dove il granduca Francesco I gli assicurò asilo e ospitalità. Solo un anno dopo Gregorio XIII morì e il nuovo pontefice Sisto V restituì a Cesare i suoi averi, che erano ingenti. Per gli anni successivi al 1585 non si trovano accenni a una ripresa del suo ufficio di segretario dei brevi. Il suo nome figura come donatore in numerosissime epigrafi in chiese romane: S. Pietro in Vincoli, S. Marcello, S. Cecilia, S. Spirito in Sassia, dove nel 1584 fece erigere la splendida cappella dell'Assunzione della Beata Maria. Morì il 15 giugno 1595 nella sua casa romana, nel rione Parione.
Intrapresi gli studi giuridici, il G. frequentò all'Archiginnasio i corsi di diritto, teologia e filosofia, ottenendo nel 1564, dopo una lunga attività di praticantato avvocatizio, la libera docenza in diritto civile. Contemporaneamente, iniziava la carriera ecclesiastica, nella quale, grazie alla posizione paterna, esordì nel 1567, quando fu ammesso nella Cancelleria pontificia come membro del Collegio degli abbreviatores de parco maiori. L'anno seguente ottenne l'ufficio di referendario e fu quindi addetto all'esame delle suppliche in materia di grazia e giustizia. La buona conduzione dei suoi uffici gli consentì di salire, nel 1578, al rango di corrector litterarum contradictarum.
Il primo periodo dell'attività del G. si può considerare concluso con l'acquisto, possibile grazie al patrimonio paterno, della carica di chierico di Camera, conferitagli il 7 sett. 1581. Nelle nuove vesti, il prelato entrò nell'organo centrale dell'amministrazione pontificia, la Reverenda Camera apostolica, all'interno della quale, ancora durante il pontificato di Gregorio XIII, fu prefetto dell'Annona.
Sulla strada che avrebbe potuto condurre il G. alla porpora si frappose, però, Filippo Guastavillani, figlio della sorella del papa Giacoma Boncompagni, il quale poco dopo l'acquisto della carica di camerlengo (il 14 maggio 1584), manifestò l'intenzione di incamerare alcuni proventi fino allora appannaggio del Collegio dei chierici. Alle pretese del cardinale nipote si oppose il G., dando così occasione al capo della Camera apostolica di colpire, attraverso la famiglia del segretario dei brevi (Cesare, come si è detto era già stato allontanato dal papa), il ben più potente T. Gallio, capo della segreteria di Stato e cardinale domestico del pontefice. Il G. fu privato dell'ufficio di chierico e i beni familiari furono confiscati e venduti all'asta a favore della Camera. Grazie alla protezione di Ippolito d'Este e di Ferdinando de' Medici riuscì a riparare a Firenze.
L'anno successivo, morto Gregorio XIII (10 apr. 1585) e succedutogli Felice Peretti (Sisto V), il G. fu reintegrato nell'ufficio di chierico (21 ottobre). Nello stesso anno egli fu a capo della prefettura dell'Annona, mentre nel 1589 gli fu assegnato il governo di Civitavecchia, ufficio tradizionalmente conferito annualmente ai chierici di Camera, che il G. esercitò solo nominalmente grazie all'attività del luogotenente Mercurio Bruschi.
Alla morte di Marcantonio Bizzoni, rappresentante della corte pontificia nel Viceregno napoletano (1589), Sisto V inviò il G. a Napoli in qualità di nunzio apostolico.
L'istituzione della nunziatura napoletana risaliva a Pio V, il quale nel 1569, proprio nel periodo in cui il Regno perdeva la sua autonomia, ottenne da Filippo II il riconoscimento del titolo di nunzio presso il commissario preposto all'esazione delle gabelle pontificie. Il riconoscimento era anomalo, in quanto la regola prevedeva la nunziatura solo presso principi e re. Tuttavia la nunziatura nel Viceregno si era rivelata indispensabile per tutelare i molti interessi (originati dal vincolo feudale che legava il Regno napoletano al pontefice) che la Chiesa aveva nell'Italia meridionale. La nunziatura napoletana, seppure limitata alla trattazione degli affari minori (quelli di maggiore portata venivano discussi in Spagna, dove il pontefice aveva un più autorevole rappresentante), era quindi un tassello importante nelle relazioni diplomatiche della Santa Sede. La delicatezza di quella funzione venne alla luce quando, durante l'incarico di Giulio Rossini (1585-87), l'esazione delle decime lasciò a tal punto insoddisfatta la Santa Sede, da spingere il pontefice a nominare un apposito commissario nella persona di Giovanni Angelo Egizio. Tuttavia anche l'operato dell'Egizio non fu esente da critiche, tanto che proprio sul finire della nunziatura di Bizzoni il collettore fu destituito e inquisito per cattiva amministrazione.
In questo scenario si inserisce la nunziatura del G., la quale si pose due obiettivi, come egli stesso ebbe a scrivere in una missiva del 6 maggio 1589 indirizzata al segretario di Stato Alessandro Peretti: "l'uno è la conservatione della iurisditione ecclesiastica, l'altro è il servitio della reverenda Camera apostolica per conto delli spogli et altri emolumenti" (Nunziature di Napoli, p. 167).
Nel 1589-91 il G. dovette affrontare il banditismo nel Viceregno, fenomeno rispetto al quale Napoli nutriva sospetti sul coinvolgimento romano, o quanto meno su un'insufficiente collaborazione nella repressione. Il G. dovette operarsi, quindi, per dirimere la delicata questione, cercando nel frattempo di arginare gli effetti negativi della grave carestia di grano che colpì lo Stato della Chiesa.
Allo scadere del mandato il G. fu reintegrato nell'ufficio di chierico e referendario e nel 1593 fu inviato ad Ancona e in Romagna in qualità di commissario per la consueta visita apostolica.
Ritornato a Roma, nel 1594 fu nuovamente prefetto dell'Annona. In questo secondo mandato o in quello del 1596 dovette attirarsi le ire dei Farnese, che si vedevano minacciati nel commercio sui mercati esteri del grano coltivato nei loro possedimenti. L'intervento papale costrinse il G. a recedere dalle sue posizioni. L'episodio non gli precluse, tuttavia, l'accesso, nel 1595, alla revisione dei conti camerali in qualità di presidente.
La carriera del G. può dirsi conclusa nel 1596, quando si ritrovò a capo della presidenza della Zecca e di nuovo dell'Annona.
Il G. morì a Roma il 15 ag. 1597, dopo aver dilapidato il patrimonio familiare, lasciando vacante l'ufficio di protonotaro e di segretario apostolico.
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