BANDINI, Alessandro Giovanni
Nacque a Firenze il 10 ott. 1498 da Pierantonio e da Maria Bonciani.
Spirito torbido e irrequieto fin dalla giovinezza, appena quindicenne aggredì nei pressi del palazzo del Bargello un Paolo Corsini che, difesosi energicamente, lo ridusse in fin di vita trapassandogli il braccio sinistro e ferendolo al petto. Nel 1527 era tra i familiari di Filippo e Piero Strozzi. Inviato presso il conte di Montedoglio, capo delle milizie medicee, per persuaderlo a defezionare, si distinse nei torbidi che accompagnarono la cacciata di quella famiglia dal governo di Firenze. Nel 1528, accusato di aver ucciso a tradimento in Prato un Cosimo Cicognini, fu dal tribunale degli Otto condannato in contumacia alla pena di morte e alla confisca dei beni. Il B. però era già riparato in Lombardia dove, secondo quanto riferisce il Varchi, militando al seguito del conte di Montedoglio, era stato fatto prigioniero e s'era "più per industria che per altro liberato"; aveva poi raggiunto Lucca ove risiedevano numerosi esuli fiorentini e tra gli altri Filippo Strozzi, non ancora in rotta con i Medici, che lo prese al suo servizio assegnandogli - sempre secondo il Varchi - "ogni mese quindici scudi di provvisione".
Durante l'assedio del 1529-30 combattè contro Firenze come volontario nell'armata del principe d'Orange.
In tale occasione il B. e Rubertino Aldobrandi vennero clamorosamente sfidati a duello alla presenza dei due eserciti da due gentiluomini fiorentini, Lodovico Martellì e Dante da Castiglione, i quali - come asserisce il cartello di sfida - vollero vendicare l'onore di Firenze contro i concittadini, militanti nel campo imperiale, nemici di Dio (scelto dai Fiorentini per loro re), e traditori della patria. La celebre disfida ebbe luogo sul prato antistante alla villa del Poggio Imperiale fuori Porta Romana l'11 marzo 1530 e finì tragicamente: due contendenti, uno per parte, morirono per le ferite riportate; sopravvissero Dante da Castiglione e il Bandini. Secondo il Varchi (II, pp. 235 s.) e il Busini (p. 163), una rivalità in amore avrebbe spinto il Martelli ad affrontare il Bandini. Durante l'ultimo periodo dell'assedio questi, molto accetto agli Spagnoli di cui parlava perfettamente la lingua, continuò a combattere nelle file imperiali e, mediante la corruzione, indusse il commissario e il capo della guarnigione di Empoli a consegnare la città agli Imperiali privando in tal modo Firenze del più importante centro di rifornimenti.
Ristabilitosi il governo mediceo, il B. entrò subito nelle grazie del duca Alessandro che si servì largamente di lui per spiare le manovre dei propri avversari - tra i quali si andava schierando la famiglia Strozzi - intesi dapprima a soppiantarlo col cardinale Ippolito de' Medici e poi, eliminato quest'ultimo dal veleno dei sicari di Alessandro, ad accusarlo apertamente a Napoli di fronte all'imperatore perché lo destituisse dal governo della città. Quando il duca si recò a Napoli per difendere le proprie ragioni, nel 1535, si fece precedere dal B. per far opera di corruzione presso i ministri imperiali e di persuasione e spionaggio presso i rappresentanti dei fuorusciti che erano convenuti in gran numero in quella città.
In tale occasione il B. fu sfidato a duello in una pubblica via da un fiorentino, Giovanni Busini, che, a detta del Varchi (apostata, come è noto, del fuoruscitismo fiorentino), non era che un miserabile provocatore prezzolato dai suoi compagni d'esilio. Il B. inoltre avrebbe avuto la peggio se non fossero intervenuti a salvarlo alcuni gentiluomini spagnoli. Secondo il Nardi, repubblicano antimediceo presente in quei giorni a Napoli, si sarebbe trattato invece di un fiorentino nient'affatto esule, che uscì con onore dal duello col traditore Bandini. Si ricorda ancora che il B., trovandosi a fianco del duca sulla via del ritorno, sfregiò in volto col pugnale un cittadino di Capua che arditamente si era presentato al duca per lagnarsi di un torto ricevuto. A stento il duca poté uscire incolume dalla città sollevatasi contro di lui.
Nel 1536 il B. ebbe vari incarichi onorifici e di rappresentanza ancora a Napoli, a Roma, a Milano; fu poi inviato residente mediceo alla corte imperiale. In tale dignità fu confermato da Cosimo I che per ragioni di prudenza nei confronti di un avventuriero legato a filo doppio agli Spagnoli (tanto che di lì a poco Carlo V lo insigniva del titolo di conte palatino), di un uomo che troppo a lungo era stato familiare e stipendiato di Filippo Strozzi, si guardò bene dal mostrargli diffidenza.
Gli offrì anzi spontaneamente la sua protezione ("persuadetevi che io non desidero meno di farvi servizio e piacere che vi facesse la felice memoria dell'Ill.mo Sig. Duca Alessandro") e gli fece scrivere dalla madre Maria Salviati: "La ringrazio delle opere che la fa sempre a benefitio del sig. Cosimo mio figliuolo... La prego seguiti a far il medesimo per l'avvenire". Ma intanto dal 1537 al 1542 inviava alla corte imperiale tutti uomini nuovi di sua fiducia: Bernardo de' Medici vescovo di Forlì, il marchese Averardo Serristori, Agnolo Niccolini e il proprio segretario Lorenzo Pagni, che trattarono problemi delicatissimi come l'eredità di Alessandro, le nozze di Cosimo con una principessa spagnola, la consegna di Filippo Strozzi e la restituzione delle fortezze di Firenze e Livorno. Tali problemi il duca lasciava trattare anche al B., col quale era in corrispondenza apparentemente cordiale, facendolo tuttavia vìgilare di continuo. Poi prese a taglieggiargli gli stipendi e a lasciarlo in sottordine, finché il B. non cominciò a lamentarsi in lunghe lettere al Pagni, protestando la propria fedeltà ("non poterò mai in mille anni diventare spagnolo !") e adombrando il timore di perdere la fiducia di Cosimo.Il duca lo richiamò a Firenze e non mancò di complimentarsi con lui per la conseguita dignità di conte palatino. Ma pochi mesi dopo il suo ritorno il B., accusato, insieme con alcuni altri gentiluomini, di sodomia, subiva una condanna a quindici anni di carcere da scontarsi nei sotterranei della fortezza di Volterra, mentre gli altri venivano subito rilasciati. In realtà il B., trasferito più tardi alla fortezza da Basso a Firenze, non uscì mai più di galera, dove morì il 13 ag. 1568 dopo venticinque anni di prigionia durissima. È leggenda che la sua condanna fosse dovuta al fatto che egli avesse tentato di sedurre Eleonora di Toledo. Cosimo si era persuaso che il B. in Spagna aveva rivelato suoi segreti a Carlo V e tentato di liberare Filippo Strozzi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del Principato,ff. 652, 4296, 4297, 4298, 4299, 4299 a, 4300; Firenze, Bibl. Naz. Centrale, ms. 158 bis s. d., C. Passerini, Notizie sulla famiglia Bandini; Cartelli di querela e di sfida tra Lodovico Martelli - Dante da Castiglione e Giovanni Bandini - Rubertino Aldobrandi al tempo dell'assedio di Firenze con la patente del campo franco concesso ai combattenti dal principe d'Orange e la fede dell'esito del duello da lui medesimo scritta sul campo, a cura di C. Milanesi, in Arch. stor. ital.,n. s., IV, (1857), parte 2, pp. 1-25; G. B. Busini, Lettere a B. Varchi sopra l'assedio di Firenze, Firenze 1860, pp. 85, 163 s., 224, 257, 263, 266; B. Varchi, Storie fiorentine, Firenze 1888, I, pp. 128, 134 s.; II, pp. 138, 230, 235 s., 264, 418; III, pp. 78, 108 s., 167, 223, 254; I. Nardi, Istoria della città di Firenze, Firenze 1888, II, pp. 187 s., 261, 273, 326; L. Cantini, Vita di Cosimo dei Medici Gran Duca di Toscana, Firenze 1805, pp. 69 s. (prive di ogni fondamento le notizie che il Cantini fornisce sull'ultimo periodo della vita del B., dal 1542 in poi); M. Del Piazzo, Gli ambasciatorí toscani del Principato, Roma 1952, p. 129.