VOLTA, Alessandro Giuseppe Antonio Anastasio
– Nacque a Como il 18 febbraio 1745, da Filippo Maria e da Maddalena Inzaghi.
La famiglia Volta apparteneva alla nobiltà locale di Como e poteva perciò far sedere decurioni nel consiglio cittadino. Alla morte dell’unico zio rimasto laico per continuare la discendenza, il padre, Filippo Maria, gesuita per undici anni, ebbe dispensa per lasciare la religione e sposarsi. Degli altri tre zii religiosi, uno, Giuseppe Maria, fu domenicano, maestro di teologia, inquisitore di Como e diocesi (Longatti, 1999, p. 362), e gli altri due, Alessandro Francesco e Antonio Maria, furono preti del clero secolare, con incarichi nella cattedrale di Como (rispettivamente canonico e arcidiacono). Anche la madre di Volta era di ascendenza nobile. Volta fu l’unico continuatore della discendenza maschile e i fratelli seguirono le orme religiose degli zii, sostituendoli tra l’altro nei due incarichi della cattedrale di Como: Giuseppe Alessandro (domenicano), Giovanni Battista (canonico), Luigi Stanislao Maria (arcidiacono). Una sorella o forse due furono religiose (p. 361). La sorella più giovane, Chiara, sposò il conte Lodovico Reina.
Preziose notizie sui primi anni di Volta furono riferite nel 1806 da Giulio Cesare Gattoni (Epistolario di Alessandro Volta, da ora in poi VE, I, 1949, pp. 1-5), in gioventù compagno di studi e amico. Rimasto orfano di padre, il piccolo Volta andò ad abitare con la madre e tre sorelle nella casa dello zio don Alessandro. Gli altri tre fratelli furono presi in custodia da don Antonio. Volta fu «educato tra le patrie mura» (p. 2), facendo plausibilmente i primi studi in famiglia.
Non comprovata appare l’ipotesi (Longatti, 1999, p. 353) che, come il fratello Luigi, li abbia svolti nel Collegio Calchi di Milano.
Proseguì, a partire dall’anno scolastico 1757-58, nel collegio dei gesuiti di Como, svolgendovi prima un triennio di studi umanistico-retorici e poi un anno di filosofia sotto la guida di Girolamo Bonesi, gesuita, probabile iniziale istigatore della vocazione religiosa che a un certo punto egli manifestò per l’ordine ignaziano (VE, I, cit., pp. 2 s.). La famiglia, contraria, gli fece seguire il secondo anno di filosofia in uno dei seminari cittadini, plausibilmente quello vescovile di S. Caterina (Longatti, 1999, pp. 353 s). Rifiutando gli studi legali caldeggiati dai familiari, iniziò «nell’anno diciasettesimo [sic] di sua età a meditar profondamente le opere del P[adre] Beccaria sulla elettricità naturale, ed artificiale, l’opera di Nollet, ed altre» (VE, I, cit., p. 4). Questa fondamentale svolta, collocabile intorno al secondo anno filosofico, l’ultimo del suo percorso scolastico regolare, avviò una fase di intenso lavoro scientifico.
Un primo risultato, ottenuto forse entro la prima parte del 1763, fu un poemetto scientifico latino (Aggiunte alle opere e all’epistolario di Alessandro Volta, 1966, pp. 119-135). Ricollegabile alla ricca tradizione di poesia scientifica didascalica latina coltivata anche dai gesuiti (Y.A. Haskell, Loyola’s bees. Ideology and industry in jesuit latin didactic poetry, Oxford 2003), la composizione affronta diversi temi chimico-fisici – polvere da sparo, oro fulminante, zolfo, combustione, calore, sostanze aeriformi, fuochi fatui –, mostrando debiti verso il meccanicismo chimico di Nicolas Lémery e verso la fisica di Jean-Antoine Nollet (Fregonese, 2013, p. 410). Significativamente, tematiche analoghe sarebbero riemerse nel secondo filone di ricerche – proprietà chimiche e fisiche delle sostanze aeriformi, combustione, calore – che nella carriera Volta sviluppò accanto al filone elettrico.
Lo studio dell’elettricità prese tuttavia il sopravvento e, già nel 1763, egli entrò in corrispondenza scientifica diretta con Nollet e Giambattista Beccaria (VE, I, cit., pp. 33 s.). Il primo era propugnatore di una teoria elettrica che si rifaceva al vecchio meccanicismo di stampo cartesiano, mentre il secondo, con il Dell’elettricismo naturale e artificiale (1753), si era proposto come araldo italiano della nuova teoria elettrica di Benjamin Franklin, di derivazione newtoniana. Prendendo le distanze dal meccanicismo elettrico di Nollet, ma anche dalla particolare rielaborazione dell’elettricità frankliniana presentata da Beccaria, Volta propose di basare l’elettricità sulle «forze non meccaniche» (vires immechanicas) della filosofia naturale newtoniana (Le opere di Alessandro Volta, da ora in poi VO, III, 1926, p. 25). Diede forma a tale idea nel 1769, nella memoria latina De vi attractiva ignis electrici (ibid., pp. 21-52), dedicata a Beccaria, ma intesa in realtà a contrapporgli un più coerente sviluppo della teoria frankliniana.
Volta vi afferma due principi fisici fondamentali: 1. esiste un’unica forza elettrica di tipo attrattivo, agente tra la materia e il «fuoco elettrico» che tutti i corpi naturalmente contengono; 2. il fuoco elettrico si comporta come un «fluido fortemente elastico» (fluidum valde elasticum; ibid., pp. 25 s.). Su queste basi, tratta sistematicamente l’elettricità suddividendola in cinque differenti aree: 1. attrazioni e repulsioni elettriche; 2. elettricità per strofinio; 3. bottiglia di Leida; 4. «atmosfere elettriche»; 5. «elettricità vindice», coincidenti in pratica con i capitoli dell’«elettricità artificiale» già studiati da Beccaria.
Nel 1771 aggiunse un ulteriore capitolo affrontando le complesse proprietà di conduzione e isolamento elettrico dei materiali in una nuova memoria latina, Novus ac simplicissimus electricorum tentaminum apparatus (ibid., pp. 53-76), dedicata a Lazzaro Spallanzani. Le due pubblicazioni non sollevarono il dibattito, soprattutto teorico, che Volta evidentemente sollecitava. Con Beccaria il rapporto si interruppe; con Spallanzani, Paolo Frisi e Marsilio Landriani, neppure si avviò.
Il patrimonio concettuale e pratico costruito in questa intensissima fase giovanile sarebbe rimasto tuttavia un bagaglio fondamentale lungo tutto il percorso elettrico di Volta. Vi attinse per affrontare nuovi problemi, per risolvere questioni particolari considerate interessanti dagli studiosi con cui interagiva, per realizzare nuovi strumenti elettrici (Fregonese, 2002, pp. 40-51, 84-119). Il suo impegno non passò tuttavia inosservato ed egli poté presto avviare una lunga carriera pubblica e scientifica, che si sarebbe snodata lungo l’età austriaca (1774-96), il periodo napoleonico (1796-1814) e la Restaurazione (1814-19). Nel 1774 fu nominato ‘reggente’ delle pubbliche scuole di Como, in fase di costituzione dopo il vuoto educativo causato anche in Lombardia dalla soppressione dei gesuiti (1773). L’incarico gli permise di contribuire attivamente al generale rinnovamento già avviato dalle riforme teresiane.
Verso il 1774 iniziò a concentrarsi sulla chimica delle «arie», settore scientifico di punta e centrale in particolare nell’elaborazione della nuova chimica antiflogistica che Antoine-Laurent de Lavoisier stava avviando. Si ispirò inizialmente alla chimica flogistica di Joseph Priestley e in realtà rimase a lungo legato a concezioni di tipo flogistico. Solo nel 1798 avrebbe riconosciuto a Lavoisier il merito di aver «fissato la verità» (Abbri, 2000, p. 10). Nel giugno del 1775, in una lettera diretta a Priestley (VO, III, cit., pp. 93-108), annunciò l’invenzione dell’«elettroforo perpetuo» presentandolo come prova della propria interpretazione dell’elettricità vindice. A novembre, mantenendo l’incarico di reggente, ebbe anche la cattedra di fisica sperimentale nelle scuole pubbliche di Como.
Verso la fine del 1776 lo studio delle arie lo portò a scoprire l’«aria infiammabile nativa delle paludi» (metano); dava conto delle sue ricerche nel 1777, in sette lettere dirette al padre somasco Carlo Giuseppe Campi (VO, VI, 1928, pp. 15-102), raccolte in un volumetto presto tradotto in tedesco e francese. Lo studio si sviluppava in varie direzioni riprendendo il tema generale della combustione e considerando, tra le altre cose, l’idea di un «moschetto a aria infiammabile» e la possibilità di usare la scintilla elettrica per accendere le miscele gassose infiammabili. Nello stesso anno, in tre lettere dirette al marchese Francesco Castelli (ibid., pp. 121-150), descrisse il preannunciato moschetto e una «pistola elettrico-flogopneumatica». Riconosciuta però l’inferiorità bellica delle esplosioni pneumatiche rispetto alla polvere pirica, passò a una brillante riconversione filosofica del sistema, adoperato per stabilire una nuova «eudiometria» (misura della bontà/respirabilità dell’aria atmosferica) sfruttando l’infiammazione elettrica dell’aria atmosferica mescolata con «aria metallica» (idrogeno). Recentemente introdotta da Priestley, l’eudiometria in uso si basava invece sulla reazione spontanea, in presenza di acqua, dell’aria atmosferica mescolata con «aria nitrosa» (ossido di azoto). In due lettere dirette tra il 1777 e il 1778 allo stesso Priestley, descrisse il suo nuovo metodo eudiometrico sottolineando l’importanza di ottenere misure quantitative e strumenti «fra loro comparabili» e «sensibili a sommo grado» (ibid., pp. 208, 212). Questi pronunciamenti sono rivelatori della sua convinta adesione e del suo contributo allo «spirito quantificatore» della scienza settecentesca (Heilbron, 2000).
Sussidiato dal governo, nel 1777 intraprese il primo di diversi «viaggi letterari», recandosi in Svizzera, Alsazia, Savoia e incontrando, tra gli altri, Voltaire e il fisiologo Albrecht von Haller. I viaggi e il cosmopolitismo scientifico continuarono a svolgere un ruolo molto importante nella sua carriera scientifica. Nel 1778 diede nuovi contributi all’elettricità sviluppando temi discussi a Ginevra con Horace-Bénédict de Saussure. Nella trattazione, dedicata alla «capacità» elettrica dei corpi conduttori (VO, III, cit., pp. 199-229), utilizzava anche altre due nozioni centrali, riconducibili entrambe a concetti precedentemente elaborati: la «tensione» elettrica, ricollegabile alla sua concezione elastica del fluido elettrico, e le «atmosfere elettriche», adottate sin dal 1769 per spiegare le azioni elettriche reciproche tra i corpi.
Nel novembre del 1778 fu spostato sulla cattedra di fisica sperimentale dell’Università di Pavia, l’istituzione centrale del rinnovamento culturale asburgico. L’insegnamento si incardinava nella ‘facoltà di filosofia’, da poco costituita per rinnovare il vecchio curriculum delle arti (Ferraresi - Fregonese, 2015a). Sulla cattedra di fisica generale lo affiancava Carlo Barletti, precedente titolare dell’insegnamento unificato della fisica. Volta si adoperò da subito per un efficace ammodernamento del gabinetto di fisica universitario che, in più tappe, divenne uno dei più importanti d’Europa (Bellodi - Brenni, 2002; Ferraresi, 2002). Nel 1780 intraprese un nuovo viaggio verso la Toscana, ricco di incontri, soprattutto a Bologna e Firenze, con una sosta a Pietramala per studiare i fuochi dei «terreni ardenti».
Partendo da apparenti paradossi segnalatigli da uno studioso dilettante, tra il 1780 e il 1782 realizzò in varie configurazioni il «condensatore» o «microelettroscopio» (VO, III, cit., p. 272), strumento che rendeva sensibili le elettrizzazioni troppo deboli per essere rivelate con i dispositivi disponibili. Nella spiegazione del funzionamento usava congiuntamente la capacità, la tensione, le atmosfere elettriche e le complesse proprietà elettriche dei vari contatti tra materiali isolanti e conduttori con cui aveva realizzato lo strumento (Fregonese, 2002, pp. 97-101).
Tra il 1781 e il 1782 fece un terzo lungo viaggio in Savoia, Svizzera, Germania, Belgio, Olanda, Francia, Inghilterra. A Parigi, nella primavera del 1782, sperimentò con il condensatore insieme a Pierre-Simon de Laplace e Lavoisier ottenendo segni di elettrizzazione dall’evaporazione dell’acqua, dalla combustione, dalle effervescenze chimiche. Tra il 1783 e il 1784 fornì scritti per la traduzione italiana del Dictionnaire de chymie di Pierre-Joseph Macquer (Dizionario di chimica del sig. Pietro Giuseppe Macquer [...] tradotto dal francese, e corredato di note, e di nuovi articoli da Giovanni Antonio Scopoli..., I-XI, Pavia 1783-1784), di impostazione flogistica. Sono sue le voci Calore (VO, VII, 1929, pp. 3-59), Eudiometro (ibid., pp. 61-81), Vapore (ibid., pp. 83-93) e note per voci dedicate a diverse arie (ibid., VI, cit., pp. 347-436, VII, cit., pp. 95-105).
Tra luglio e novembre del 1784, in compagnia del collega e amico Antonio Scarpa, viaggiò ancora, questa volta in Austria e negli Stati tedeschi. A Vienna omaggiò l’imperatore Giuseppe II, a Berlino incontrò il celebre Joseph-Louis Lagrange, a Gottinga si trattenne con Georg Christoph Lichtenberg. Rientrato a Pavia, fu rettore per l’anno accademico 1785-86 e continuò a sviluppare le aree predilette dell’elettricità e della pneumatica. Tra il 1787 e il 1790, in una serie di lunghe lettere sulla «meteorologia elettrica» indirizzate a Lichtenberg (VO, V, 1928, pp. 29-187, 239-307), affrontò finalmente anche l’elettricità naturale, preoccupandosi di consolidare preliminarmente le basi quantitative dell’elettricità artificiale. Presentò infatti una propria «elettrometria» che si proponeva di dare risultati coerenti e «unissoni» (ibid., p. 46), cioè mutuamente comparabili tra tutti i laboratori. Scelta la tensione elettrica come grandezza da misurare, le procedure prevedevano di realizzare una bilancia elettrostatica riproducibile per fissare «un grado fisso e invariabile» di tensione (ibid., p. 55). Serviva poi un’adeguata serie di elettrometri, tra i quali i suoi nuovi elettrometri a pagliuzze, caratterizzati dalla notevole proprietà di rispondere linearmente al valore della tensione. Con questi risultati, l’elettricità voltiana, artificiale e naturale, maturò lungo una linea propria, non riducibile a quelle che Franz Aepinus e Henry Cavendish percorsero con i loro differenti tentativi di sviluppare la teoria elettrica di Franklin (Fregonese, 2002, pp. 102-119).
Nel 1789 si innamorò della cantante lirica romana Marianna Paris, che intendeva sposare. La famiglia e le autorità giudicarono sconveniente il progetto e dovette così, verso l’inizio del 1792, rassegnarsi alla dolorosa rinuncia (Mazzarello, 2020). Il 22 settembre 1794 sposò Teresa Peregrini, appartenente a una famiglia della nobiltà locale comasca, da cui ebbe tre figli, Giovanni, Flaminio e Luigi, il secondo dei quali morì diciassettenne.
La scelta e la capacità di procedere con metodi quantitativi e misurazioni precise gli permisero di dare altri significativi contributi alla fisica dello stato aeriforme. Nel 1790 diede veste finale alla sua nuova eudiometria quantitativa ad aria infiammabile (VO, VII, cit., pp. 173-213). Nel 1793 determinò, anticipando risultati ottenuti più in generale per i gas da Joseph-Louis Gay-Lussac, la legge della «uniforme dilatazione dell’aria per ogni grado di calore» (ibid., pp. 345-375). Tra il 1795 e il 1796 stabilì risultati per la tensione del vapore acqueo che sono stati considerati anticipatori di quelli ricavati da John Dalton (ibid., pp. 437-452).
Complessi intrecci tra anatomia, fisiologia, medicina e fisica caratterizzarono il dibattito sull’elettricità animale innescato dal De viribus electricitatis in motu musculari (1792) di Luigi Galvani (Bernardi, 1992). Introducendo una novità, Galvani proponeva un’analogia fisica tra la coscia di una rana e la bottiglia di Leida: la contrazione muscolare dipendeva interamente da una specifica elettricità animale che, come nella bottiglia, si scarica tra il nervo crurale e i muscoli della coscia quando le due parti sono messe in comunicazione mediante un arco metallico. Volta entrò nell’arena nel marzo del 1792, muovendosi rapidamente su molti livelli (VO, I, 1918, pp. 2-7, 13-40, 41-74). Volle innanzi tutto estendere gli esperimenti galvaniani adottando anche metodi quantitativi. Si concentrò sull’analogia con la bottiglia di Leida, trovando varie discrepanze, tra cui la maggior efficacia, segnalata dallo stesso Galvani, degli archi bimetallici rispetto a quelli monometallici nel suscitare la contrazione muscolare. Riprendendo nozioni riconducibili alla fisiologia di Haller, propose allora una spiegazione alternativa: l’elettricità artificiale, e per analogia quella animale, si limita a stimolare l’«azione nervosa» propria dei nervi e solo in seconda battuta questa innesca l’«irritabilità» muscolare da cui la contrazione propriamente dipende (Fregonese, 1999, pp. 82 s.). Sfruttando esperimenti eseguiti con archi metallici applicati sulla propria lingua, giunse alla conclusione che i metalli sono non solo conduttori ma anche «motori» dell’elettricità nei punti di contatto con i tessuti conduttori umidi. Questa nuova ipotesi, contraria all’intuizione, fu senz’altro agevolata dagli sforzi che aveva ripetutamente dedicato alla comprensione delle complesse proprietà elettriche che sorgono quando materiali eterogenei sono messi in mutuo contatto. Entro l’estate del 1792 arrivò a generalizzare la teoria dell’elettromozione per contatto, estendendola al combaciamento tra conduttori qualsiasi (VO, I, cit., p. 117), risultato che gli avrebbe permesso di elaborare proprie interpretazioni per tutte le nuove situazioni sperimentali proposte nelle successive complesse fasi del dibattito. Nel 1796, eliminato ogni elemento animale, riuscì con raffinate tecniche sperimentali a rendere sensibili i debolissimi stati di elettrizzazione prodotti dal contatto tra generici conduttori eterogenei (ibid., pp. 391-447), consegnando così alla fisica l’elettricità di contatto come nuovo effetto reale, che avrebbe richiesto tuttavia molti decenni per essere compreso e accettato.
L’anatomia della torpedine ebbe un ruolo fondamentale nell’invenzione della pila. L’animale dà scosse elettriche mediante un apposito organo composto da numerose piccole colonne verticali, costituite a loro volta da molte lamelle orizzontali di tessuti eterogenei sovrapposti. Rifiutando interpretazioni che assimilavano le colonne a impilamenti di elettrofori o di condensatori (Pancaldi, 2003, pp. 196-202), Volta inventò la pila come «organo elettrico artificiale» (VO, I, cit., p. 566) che, azionato dall’elettricità di contatto tra metalli eterogenei, imita e spiega il funzionamento dell’«organo elettrico naturale» della torpedine. Ottenne l’invenzione a Como verso la fine del 1799, annunciandola in due lettere alla Royal Society di Londra del 20 marzo e 1° aprile 1800, poi pubblicate entro l’anno in diversi giornali e negli atti della Royal Society (ibid., pp. 563-582). Nella versione «a colonna» lo strumento si compone di coppie bimetalliche planari, sovrapposte e separate l’una dall’altra da strati conduttori umidi, ai quali l’inventore assegna una funzione solo conduttrice. Fa invece dipendere la circolazione della corrente dalla spinta che l’elettricità riceverebbe nei punti in cui i metalli eterogenei si toccano tra di loro. Volta avrebbe mantenuto queste convinzioni senza accettare le interpretazioni chimiche del funzionamento della pila. Lo strumento fu in ogni caso il suo più grande risultato scientifico per gli inattesi fertilissimi effetti che fecero nascere le due nuove importantissime discipline dell’elettrochimica (1800) e dell’elettromagnetismo (1820).
Nel 1801, sollecitato dalle autorità francesi, si recò a Parigi a presentare la pila, in compagnia dell’amico e collega chimico Luigi Valentino Brugnatelli, redattore di un interessante diario del viaggio. A novembre, nel corso di tre sedute tenute all’Institut national des sciences et des arts, illustrò la pila e lesse una memoria, pubblicata in parte l’anno dopo con il titolo Sull’identità del fluido elettrico col fluido galvanico (VO, II, 1923, pp. 47-84). Napoleone, presente a tutte le sedute, lo propose per una medaglia d’oro, conferitagli dall’Istituto e integrata entro l’anno da una gratificazione governativa di 6000 franchi. Nel gennaio del 1802 Volta partecipò alla Consulta di Lione come ‘notabile’ rappresentante della Repubblica Cisalpina ed entro l’anno Napoleone lo incluse tra i primi membri del neocostituito Istituto nazionale italiano, del quale l’anno dopo fu anche il primo presidente.
Lungo tutta la sua carriera, Volta ottenne riconoscimenti e onori. Nel nutrito elenco (Indici delle opere e dell’epistolario di Alessandro Volta, II, 1976, pp. 778 s.) spiccano la nomina a socio corrispondente dell’Académie des sciences di Parigi (1782), l’elezione a membro straniero della Royal Society di Londra (1791), che gli conferì anche la Copley medal (1794). Significative, dopo l’invenzione della pila, furono le onorificenze della Legion d’onore di Francia (1805) e della Corona ferrea del Regno d’Italia (1806), seguite dalle nomine a senatore (1809) e conte (1810) del Regno d’Italia.
Nel 1804, ottenuta la desiderata giubilazione, lasciò la cattedra universitaria, reinquadrata ora nell’ambito della nuova ‘facoltà fisico-matematica’ (Ferraresi - Fregonese, 2015b). Per il prestigio dell’Ateneo pavese, accettò tuttavia di affiancare il successore, Pietro Configliachi, continuando a tenere lezioni di fisica sperimentale almeno fino al 1809. Fece ancora ricerche ma rimanendo sui solchi tracciati e ormai in una fase di attività calante per l’età, l’appagamento e la scelta di dedicarsi alla famiglia e all’educazione dei figli. Nel periodo della Restaurazione gli fu affidata (1814) la direzione della ripristinata ‘facoltà filosofica’ (Ferraresi, 2017) con il permesso di avere Configliachi come coadiutore e supplente. La sua attività fu considerevole nei primi anni ma, a partire dal 1819, sempre più ridotta e intermittente. Dal 1823 la sua corrispondenza registra spedizioni solo da Como, ove trascorse il tempo rimanente.
Morì a Como il 5 marzo 1827.
Opere. Per gli scritti di Alessandro Volta si rimanda ai seguenti volumi dell’Edizione nazionale: Le opere di Alessandro Volta, I-VII, Milano 1918-1929; Epistolario di Alessandro Volta, I-V, Bologna 1949-1955; Aggiunte alle opere e all’epistolario di Alessandro Volta, Bologna 1966; Indici delle opere e dell’epistolario di Alessandro Volta, I-II, Milano 1974-1976. Dei volumi dell’Edizione nazionale esiste anche una versione integrale digitalizzata in CD-Rom, Alessandro Volta. Edizione nazionale delle opere e dell’epistolario, a cura di F. Bevilacqua - G. Bonera - L. Falomo, Milano 2002.
Fonti e Bibl.: W. Bernardi, I fluidi della vita. Alle origini della controversia sull’elettricità animale, Firenze 1992, passim; L. Fregonese, V.: teorie ed esperimenti di un filosofo naturale, in Le scienze. I grandi della scienza, 1999, n. 11, monografico; M. Longatti, Spigolature voltiane, in Archivio storico della diocesi di Como, X (1999), pp. 351-364; Nuova voltiana. Studies on V. and his times, a cura di F. Bevilacqua - L. Fregonese, I-V, Milano 2000-2003 (in partic.: J.L. Heilbron, Analogy in V.’s exact natural philosophy, I, 2000, pp. 1-23; F. Abbri, V.’s chemical theories. The first two phases, II, 2000, pp. 1-14; F.L. Holmes, Phlogiston in the air, ibid., pp. 73-113; C. Garbarino - G. Santangelo, General bibliography on A. V., IV, 2002, pp. 117-180); Gli strumenti di A. V. Il gabinetto di fisica dell’Università di Pavia, a cura di G. Bellodi et al., Milano 2002 (in partic.: G. Bellodi - P. Brenni, Il gabinetto di fisica. Genesi e sviluppo (1771-1819), pp. 15-34; L. Fregonese, Le invenzioni di Volta tra teorie ed esperimenti, pp. 39-132; A. Ferraresi, Archeologia del gabinetto di fisica. Gli inventari ‘ritrovati’, pp. 320-377); G. Pancaldi, V. Science and culture in the age of Enlightenment, Princeton (N.J.) 2003; M. Piccolino - M. Bresadola, Rane, torpedini e scintille. Galvani, V. e l’elettricità animale, Torino 2003; L. Fregonese, V. A., in New dictionary of scientific biography, a cura di N. Koertge, VII, Farmington Hills 2008, s.v.; L. Fregonese, A. V., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Scienze, Roma 2013, pp. 409-413; A. Ferraresi - L. Fregonese, La facoltà di filosofia, in Almum studium papiense. Storia dell’Università di Pavia, II, t. 1, a cura di D. Mantovani, Milano 2015a, pp. 301-348; Iid., La facoltà fisico-matematica, ibid., pp. 617-646 (2015b); A. Ferraresi, La facoltà filosofica, ibid., t. 2, a cura di D. Mantovani, Milano 2017, pp. 877-910; P. Mazzarello, Il professore e la cantante. La grande storia d’amore di A. V., Milano 2020.