D'ANCONA, Alessandro
Nacque a Pisa il 20 febbr. 1'835 da Giuseppe e da Ester Della Ripa, in una famiglia israelita di origine pesarese colta e di tradizione liberale. Compì i suoi primi studi a Firenze, dove si legò agli ambienti intellettuali della città che erano più decisamente orientati verso l'impegno risorgimentale, come il gruppo raccolto attorno al gabinetto Vieusseux, e in particolare a G. P. Vieusseux, dal quale fu spinto a pubblicare le prime recensioni sull'Archivio storico italiano e sul Giornale agrario toscano. Sono di questo periodo le sue prime ricerche di carattere storico, Le memorie dei Toscani alla guerra del 1848 (scritto in collaborazione con M. D'Ayala; Firenze 1852), e di carattere erudito, come l'edizione delle Opere di T. Campanella (I-II, Torino 1854). scelte e ordinate dal D. con un suo Discorso sulla vita e sulla dottrina di T. Campanella. Nel 1853-54 cominciò a collaborare a Il Genio, diretto da Celestino Bianchi (di cui fu anche segretario), futuro fondatore e direttore dello Spettatore, periodico del quale il D. fu collaboratore come corrispondente da Torino, con lo pseudonimo di Don Petronio Zamberlucco. Nel 1855 infatti si era trasferito a Torino per frequentarvi i corsi universitari della facoltà di giurisprudenza. Ebbe anche modo di seguire le lezioni di F. De Sanctis su Dante che esercitarono una forte influenza sulla sua formazione, inducendolo ad abbandonare gli studi giuridici per quelli letterari. In Piemonte stabilì e consolidò i legami con gli ambienti torinesi e toscani là emigrati, e in particolare con C. Nigra, G. Prati, Eugenio Camerini, rappresentando una sorta di trait d'union tra liberalismo toscano e piemontese, anche in virtù del suo impegno come giornalista politico che culminò con la direzione della Nazione di Firenze che tenne dal 1859, anno del suo ritorno in Toscana, fino al 30 apr. 1860. Coltivava intanto interessi di ordine storico, filologico, letterario e teatrale, collaborando a varie riviste, tra cui: la Rivista di Firenze, fondata da Atto Vannucci, il Passatempo di Pietro Fanfani, la Rivista contemporanea di Luigi Chiala. Dopo aver partecipato alla campagna del 1859 come segretario nella Intendenza militare dell'Emilia, gli fu assegnata nel 1860 la cattedra di letteratura italiana all'università di Pisa che tenne fino al 1900; ruolo al quale affiancò molti altri impegni accademici, dalla direzione della scuola normale di Pisa (1893-1900) all'incarico di insegnamento di esegesi dantesca presso l'università di Pisa (1900-1909).
Mantenne tuttavia, accanto all'attività strettamente scientifica. un costante interesse per la vita politica e sociale che è testimoniato sia dall'orientamento di alcuni suoi studi, il principale dei quali ispirò la prolusione tenuta il 14 nov. 1875 all'università di Pisa su Il concetto dell'unità politica nei poeti italiani, Pisa 1876 (ripubbl. in Studi di critica e storia letteraria, Bologna 1880; 2 ediz. con correzioni e aggiunte, ibid. 1912); sia, soprattutto, dall'impegno diretto nella vita politica che lo portò nel 1904 alla nomina, a senatore del Regno e nel 1906-07 a ricoprire la carica di sindaco di Pisa.
In contatto con i maggiori studiosi italiani ed europei, come risulta da molti carteggi, collaborò a vari periodici: La Nuova Antologia; Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti; Il Borghini; Il Propugnatore; Revue critique d'historie et de litterature; Romania; Illustrazione italiana; Giornale storico della letteratura italiana; Rassegna bibliografica della letteratura italiana, da lui fondata nel 1893 e diretta fino al 1910.Il D. morì a Firenze l'8 nov. 1914. Considerato tra i principali fondatori della scuola storica o erudita, ne fu tra gli esponenti più apprezzati dalla successiva scuola idealistica di Croce, Gentile, Russo, per l'equilibrio delle sue posizioni teoriche e scientifiche, per la riconosciuta perizia di ricercatore e di erudito e, infine, per la qualità e il valore del suo insegnamento: furono suoi allievi, tra gli altri, F. Novati, M. Barbi, G. Gentile, E. Levi.
Il D. arrivò a definire la sua metodologia scientifica e la sua prassi di ricerca, attraverso l'affermazione della necessità di scandagliare innanzitutto il terreno storico e culturale sul quale sorgono gli specifici fenomeni letterari, persuaso, come era, che "a fare storia abbisogni soprattutto la raccolta critica dei fatti". Strumento principale per lo studio di un periodo o di un autore è l'accurata, metodica e dettagliata analisi, essenzialmente di carattere filologico ed erudito, dei documenti letterari ed extraletterari riferibili all'oggetto di studio; l'analisi spazia così dalla ricostruzione particolareggiata delle biografie, fondata su precisi e documentabili elementi, alla restaurazione in senso fliologicamente corretto dei testi, o ancora all'esame e all'accertamento delle fonti e dei documenti storici e letterari ritenuti influenti sulla genesi e sullo sviluppo dei fatti letterari; sempre sul filo della verificabilità scientifica degli elementi analizzati e della positiva descrizione e comparazione dei testi, prima di ogni possibile valutazione estetica e critica; riprendendo così, per un verso, la grande tradizione settecentesca della ricerca erudita facente capo a L. A. Muratori, e, per l'altro, collegandosi alla nuove correnti positivistiche della cultura europea rappresentate da G. Paris, E. Renan, P. Meyer, che ponevano alla base di ogni indagine la necessità metodologica della rigorosa analisi dei fatti letterari e storici con i più moderni strumenti della filologia, della comparatistica e, in genere, delle scienze positive.
Su questa linea il D. si trovò accanto a D. Comparetti, G. I. Ascoli, tra gli altri, nell'impegno comune volto al rinnovamento degli studi letterari in Italia, nonché in sintonia con G. Carducci che dall'università di Bologna connetteva al programma metodologico e culturale la rivendicazione decisa di una funzione di orientamento e di guida che andava ben oltre il mero terreno accademico e letterario. La distanza dal metodo desanctisiano che diventò spesso, in altri esponenti della scuola storica, aperta polemica nel nome della scienza contrapposta all'impressionismo e all'estetismo della scuola romantica, si mantenne invece, negli studi del D., sempre nei limiti di una solida ed equilibrata misura, e di una dimensione umanistica e civile lontana dall'aridità della pura erudizione come da certe esasperazioni del metodo positivista.
Gli studi dei D. sono numerosissimi (la sua bibliografia comprende 1.240 titoli) e applicati a campi e periodi storico-letterari diversi. I più importanti riguardano la letteratura popolare e il teatro italiano. La prima opera fondamentale del primo versante è La poesia popolare italiana (Livorno 1878; 2 ediz. accresciuta, ibid. 1906), che era stata preceduta da altre edizioni critiche e commentate di testi popolari, come Attila, fiagellum Dei (Pisa 1864). La storia di Ginevra degli Almieri (ibid. 1863), La leggenda di Sant'Albano, prosa inedita del sec. XIV, e la storia di San Giovanni Boccadoro (Bologna 1865), La leggenda di Adamo ed Eva (ibid. 1870), Canti e racconti del popolo italiano (I-VI, Torino 1870-75), che pubblicò in collaborazione con D. Comparetti, come primi elementi di una collezione essenzialmente rivolta a mettere a disposizione degli specialisti autentici documenti delle tradizioni popolari italiane; su una linea, del resto, che negli ultimi decenni dell'800 raccolse in tutta Europa studiosi di varia formazione, concorrenti alla delineazione di nuovi indirizzi negli studi antropologici. Il D. continuò a lavorare per tutta la vita su questo terreno, pubblicando, tra l'altro Poemetti popolari italiani, raccolti e illustrati (Bologna 1889), Venti canti popolari italiani (Livorno 1887), una raccolta dei suoi studi più significativi sull'argomento stampata nel 1913 a Livorno con il titolo Saggi di letteratura popolare, tradizioni, teatro, leggende, e Saggio di una bibliografia ragionata della poesia popolare a stampa del sec. XIX (Halle 1905).
L'interesse per la cultura popolare, letteraria e teatrale, nasceva nel D. dalla convinzione del nesso stretto tra la letteratura di un popolo e la sua storia nazionale; proprio tale convinzione motivava il suo orientamento costante a ritrovare, con il più rigoroso metodo filologico e storico-erudito, nelle origini della letteratura italiana quella componente popolare che "altro non è, insomma, se non una forma particolare della nazionale poesia". Una impostazione di questo genere comportava il tendenziale distacco dalla concezione romantica che assimilava popolare a folkloristico; benché poi rimanessero ben avvertibili negli studi del D. influenze della cultura precedente, tanto più che le sue indagini si ricollegavano strettamente a quelle già intraprese e coltivate dal suo amico C. Nigra, su una linea che molto doveva alla opposizione di origine romantica tra natura e civiltà, tra primitivismo popolare e cultura "alta". Rimaneva nell'impostazione critico-metodologica danconiana il presupposto della spontaneità e semplicità di una anonima produzione popolare opposta alla letteratura colta, caratterizzata dall'artificio e dalla complessità. Come affermava nel saggio La poesia popolare italiana, anche se non sempre era possibile documentare che i testi citati potessero "a rigore dirsi nati fra il popolo, o dal popolo fatti propri, certo è che debbono il lor nascimento a forme di sentire ben diverse da quelle cui ispiravasi la poesia dei dotti e dei cortigiani". Gli studi successivi hanno ampliato decisamente il campo d'indagine, sia sul terreno teorico-metodologico sia su quello storico, superando visioni riduttive e ideologizzate del fenomeno; tuttavia la grande ricchezza di materiali riscoperti, raccolti e spesso ricostruiti nella loro integrità, sulla base di una lezione filologicamente rigorosa e accurata, rende le ricerche del D. sulla poesia popolare tuttora significative come punti di riferimento per gli studiosi e gli specialisti in quanto documenti di quella parte della cultura accademica e scientifica postunitaria che poggiava la propria attività disciplinare sulla netta e convinta affermazione del nesso tra unità letteraria, unità politica e unità linguistica del popolo e della nazione.
Alla medesima impostazione metodologica e intellettuale sono riconducibili gli studi dei D. sulla letteratura italiana dei primi secoli, alla quale dedicò molta parte della sua attività; studi confluiti in saggi, articoli, recensioni, poi raccolti in volume, come anche in edizioni critiche di testi. Tra i primi ricordiamo: Studi sulla letteratura de' primi secoli (Ancona 1884; 2 ediz., Milano 1891), che comprende un lungo saggio su Jacopone da Todi. Il giullare di Dio del sec. XIII (poi ripubblicato separatamente, Todi 1914); un'indagine sulla vita e sull'opera di Cecco Angiolieri da Siena, poeta umorista del secolo decimoterzo (in Nuova Antologia, gennaio 1874, pp. 5-57) e altri studi sempre condotti sul filo dell'indagine linguistica e storico-filologica, miranti alla ricostruzione documentata di ambienti, figure e forme della cultura. In altri volumi miscellanei il D. raccolse i suoi studi spesso già pubblicati sulla stampa periodica, che danno efficacemente il senso dell'unitarietà di ispirazione della metodologia danconiana, pure applicata a diversi settori di indagine. Si tratta di Studi di critica e storia letteraria (Bologna 1880; 2 ediz. con aggiunte, I-II, ibid. 1912), Varietà storiche e letterarie (s. 1, Milano 1883; s. 2, ibid. 1885), Pagine sparse di letteratura e storia. Con appendice "Dal mio carteggio" (Firenze 1914). Parallelamente andava curando edizioni critiche di testi che affiancavano e suffragavano le sue indagini storico-letterarie sul Due-Trecento, come le Novelle di Giovanni Sercambi (Bologna 1871; 2 ediz., Firenze 1886), Le antiche rime volgari secondo la lezione del cod. Vat. 3793 (in collaborazione con D. Comparetti, I-V, Bologna 1875-88), Il Tesoro di Brunetto Latini versificato (Roma 1888).
Una sezione particolare dell'interesse del D. per la letteratura dei primi secoli è occupata dagli studi danteschi che si dispongono lungo tutto l'arco della sua attività e costituiscono un blocco di ricerche di valore tuttora apprezzabile. Oltre l'edizione critica de La Vita nuova di Dante Alighieri riscontrata su codici e stampe (Pisa 1872; 2 ediz. accresciuta, ibid. 1884), si tratta di saggi, conferenze, prolusioni e articoli, dedicati ad aspetti vari e specifici dell'ambiente letterario e storico-culturale nel quale Dante visse, nonché delle sue opere. Tra i lavori principali: La Beatrice di Dante (Pisa 1865), I precursori di Dante (Firenze 1875). Prolusione ad un corso dantesco nella R. Università di Pisa (Pisa 1901), Il canto VII del Purgatorio letto da A. D'Ancona nella sala di Dante di Orsanmichele (Firenze 1901), Il canto VIII del Purgatorio. Conferenza tenuta in Sarzana il 30apr. 1905 nella sala del Consiglio comunale (in Dante e la Lunigiana, Milano 1909, pp. 1-32), Il De Monarchia. Conferenza letta da A. D'Ancona nella sala di Dante in Orsanmichele (Firenze 1905) e infine la raccolta di Scritti danteschi (Firenze 1913).
Le ricerche dantesche del D. si collocano nel quadro della rinata attenzione della cultura italiana ottocentesca per la figura e l'opera di Dante. L'occasione della celebrazione del centenario della nascita (1865) fu colta da studiosi di diversi indirizzi per farne un momento significativo del rinnovamento degli studi letterari in Italia, mettendo a confronto scuole e metodologie, e soprattutto le diverse concezioni della letteratura stessa, proprio a partire dalla sottolineatura comune del grande posto che Dante occupa nella letteratura e nella storia nazionale. Il contributo del D. si concentrò, anche in questo caso, prevalentemente sul terreno dell'erudizione e della precisa documentazione; su questa base poggiano le sue indagini sulla genesi storico-culturale della Commedia, ovvero sulle fonti letterarie e storiche del poema; come anche il saggio su Beatrice che ne ricostruisce la figura storicamente documentabile e il ruolo simbolico nell'opera dantesca passando attraverso la puntuale analisi di testi, concepiti principalmente nella loro funzione documentaria; o ancora l'accurata disamina delle tradizioni religiose cristiane, scritte e orali, nella prospettiva della confluenza di motivi cristiano-medievali nel poema dantesco. Anche negli studi danteschi, insomma, emerge con chiarezza l'attitudine di ricercatore minuzioso del D., insieme con la consapevolezza di rappresentare in tal modo un modello di analisi scientifica e accademica che comportava più ampie scelte di ordine culturale e civile.
L'opera maggiore del D. alla quale resta soprattutto legato il suo nome è Le origini del teatro in Italia. Studi sulle sacre rappresentazioni seguiti da un'appendice sulle rappresentazioni del contado toscano (I-II, Firenze 1877); la seconda edizione, riveduta e accresciuta, fu ristampata con il titolo Le origini del teatro italiano (I-III, Torino 1891), comprendente una seconda appendice sul teatro mantovano del secolo XVI (rist. anastatiche, Roma 1966, Torino 1971).
Si tratta di un imponente lavoro di raccolta, classificazione e analisi di materiali documentari diversi, concorrenti a definire il quadro religioso, letterario e politico nel quale si sviluppano le forme teatrali praticate in Italia nei primi secoli della storia nazionale; con attenzione ad aspetti tecnici delle sacre rappresentazioni (come l'"aspetto scenico", "gl'ingegni teatrali", "le pompe sceniche"), alla funzione e alle caratteristiche dei personaggi, e con analisi specifiche delle tre unità, di tempo, d'azione e di luogo, nelle rappresentazioni considerate. Applicando anche al teatro la sua consueta metodologia, il D. lavora congiuntamente sui testi e sulla ricostruzione storica, tracciando con grande ricchezza di dati e di notizie le linee di sviluppo delle forme teatrali in Italia (dramma liturgico, lauda drammatica, devozione e rappresentazione sacra, nella distinzione e successione affermata dal D.), dalle prime espressioni nelle quali si trovano mescolati elementi popolari ed elementi letterari, fino ai drammi profani dei secoli XV e XVI, modellati sulla sacra rappresentazione, che egli considera sottoposti alla stessa involuzione propria del periodo rinascimentale. La sottolineatura dell'origine e dei carattere cristiano di queste espressioni culturali, anche quando siano le forme popolari dei maggi, delle befanate, delle zingaresche analizzate in questo contesto, sottende l'intera analisi del D., come scrive nell'Introduzione al libro: "la forma, intorno alla quale volgeranno i nostri studj, ha sua radice nella cultura dell'età media e nella ispirazione cristiana, la quale fra noi apparisce assai maggiore nel dramma, che non nella lirica o nell'epopea" (p. 5). Insieme, la caratterizzazione popolare che il D. attribuisce alle forme originarie del teatro medievale: "la lauda è perciò la forma poetica ingenerata dall'entusiasmo religioso, che si manifestò nei più bassi ordini del popolo italiano durante la seconda metà del tredicesimo secolo"; nella convinzione, che sosteneva anche i suoi studi sulla poesia popolare, che le prime espressioni, in senso storico, sul terreno della poesia come della rappresentazione teatrale, avessero le loro origini in una cultura popolare, primitiva, che progressivamente andò cedendo terreno alla cultura "alta", fino ad essere completamente dominata e, da essa, soppiantata. Rimane tuttora di grande valore l'apparato bibliografico e documentario sul quale è condotta la ricerca, e che occupa grande spazio nell'opera del D., anche se l'impianto teorico e storico della sua analisi è stato decisamente messo in discussione dagli studi successivi, orientati su visioni meno lineari dello sviluppo delle forme teatrali e, più in generale, dello svolgimento della storia e dei fatti culturali.
Al teatro non solo medievale il D. dedicò molti studi, una gran parte dei quali pubblicati su riviste. Oltre ai volumi Musica e poesia nell'antico Comune di Perugia (Firenze 1875), Il teatro a Venezia sulla fine del secolo XVIII (Genova 1891), saggi e articoli riguardanti il teatro sono compresi nei volumi miscellanei citati precedentemente. Di particolare valore sono le edizioni di testi di carattere teatrale che il D. curò, con il consueto gusto per la documentazione diretta e, spesso, inedita: La rappresentazione di Santa Uliva (Pisa 1863), Sacre rappresentazioni dei secc. XIV, XV e XVI (I-III, Firenze 1872), Due farse dei sec. XVI (Bologna 1882), attribuite una a I. Dei Bientina, l'altra a F. Villani, Lettere di comici italiani del sec. XVII (Pisa 1883).
Ai due fondamentali filoni di studio sulla letteratura popolare e sul teatro il D. affiancò una gran mole di indagini e ricerche su varie fasi e personalità della storia letteraria italiana, orientato, anche in questo caso, prima di tutto alla scoperta e alla valorizzazione di testi e documenti. Ne sono esempio: Due scritture inedite di N. Machiavelli (Firenze 1872), Lettore inedite di illustri italiani (Pisa 1874), Lettere inedite di U. Foscolo (ibid. 1875), Le Odi di G. Parini (Firenze 1885). L'Italia alla fine del sec. XVI, giornale di viaggio di M. De Montaigne (Città di Castello 1889), Liriche di A. Manzoni (Firenze 1892), Carteggio di M. Amari (I-III, Pisa 1896-1907), Lettere di illustri scrittori francesi ad amici italiani (Pisa 1901), Memorie e documenti di storia italiana dei secc. XVIII e XIX (Firenze 1913).
Altri studi di tipo saggistico sono, tra gli altri: Commento di M. Amari (Firenze 1891), Parigi, la corte, la città (Pisa 1891), Federico Confalonieri su documenti inediti di archivi pubblici e privati (Milano 1898), Viggiatori e avventurieri (Firenze 1912), Ricordi storici del Risorgimento italiano (ibid. 1913), Scipione Piattoli e la Polonia (ibid. 1915). Notizie di carattere autobiografico si trovano nel volume Il primo passo (Roma 1883), che raccoglie dati autobiografici di molte personalità dell'epoca; ancora Ricordi di Giulia (Firenze 1898), necrologio scritto in oecasione della scomparsa della figlia tredicenne; mentre è tessuto sul filo della memoria, autobiografica ed evocante ritratti del passato, il volume Ricordi ed affetti. In memoria d'illustri italiani. Ricordi di maestri, amici e discepoli. Ricordi di storia contemporanea (con saggi di musica popolare). Ricordi autobiografici ed affetti domestici (Milano 1902; 2 ediz., considerevolmente aumentata, ibid. 1908).
Il prestigio del D. fu uno degli elementi che decretò il successo di un'opera diretta alle scuole, e che riproponeva in forma didattica i criteri essenziali della metodologia danconiana applicata allo studio e all'apprendimento della letteratura italiana: si tratta del Manuale della letteratura italiana, in collaborazione con O. Bacci (I-V, Firenze 1892-95; nuova ediz. interamente rifatta, I-VI, ibid. 1901-04), più volte ristampato negli anni successivi.
L'impostazione dell'opera è dichiarata con chiarezza dagli autori nella Prefazione: "Noi abbiamo voluto fare una raccolta di scritture, nelle quali alla bellezza della forma si accoppiasse l'attrattiva e l'utilità della materia, non che l'arte della composizione; e abbiamo cercato che ognuna svolgesse, per quant'era possibile compiutamente e largamente, l'argomento accennato nel titolo postovi innanzi" (p. 3). Su questa base è fissata la distanza dai tradizionali manuali per il bello scrivere, come quello dell'Ambrosoli, pure citato dagli autori come punto di riferimento; è quindi ordinata e accuratamente classificata una storia della letteratura italiana, corredata di brani antologici, apparati di note e bibliografie, che, benché invecchiata e superata nell'impostazione e nell'organizzazione interna della materia, legata com'è strettamente al metodo storico, rappresenta il migliore prodotto del genere uscito dalla scuola storica, ed è inoltre esemplare testimonianza dell'interesse dei D. per la ricerca scientifica, congiunto positivamente a una seria intenzione pedagogica e civile.
Come scrive L. Russo, ricordando il maestro, "gli ultimi tre decenni" della vita del D. "sono tutti rivolti alla storia diretta o indiretta del Risorgimento italiano". Il Risorgimento, infatti, fu vissuto e concepito dal D. principalmente nella sua funzione positivamente ideologica, come un complesso di valori nuovi, di carattere politico, culturale e storico, che segnavano una profonda diversità, nella storia nazionale, rispetto al passato. Per questa consapevolezza e convinzione, più volte espressa, in forme dirette o implicite, il D., al di là della collocazione nella scuola storica, rappresenta una figura esemplare di quella cultura accademica risorgimentale che, nel periodo postunitario, operò, servendosi soprattutto dei propri strumenti e competenze disciplinari e scientifiche, per formare e consolidare, sui nuovi valori della vita nazionale, il tessuto delle istituzioni civili e culturali dell'Italia unita.
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