FRANCHI, Alessandro
Nacque a Roma il 25 giugno 1819 da Vincenzo, un notaio discendente da una famiglia di mercanti di campagna del Frusinate. Avviato alla carriera ecclesiastica, frequentò il Seminario romano addottorandosi nel 1841 in filosofia e teologia e dando alle stampe una Publica disputatio de historia ecclesiastica (Romae 1841) contenente 82 tesi di confutazione degli errori dei teologi protestanti inglesi e dei razionalisti francesi. Ordinato sacerdote (26 marzo 1842), fu chiamato dal card. L. Lambruschini, segretario di Stato, a prestare servizio prima nella congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, poi in segreteria di Stato con la qualifica di minutante; in questa veste trattò problemi relativi ai rapporti della Santa Sede con gli Stati esteri in un periodo di notevoli sconvolgimenti. Ciò permise al F. di accumulare l'esperienza e la pratica dell'ambiente diplomatico che avrebbero fatto di lui uno degli elementi più preparati per il confronto con il mondo moderno.
Alla fine del 1852, dopo qualche resistenza, il F. accettò dal papa l'incarico di internunzio presso la corte di Madrid. Arrivato nella capitale il 19 genn. 1853, non tardò a stabilire un rapporto di piena collaborazione con la regina Isabella II, devotissima al papa, ma presto si trovò alle prese con le difficoltà del "bienio progresista" nel corso del quale, con l'avvento al potere di un governo liberale, si metteva in discussione il concordato del 1851 e si introduceva una legislazione che poneva sotto controllo le ordinazioni sacerdotali e che, con la "ley desamortizadora" del 1° maggio 1855, colpiva i beni ecclesiastici. Una nota ufficiale di protesta redatta dal F. costituì il preludio alla rottura delle relazioni diplomatiche e al suo richiamo a Roma.
La missione spagnola aveva comunque dato modo al giovane prelato di esibire le sue qualità, consistenti essenzialmente in una cordialità e facilità di contatto che, ben lungi dall'implicare cedevolezza, rinsaldavano il suo rigore nella difesa dei diritti della Santa Sede. Il 16 giugno 1856 ebbe l'incarico di internunzio apostolico presso il Granducato di Toscana, conferitogli in sincrono con la promozione a vescovo di Tessalonica (19 giugno 1856).
Come in Spagna, anche in Toscana la posizione della Chiesa era uscita rafforzata dal concordato del 1851: restavano in vigore, delle antiche leggi leopoldine, alcuni provvedimenti che limitavano la facoltà del clero di ereditare beni di manomorta senza previa autorizzazione pubblica e fissavano un'età minima per l'ingresso delle donne in convento. Su questo terreno minato si mosse con grande cautela ma anche con risolutezza il F., incurante del fatto che i cambiamenti da lui richiesti potessero mettere il granduca contro il governo e questo contro un'opinione pubblica assai gelosa della tradizione giurisdizionalista. Si produsse così, anche per il maldestro intervento di alcuni fogli cattolici incoraggiati probabilmente dalla nunziatura, una situazione di forte attrito, il cui esito non fu il ritiro delle leggi leopoldine ma il rilancio della polemica anticlericale attraverso il varo di una iniziativa editoriale, la "Biblioteca civile dell'Italiano", che nella sua prima dispensa ospitò la ristampa di una Apologia delle leggi di giurisdizione, amministrazione e polizia ecclesiastica pubblicate in Toscana sotto il regno di Leopoldo I (Firenze 1858), fiera rivendicazione della piena sovranità del Granducato.
Si consumava poco dopo l'atto finale della dinastia asburgo-lorenese in Toscana: fedele al proprio ruolo di uomo legato alla corte, il 27 apr. 1859, giorno in cui Leopoldo II lasciò per sempre Firenze, il F. gli sedette accanto nella carrozza che lo accompagnava al confine col territorio modenese.
Al ritorno a Roma lo aspettavano la carica onorifica di vescovo assistente al soglio pontificio (16 dic. 1859) e il ben più ambito posto di segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari che tra il 31 ott. 1860 e il 13 marzo 1868 lo collocava con funzioni di primaria importanza in quello che era diventato un autentico snodo della politica pontificia. Con la fiducia piena di Pio IX, gli veniva affidato, in pratica, il governo stesso della Chiesa nel momento in cui lo si incaricava di mantenere i contatti con tutte le nunziature, operare d'accordo con la segreteria di Stato e preparare con le sue relazioni le decisioni che anche col suo voto sarebbero state prese da un nucleo ristretto di cardinali di Curia: il tratto conciliante e la sapienza diplomatica con cui il F. si condusse soprattutto nei rapporti con gli Stati in cui più avanzato era il processo di laicizzazione non gli impedirono di tenere ben fermo il principio della centralizzazione romana e di portare avanti un disegno di progressiva espansione del cattolicesimo.
Il 1° marzo 1868 il F. fu nominato nunzio apostolico a Madrid. Nel prendere possesso della nunziatura (6 maggio 1868) sapeva che avrebbe dovuto ottenere dalla monarchia spagnola l'applicazione integrale del concordato del 1851 e degli accordi addizionali che nel 1859 avevano migliorato le posizioni della Chiesa in ordine alla tutela dei suoi interessi temporali e spirituali.
Venne invece la rivoluzione del 19 sett. 1868 e con essa la crisi della monarchia isabellina e l'inizio di una fase di rottura con Roma: di fronte alla demolizione delle chiese, alla chiusura di conventi e seminari, alla soppressione del foro ecclesiastico, al falò simbolico del concordato davanti alla sede stessa della nunziatura, il F. non poté fare altro che tenersi sulla difensiva, togliendo ogni ufficialità alle proprie relazioni con il governo provvisorio repubblicano e cercando al contempo di promuovere la reazione dei fedeli. Quando, però, si profilò come inevitabile l'introduzione nella nuova costituzione della libertà di culto e del giuramento del clero, Roma rifiutò il gradimento al nuovo ambasciatore spagnolo e autorizzò il F. a chiudere la nunziatura e a fare ritorno in patria.
Il 24 giugno 1869 il nunzio lasciava Madrid, anche se la carica gli sarebbe stata conservata fino al 1873. Ma la sfortunata conclusione della missione non incrinò il prestigio del Franchi.
La fama della sua sagacia diplomatica e della sua relativa mitezza si era diffusa da tempo, tanto che già nel 1860 un collaboratore romano del Cavour, D. Pantaleoni, convinto che con il suo appoggio sarebbe stato più facile arrivare a Pio IX, aveva visto in lui "un organo per tutte le nostre trattative" (Carteggi di C. Cavour. La Questione romana, I, p. 69). Il progetto non si era realizzato, ma da allora aveva cominciato a circolare la tesi, probabilmente esagerata, di un'avversione del F. per il segretario di Stato, il card. G. Antonelli, e di una sua relativa disponibilità a favorire un accordo tra il Papato e il nuovo Regno d'Italia. Certamente alla sua flessibilità era estraneo qualunque atteggiamento di chiusura; ma era anche indiscutibile la sua devozione a Pio IX, dal quale dipendevano tutte le sue ambizioni di carriera e che non perdeva occasione per inserirlo nelle varie commissioni deputate a orientare le scelte del Papato nei campi più diversi. Forse il F. non era un oltranzista del potere temporale; ma l'azione che svolse dietro le quinte del concilio Vaticano I per organizzare il più ampio consenso possibile intorno al dogma dell'infallibilità papale ridimensiona assai l'abito di moderato che molti contemporanei gli cucirono addosso.
Brillante e mondano, il F. sapeva curare bene la propria immagine di abile negoziatore: inviato come ambasciatore straordinario a Costantinopoli nell'aprile del 1871, ne ripartì sei mesi dopo senza che la sua missione - peraltro poco gradita alla Francia, che vi scorse il tentativo del Vaticano di affrancarsi dalla sua tutela - fosse riuscita a comporre con l'intervento del governo turco il dissidio scoppiato in seno ai cattolici armeni. Il F. attribuì la causa dell'insuccesso alla morte del gran visir, sopraggiunta, a suo dire, quando l'accordo era ormai stato raggiunto.
Finalmente nel concistoro del 22 dic. 1873 fu creato cardinale con il titolo di S. Maria in Trastevere. Un altro riconoscimento del suo peso politico lo ebbe con la nomina (10 marzo 1874) a prefetto della congregazione di Propaganda Fide e per gli affari di rito orientale; andarono invece deluse, e la cosa lo amareggiò molto, le aspettative di successione all'Antonelli nella segreteria di Stato. La morte di Pio IX (1878) parve restituire al F. una maggiore autonomia di movimento che, con qualche concessione al residuo intransigentismo (fu lui a scrivere la nota alle potenze con cui il Vaticano segnalava lo stato di costrizione in cui l'aveva posto la perdita del potere temporale), egli sfruttò per avere un ruolo da protagonista nel conclave dal quale sarebbe uscito papa G. Pecci. Considerato un possibile aspirante al pontificato, quando si avvide che il sostegno dei cardinali spagnoli non bastava ad assicurargli l'elezione (al primo scrutinio ottenne 5 voti), il F. assunse il ruolo del grande elettore: Pecci lo ricambiò chiamandolo due settimane dopo l'elezione a reggere la segreteria di Stato.
Molti videro in questa scelta l'avvio di un processo di conciliazione con l'Italia per un verso, con la società moderna per l'altro. Non era però questo l'orientamento immediato di Leone XIII, e comunque il F. non ebbe il tempo di sviluppare la sua politica. Aveva infatti messo in piedi solo la trattativa con la Germania per porre fine al Kulturkampf, proponendo una soluzione che prevedeva lo svuotamento delle leggi del maggio 1873, considerate punitive per i cattolici tedeschi, quando morì in Vaticano il 31 luglio 1878.
Le difficoltà in cui si era imbattuto e le modalità stesse della sua scomparsa, che fu improvvisa e che si disse dovuta a un violento attacco di febbre malarica, accreditarono la voce di un suo avvelenamento, voce che parve ricevere qualche conferma dal rapido disfacimento del cadavere (C.M. Fiorentino, p. 173) e dal rifiuto opposto dal fratello del defunto all'autopsia.
Fonti e Bibl.: Oltre alla documentazione di vario genere conservata nelle 3 buste recanti il suo nome del fondo Spogli dei cardinali, in Arch. segr. Vaticano, il materiale relativo alle missioni svolte dal F. conservato nello stesso archivio (Segreteria di Stato, Firenze e Madrid) è stato in parte utilizzato e talvolta pubblicato in alcune raccolte di fonti o in appendice a lavori più generali: tali, ad esempio, A. Martini, Il primo fascicolo della "Biblioteca civile dell'Italiano"nelle relaz. dell'internunzio a Firenze mons. A. F., in Chiesa e Stato nell'800. Miscellanea in onore di P. Pirri, Padova 1962, II, pp. 525-540; G. Martina, Pio IX e Leopoldo II, Roma 1967, ad Indicem; El archivo de la Emb. de España cerca de la S. Sede (1850-1900), Roma 1973, II, ad Indicem; V.M. Arbeloa, Los obispos ante la ley de supresión de fueros…, in Rev. española de derecho canónico, XXIX (1973), pp. 451-459; V. Cárcel Ortí, El nuncio F. en la España prerrevolucionaria de 1868, in Scriptorium Victoriense, XX (1973), pp. 330-357; V.M. Arbeloa, El nuncio F. ante la revolución de septiembre de 1868, ibid., XXII (1975), pp. 5-77; V. Cárcel Ortí, El nuncio A. F. y las constituyentes de 1869, in Hispania, XXXVII (1977), pp. 623-670; F. Diáz de Cerio - M.F. Núñez y Muñoz, Instrucciones secretas a los nuncios de España en el siglo XIX (1847-1907), Roma 1989, ad Indicem. Numerosi i riferimenti e i giudizi sul F. in altre fonti, memorialistiche o diplomatiche: L. Teste, Préface au conclave, Paris 1877, pp. 222-226; G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano 1870-1901…, Bologna 1920, I, pp. 157, 369, 385 s.; Carteggi di C. Cavour. La questione romana, Bologna 1929, I, pp. 69, 111, 136, 144, 163; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II… La questione romana, II-III, Roma 1951-61, ad Indices; Carteggi di B. Ricasoli, a cura di M. Nobili - S. Camerani, VI, Roma 1953, pp. 109 s., 132; Le relazioni diplom. fra la Francia e il Granducato di Toscana, s. 3, 1848-60, II-III, a cura di A. Saitta, Roma 1959, ad Indices; Documenti diplom. italiani, s. 1, 1861-70, Roma 1963-90, VIII, XII-XIII, ad Indices; s. 2, 1870-96, Roma 1960-85, I-II, IV-VII, IX, ad Indices; Le relazioni diplom. fra l'Austria e il Granducato di Toscana, s. 3, 1848-60, V, a cura di A. Filipuzzi, Roma 1969, ad Indicem; N. Miko, Das Ende des Kirchenstaates, Wien-München 1969, ad Indicem; G.G. Franco, Appunti stor. sopra il concilio vaticano, a cura di G. Martina, Roma 1972, ad Indicem; C. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und zur vatikanischen Politik unter Leo XIII., Tübingen 1973, ad Indicem; V. Cárcel Ortí, La congregación de Asuntos eclesiásticos extraordinarios y España (1814-1913), in Arch. hist. pontificiae, XXXIII (1995), pp. 357 s. Un inquadramento storiografico in: Ch. de T. Serclaes, Le pape Léon XIII…, Paris-Lille 1894, I, pp. 201 ss.; R. De Cesare, Dal conclave di Leone XIII all'ultimo concistoro…, Città di Castello 1899, pp. 10, 15, 20-28, 186, 196, 203, 210, 221 ss., 225 s., 279, 289 s., 301-307, 312, 321-324, 335, 345, 348 s., 383; Id., Roma e lo Stato del papa…, Roma 1907, I, pp. 271 s., 354; II, p. 103; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I-III, Milano 1932-33, ad Indicem; F. Engel-Janosi, Österreich und der Vatikan 1846-1918, Graz-Wien-Köln 1958, ad Indicem; R.A. Graham, Vatican diplomacy, Princeton 1958, pp. 85 s.; M. Maccarrone, Il concilio vaticano I e il "Giornale" di mons. Arrigoni, Padova 1966, ad Indicem; L. Pásztor, La congregazione degli Affari eccl. straordinari, in Arch. hist. pontificiae, VI (1968), pp. 286, 294; U. Pesci, I primi anni di Roma capitale…, Roma 1971, pp. 39, 533, 570 s., 573; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, ad Indicem; (1867-1878), ibid. 1990, ad Indicem; C.M. Fiorentino, Il conclave di Leone XIII ed alcuni momenti del suo pontificato…, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXXIV (1997), pp. 171-175. I dati principali sulla carriera del F. in G. De Marchi, Le nunziature apostoliche dal 1800 al 1856, Roma 1957, ad Indicem; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VIII, Patavii 1978, ad Indicem; C. Weber, Kardinäle una Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates…, Stuttgart 1978, ad Indicem; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XVIII, coll. 576-581 (a cura di R. Aubert).