FASSITELLI, Alessandro (Alessandro da Sant'Elpidio)
Nacque probabilmente a Sant'Elpidio (oggi Sant'Elpidio a Mare, in prov. di Ascoli Piceno) nella seconda metà del sec. XIII. Il cognome Fassitelli compare in alcune antiche biografie, ma l'appartenenza del F. alla nobile famiglia marchigiana non è certa: nelle fonti coeve è sempre indicato come "Alessandro da Sant'Elpidio" o, a volte, come Alessandro "de Marchia".
Non si conosce la data del suo ingresso nell'Ordine degli eremitani agostiniani, ma è certo che nel 1300 godeva già della fiducia dei superiori: nel maggio di quell'anno fu infatti chiamato dal priore generale degli agostiniani Francesco da Monte Rubiano a ricoprire la carica di primus lector dello Studio agostiniano installato presso la Curia papale ad Anagni. Il F. proveniva dall'università di Parigi, dove aveva conseguito il titolo di baccelliere. Ad Anagni non dovette fermarsi più di tre anni: nel 1303 era presente al capitolo generale dell'Ordine, celebrato a Perugia, come diffinitor della provincia marchigiana. In seguito tornò a Parigi e vi conseguì il titolo di magister in teologia, sicuramente prima del 1308. Il suo nome figura, infatti, tra quelli dei maestri della facoltà di teologia di Parigi che il 25 marzo 1308 firmarono una risposta al re Filippo il Bello, che li aveva interpellati sulla questione dei templari; partecipando alla stesura di questo documento, che, in nome del principio dell'immunità ecclesiastica, negava ai tribunali laici il diritto di sostituirsi a quelli ecclesiastici nel giudizio dei religiosi colpevoli, il F. si accostò a quello che sarà in seguito il tema dominante della sua opera: la difesa dei poteri del Papato contro le ingerenze delle autorità laiche.
L'11 apr. 1309 partecipò con altri teologi a una riunione in cui vennero esaminati e giudicati erronei ed eretici alcuni passi tratti dal Mirouer des simples ames di Margherita Porete; nel 1310 fu chiamato a ratificare, insieme con altri tre maestri in teologia, il verbale di una riunione di teologi e canonisti che condannavano come eretico Guiard de Cressonessart, seguace della Porete.
Nel 1312 il F. venne eletto priore generale degli eremitani agostiniani al capitolo generale di Viterbo; in questa carica fu riconfermato altre quattro volte, nel 1315 a Padova, nel 1318 a Rimini, nel 1321 a Treviso, nel 1324 a Montpellier.
Durante il lungo generalato il F. continuò l'opera riformatrice dei suoi predecessori, occupandosi con particolare attenzione degli ordinamenti che regolavano la vita dell'Ordine: si adoperò perché le nuove costituzioni, approvate nel capitolo generale di Ratisbona e presentate poi da lui stesso al papa Clemente V - che le lodò ma non le confermò, lasciando liberi i capitoli generali di modificarle -, fossero accettate e rispettate da tutto l'Ordine; promulgò personalmente alcune disposizioni che si aggiungevano alle costituzioni o le modificavano, là dove queste si presentavano carenti o troppo rigide inviò lettere ai confratelli per spiegare il senso di alcuni suoi interventi legislativi e di alcune disposizioni papali; fece approvare ad ogni capitolo generale da lui presieduto una serie di diffinitiones, che dovevano rientrare nel Corpus constitutionum e come tali essere rispettate da tutti i componenti dell'Ordine.
Tra questi interventi legislativi, di particolare rilievo sono quelli relativi alle attività scolastiche: nelle aggiunte alle costituzioni il F. si preoccupò di fissare il numero di ore di lezione per i discepoli, che non doveva mai essere inferiore alle quattro alla settimana; nelle disposizioni capitolari fece emanare norme sulla custodia dei libri, sul numero di studenti e di maestri da inviare nelle più importanti sedi universitarie, sull'obbligo di istituire corsi di teologia in ogni provincia. Rilevante fu anche l'impegno profuso dal F. a favore di una stretta osservanza del voto di povertà da parte dell'Ordine: non solo proibì rigorosamente ai frati ogni forma di proprietà personale e condannò con vigore quanti la mantenevano dentro e fuori dai conventi, ma si pronunciò anche contro il possesso comune dei beni da parte dei monasteri, che pur era uno dei privilegi concessi all'Ordine.
Per la sua opera il F. si guadagnò la stima e il rispetto dei contemporanei. Nelle prime cronache dell'Ordine la sua figura è tratteggiata con toni ammirati e apologetici: Giordano di Sassonia ricorda il suo impegno a favore delle nuove costituzioni ed Enrico di Friemar lo descrive come un uomo colto, politicamente esperto, dotato di mirabile prudenza e di grande sapienza.
Pur impegnato nel governo dell'Ordine, il F. si mantenne in stretto contatto con il Papato: lo dimostra una sua risposta al papa Giovanni XXII, che nel 1320 lo aveva interpellato insieme con altri teologi sui rapporti tra pratiche sortileghe ed eresia, e soprattutto il costante appoggio che con i suoi scritti il F. diede al papa nella disputa con l'imperatore Ludovico IV di Baviera e con i teorici antiteocratici della corte imperiale.
Nel 1326, quando era ancora in carica come generale degli agostiniani, il F. venne nominato vescovo dal papa Giovanni XXII. I biografi. non sono concordi nell'individuazione della sede vescovile cui fu destinato: c'è chi parla di Creta, chi di Zara, chi di Amalfi. e chi infine di Melfi. L'individuazione esatta è quest'ultima, così come si legge nella nomina papale del 18 febbr. 1326 ("episcopus ecclesiae Melfensis").
La confusione derivò dall'esistenza di un altro Alessandro di Sant'Elpidio, domenicano, quasi contemporaneo del F., nominato dal capitolo della cattedrale vescovo di Zara, ma non confermato dal papa in questo incarico nel 1312 e infine assegnato alla sede arcivescovile di Creta nel 1314.
Il F. però non raggiunse la sede del suo vescovado: la morte lo sorprese ad Avignone presso la corte papale, dove ancora si trovava. Non si conosce la data esatta del decesso, che va collocata tra il 25 apr. 1326, giorno in cui la sua presenza è segnalata ad Avignone, e il 6 ottobre dello stesso anno, data della nomina del successore al vescovado di Melfi.
Il F. ha composto tre opere che vanno collocate nel quadro della polemica tra sostenitori e avversari della teocrazia papale nella prima metà del sec. XIV: il De ecclesiastica potestate, scritto tra il 1323 e il 1324, diviso in due trattati e preceduto da una dedica al papa Giovanni XXI I; il De cessione personali et sedium fundatione et mutatione, che alcuni manoscritti (Cremona, Bibl. statale, ms. 82; Parigi, Bibl. nat., Lat. 4230, 4356, 16548, Roma, Bibl. Angelica, ms. 810) presentano di seguito al De ecclesiastica potestate come terzo trattato dell'opera; e infine il De iurisdictione Imperii et auctoritate summi pontificis. Per i manoscritti e le edizioni di queste opere si veda Perini (1930), con le correzioni e le aggiunte di Glorieux (1933) e Zumkeller (1966). La posizione del F., che riprende le dottrine dei confratelli agostiniani Egidio Romano e Giacomo da Viterbo, è decisamente filopapale, volta com'è a dimostrare la superiorità del potere religioso su quello civile. Influenzato in parte da tesi aristoteliche, egli riconosce al potere temporale una specifica e naturale finalità, il benessere temporale degli uomini, ma ritiene che la finalità cui tende il potere religioso, la beatitudine eterna, resti comunque quella principale, cui le altre debbano essere sempre subordinate.
Dal F. ci sono pervenute altre due opere, tuttora manoscritte, l'Epitome librorum s. Augustini De civitate Dei e l'Expositio in Evangelium s. Iohannis, dedicate al cardinale Francesco Caetani. Per i manoscritti si veda Stegmüller (1950, 1976), da cui va però espunto il manoscritto di Parigi, Bibl. nat., Lat. 4160, che non le contiene.
Non ci sono pervenute né le Quaestiones ordinariae theologiae, citate dall'agostiniano Alfonso Vargas, né i commenti agli Analitici primi e ai Topici di Aristotele, che gli vengono attribuiti dalle antiche biografie. Anche dei tre Quodlibeta, conservati un tempo nel monastero agostiniano di S. Giacomo a Bologna e citati da Tommaso di Argentina e Giovanni da Basilea, non resta traccia. Uno di essi è forse identificabile con un quodlibet anonimo e incompleto presente nel manoscritto di Napoli, Bibl. naz., VII. C. 6, ff. 7a-10b. Molto incerta è l'attribuzione al F. delle Metaphisicae distinctiones, conservate nel manoscritto di Bologna, Bibl. com. dell'Archiginn. A. 80, ff. 35-63, e di un De usura, attribuito al francescano Alessandro di Alessandria, presente nel manoscritto di Berlino, Deutsche Staatsbibl., Lat. fol. 420, ff. 78v-80v. Sicuramente falsa è invece l'attribuzione della Mensa pauperum, opera di un anonimo agostiniano di Vercelli, che scrive tra il 1310 e il 1328 e il cui unico punto di contatto con il F. era l'iniziale del nome.
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