DEL NERO, Alessandro
Nacque a Firenze il 3 genn. 1467 da Nerozzo di Piero (di Filippo di Ventura) e da Caterina di Lorenzo Buondelmonti.
Originariamente appartenenti alle "classi inferiori", come altra "gente nova" i Del Nero dovettero la loro ascesa al patrocinio dei Medici, che ottennero per loro prima il passaggio alle arti maggiori, quindi - nel 1466 - lacandidatura al gonfalonierato di Giustizia nella persona di Nerozzo di Piero (nato a Firenze nel 1423), e infine, nello scrutinio del 1471, un aumento notevole della loro rappresentanza che risultò addirittura triplicata. La loro fedeltà al regime, negli anni seguenti, è peraltro dubbia: se non furono le simpatie savonaroliane (come nel caso dei Del Nero di Simone di Bernardo) a spingerli verso la parte antimedicea, l'evoluzione - sebbene diversamente motivata - fu però analoga dal momento che Nerozzo, dopo aver ricoperto alcune cariche nel periodo della preponderanza medicea (capitano di Castrocaro nel 1476, vicario di Scarperia nel 1493) fu eletto nel 1495 fra i cinque ufficiali incaricati di vendere i beni dei ribelli dopo la cacciata dei Medici da Firenze. Dalle sue portate ai catasti del 1469 e del 1480 (quartiere S. Spirito, gonfalone Scala) risulta abitante nella via de' Bardi, "popolo" di S. Maria Soprarno, e proprietario, con un compagno, di una bottega di tinta "d'arte maggiore", ma esercitava contemporaneamente anche altri traffici ed accumulò negli anni un discreto patrimonio.
Suoi figli, oltre al secondogenito D., erano nell'ordine: Giovanni Battista, Zanobia, Cristiano e Filippo.
Il D., utilizzato per la prima volta in un incarico pubblico nel 1511 come vicario di Colline e Lari, ricevette nell'anno seguente il mandato di recarsi nei pressi di Bologna per conferire con il viceré di Napoli Raimondo de Cardona, che, in seguito al rifiuto del gonfaloniere Pier Soderini di aderire alla lega contro i Francesi e sollecitato dal papa Giulio II, marciava minacciosamente verso Firenze.
Nell'istruzione data dai Signori al D., deliberata il 20ag. 1512, si deduce come questa legazione, per l'incertezza del momento e le divisioni interne al governo della Repubblica, fosse ancora interlocutoria: in attesa di eleggere un ambasciatore residente si incaricava il D. di saggiare le intenzioni del re di Spagna nei confronti di Firenze "non mostrando né troppo timore né molta diffidentia" e cercando di valutare le forze e i movimenti dei viceré (Arch. di Stato di Firenze, Signori. Legazioni e commissarie. Elez. ed istruz. ad ambasciatori, n. 26, c. 188). L'incarico, già tardivo ed inadeguato rispetto all'evolversi degli avvenimenti e della situazione politica, non poté neppure essere portato a termine per l'intervento di alcuni congiurati di parte medicea che, sequestrato il D. ai confini di Bologna, gli impedirono di incontrarsi con il Cardona, il quale proseguì la sua marcia conclusasi tragicamente alcuni giorni dopo con il sacco di Prato (29 ag. 1512).
Restaurati i Medici a Firenze, il D., ormai compromesso con la parte avversa, sebbene venisse regolarmente estratto come vicario di Firenzuola il 9 maggio 1518, venne privato della carica prima del suo inizio e nei qundici anni che seguirono rimase totalmente inattivo ed estraneo alla vita pubblica. Al 1532 risale il suo matrimonio con Agnoletta di Niccolò Carducci, dalla quale non ebbe figli. In occasione della decima del 1534, avendo dichiarato di abitare in una casa di proprietà della moglie nel popolo di S. Felicita e di possedere un unico podere, venne iscritto per 26 fiorini e 6 soldi. Presumibilmente a questi stessi anni risale la sua riconciliazione con il regime mediceo, secondo una evoluzione comune a molti suoi contemporanei che, tramontato il sogno dell'antica "libertà fiorentina", riconobbero in Cosimo de' Medici e nella sua politica una positività concreta e comunque ineluttabile. Gli vennero così attribuite cariche progressivamente più importanti: nel settembre 1539 fu uno degli Otto di custodia, nel maggio del 1543 Vicario di Lari, nel giugno 1547 podestà di Empoli, nel settembre 1551 uno dei capitani di Orsarimichele e, finalmente, il 24 apr. 1554 venne ammesso a far parte del Consiglio dei dugento.
Morì a Firenze il 14 apr. 1562 e, secondo quanto disposto nel testamento rogato da ser Andrea da Mosciano il 22 dic. 1559, fu sepolto nella chiesa di S. Felicita. In mancanza di discendenti (se si eccettua una figlia naturale di nome Margherita, legittimata il 30 ag. 1535) elesse eredi universali i nipoti Nerozzo, Pietro e Carlo, figli del fratello Filippo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, ff. 72, 443bis; Ibid., Manoscritti, Consorterie della città di Firenze, Quartiere S. Spirito, ad nomen;Ibid., Catasto 1460, f. 905, c. 577; Catasto 1480, f. 993; Ibid., Decima granducale 1534, f. 3557, c. 51; alcune lettere di Nerozzo si trovano: Ibid., Arch. Mediceo avanti il principato, f. 14, n. 393; f. 23, cc. 306, 326, 343, 516, 552, 604, 749; f. 37, n. 8; f. 39, n. 481; f. 60, n. 243; una lettera del D. a Cosimo I, ibid., f. 336, c. 113; l'istruzione per l'ambasceria del D.: Ibid., Signori. Legazioni e commissarie. Elezioni ed istruzioni ad ambasciatori 1499-1512, f. 26, c. 188; I. Pitti, Istoria fiorentina, a cura di L. Polidori, in Arch. stor. ital., s. 1, I (1842), p. 100; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, I, Firenze 1858, p. 419; Lettere di G. B. Busini a Benedetto Varchi sopra l'assedio di Firenze, a cura di G. Milanesi, Firenze 1860, p. 22; N. Rubinstein, Ilgoverno di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, pp. 186, 234.