ALESSANDRO di Villedieu (Villedieu-les-Poêles), latinamente Alexander de Villa Dei
Nacque in quel luogo della Normandia circa il 1150, studiò a Parigi e là rimase, finché il vescovo di Dol, Giovanni IV, lo chiamò a sé per affidargli l'istruzione dei suoi nipoti. Nel qual insegnamento egli applicò il metodo mnemotecnico di Pietro Riga, che consisteva nel chiudere ogni regola in una coppia di versi. Il sistema riuscì, e piacque tanto al vescovo, che questi pregò Alessandro di scrivere a questa foggia una Summa, cioè un compendio di grammatica per ammaestramento dei suoi nipoti. Di qui trasse origine il famoso Doctrinale, la cui publicazione, secondo glosse che lo accompagnano nei manoscritti, verrebbe a cadere nel 1199. Più tardi, morto il vescovo Giovanni, troviamo A. canonico della cattedrale di Avranches al titolo di S. Andrea, nella bassa Normandia; e là mancò ai vivi in una data che non conosciamo. Oltre al Doctrinale aveva scritto un Alphabetum minus, che doveva essere insegnato prima di questo, e un Alphabetum maius che doveva essere insegnato dopo (Doctrin., v. 26 segg.), se pure sotto queste denominazioni non vanno intesi l'Ars minor Donati e il Maius volumen Prisciani che erano allora i libri fondamentali dell'insegnamento grammaticale; poi un Ecclesiale, cioè un calendario che in opposizione quasi ai Fasti ovidiani contiene l'indicazione delle festività chiesastiche con riferimento alla liturgia e al diritto canonico; infine un glossario in versi di cui ci sono giunti solo frammenti. Di altre opere (quali il Computus o Massa computi, il De Arte numerandi o Algorismus, il Summarium biblicum) è controversa l'autenticità.
L'unica sua opera vitale fu il Doctrinale, nonostante che ancor oggi si leggano con interesse i versi vivaci del prologo dell'Ecclesiale, nei quali ricorrono fiere invettive contro la scuola d'Orléans, la feda secta che insegna il calendario di Ovidio, la pestifera cathedra di cui parlò già David; contro la quale è la scuola di Parigi, fondatrice della nuova filosofia e teologia, e alla sua testa lo scrittor dell'Aurora, Pietro Riga che, dice A. arzigogolando su i nomi, all'uso del tempo, vivifico clerum.... rore rigavit,... nos de petra mellis dulcedine pavit. Su questa via nel Doctrinale avverrà ad A. di anteporre all'autorità degli antichi in fatto di accento quella dei moderni (v. 2330 segg.). Si aggiunga che, sotto il tirannico dominio dell'aristotelismo, nel Medioevo la grammatica, la quale era stata per i classici l'arte di parlare e di scrivere correttamente, tende a disciplinarsi nelle forme spinose e sottili di una dottrina speculativa e dialettica, nella quale largamente si applica il metodo deduttivo. E a questa tendenza il Doctrinale non fa eccezione.
Esso consta di 2645 esametri e tratta successivamente delle declinazioni, degli eterocliti o, per meglio dire, dei diversi significati che assumono gli eterocliti di un medesimo tema, quali delicium e deliciae, epulum e epulae, ioci e ioca; poi dei gradi di comparazione (collatio), dei generi, della formazione dei perfetti (praeterita) e dei supini, dei verbi difettivi e irregolari (anomala), della formazione degli incoativi (inceptiva), dei desiderativi (meditativa), dei frequentativi, del regime (regimen), della costruzione, della quantità, dell'accento, delle figure divise nelle tre categorie di schema, tropus, mettiplasmus. La trattazione della sintassi dei casi è stata pur recentemente lodata come "un saggio meraviglioso di metodo storico o formale... che fa la sua prima apparizione nel Doctrinale" (R. Sabbadini, Il metodo degli umanisti, Firenze 1922, p. 9). Invece, scrivendo A. per gente che era in realtà bilingue e parlava allo stesso tempo in lingua latina e in lingua laica, gli avvenne anche di essere il formulatore di quella constructio (cfr. i vv. 1390-1396 del Doctrinale), della quale le origini e le tracce risalgono fino al sec. IX o X e contro la quale insorsero gli umanisti partendo dal noto precetto di Quintiliano: "verbo sensum eludere multo optimum est".
E gli umanisti insorsero anche nominativamente contro Alessandro, il cui Doctrinale insieme col Grecismus di Evrardo di Béthune, venuto alla luce nel 1212, aveva finito per cacciare dalle università nel sec. XIV Prisciano, il quale fino allora vi si era retto in concorrenza con i suoi commentatori Pietro Elia (Helias, Hélie) e Roberto Kilwardby. Primi a insorgere Sulpizio da Veroli (1490) e Antonio Mancinelli da Velletri nella Spica (1491). Cominciata in Italia, la lotta si estese poi, col diffondersi dell'umanesimo, alla Germania, alla Francia, ai paesi del settentrione. Tuttavia il Doctrinale si difese a lungo e sopravvisse, si può dire, all'umanesimo, perché l'ultima edizione è di Brescia, dell'anno 1588; ultima di 296, mentre i codici ascendono anch'essi al bel numero di circa 250.
Il Doctrinale fu edito da T. Reichling (Monumenta Germaniae paedagogica, XII, Berlino 1893) su cui cfr. G. Paris, in Romania, 1894, XXIII, p. 588 segg. Il Reichling stesso staccò poi dal volume la parte bibliografica, pubblicandola a parte sotto il titolo: Alexandri de Villa Dei Doctrinalis codices manuscripti et libri typis impressi (Berlino 1894).
Bibl.: C. Thurot, in Notices et extraits des manuscrits de la bibliothèque impériale et autres bibliothèques, XXII, II, Parigi 1868.