CORTESI, Alessandro (Alessandro Tommaso)
Nacque probabilmente intorno al 1460 a San Gimignano, da Antonio, scrittore apostolico, e da Tita Aldobrandini.
La data di nascita, proposta indicativamente dal Paschini (p. 7), è accettabile, in quanto l'affermazione del Coppi (p. 339), secondo cui il C. sarebbe morto a trent'anni, è suffragata da quanto nel De Cardinalatu scrive Paolo Cortesi (c. XXV), ricordando come il fratello fosse morto "in ipsa... adolescentiae viriditate".
Da una lettera del Poliziano (Paschini 5, p. 6 n. 21), di cui fu amico d'infanzia, sappiamo che ebbe come precettore Gioviano Crasso; fu anche a Firenze, ospite di Lorenzo de' Medici (Pintor, pp. 13 s.). Comunque nel 1477 il C. era a Roma, già "clericus Volaterranus" e scrittore apostolico (Paschini, p. 7); frequentava l'ambiente umanistico e il Platina, prefetto della Biblioteca Vaticana, da cui il 28 marzo 1479 prese in prestito un manoscritto delle tragedie di Seneca, che restituì un mese dopo (Bertola, p. 18).
Del pieno inserimento del C. nell'ambiente umanistico romano rende testimonianza il fratello Paolo (n. 1465) il quale, nel De Cardinalatu (c. CXIC) ricorda come, quasi fanciullo, egli fosse introdotto dal fratello maggiore presso i personaggi romani più insigni per dignità e sapere, fra cui il Platina, Fosforo, Pomponio Leto.
A partire dal 1479 la massima parte della biografia del C. è ricostruibile attraverso la sua corrispondenza con l'amico fiorentino Francesco Baroni (il famoso notaio pallesco che più tardi stenderà gli atti del processo al Savonarola), pubblicata dal Pintor. Nel 1479 il C. fu a Pisa, donde scrisse una lettera al Baroni (Pintor, p. 11): comunque la sua residenza abituale doveva essere Roma, dove tra il 1480 e il 1481 fu rinchiuso a suo dire in Castel Sant'Angelo, dove rischiò la tortura perché partigiano dei Medici.
Il C. narrò la sua disavventura molto più tardi, in una lettera al Baroni del 1487, ricordando come intorno al 1480 avesse fatto conoscenza col dotto greco Armonio, giunto a Roma dopo essere stato scacciato da Firenze, e di averlo frequentato per impadronirsi maggiormente delle lettere greche. Unico motivo d'attrito fra i due sarebbe stato l'odio di Armonio per Lorenzo il Magnifico, che ne aveva ordinato l'espulsione, e a cui viceversa il C. e tutta la sua famiglia erano fedelissimi. Quando il greco, per delitti che il C. non specifica - ma probabilmente riconducibili all'incorreggibile pederastia che ne aveva forse determinato la cacciata da Firenze e che sicuramente ne determinò la morte per linciaggio nel 1487 - fu rinchiuso in Castel Sant'Angelo e torturato, cercò di aver grazia rivelando una pretesa congiura tramata dal C., su incarico del Magnifico, contro Sisto IV. Il C., rinchiuso a sua volta in Castel Sant'Angelo, rischiò la tortura e, a suo dire, la morte, che Sisto IV già pensava di infliggergli: fu salvato dalla ritrattazione di Armonio, che si impegnò ad abbandonare Roma e a non farvi mai più ritorno. Il papa volle allora conoscere il suo giovane scrittore apostolico, che ancora non aveva avuto modo di incontrare, e lo prese a benvolere (Pintor, p. 19). Forse fu allora che il C. scrisse e presentò al papa un'ode in esaltazione del suo governo (Paschini, p. 8; Banfi, p. 140): a meno che quest'opera, che il Paschini riteneva perduta, non sia da identificare con il Carmen in laudem pontificatus Sixti IV, risalente però al 1475, edito dal Vat. lat. 1133 a cura di D. Cortese ss. n. t. (ma Padova 1971), e che, pur andando sotto il nome del C., potrebbe essere attribuito anche al costantinopolitano Isacco Argiropulo (Cortese, p. 10).
Il 13 luglio 1481 il C. ebbe in prestito dal Platina la Ciropedia di Senofonte - che restituì il 25luglio - dando in garanzia un suo Tucidide (Bertola, p. 21); poi non abbiamo altre notizie su di lui fino al 5 genn. 1483, quando predicò nella basilica vaticana davanti al papa e al Collegio cardinalizio.
Lo stesso anno il C. pubblicò due volte il suo sermone, col titolo di Oratio abita in aede d. Petri in Epiphania, sia presso S. Planrick sia presso G. Herolt (Gesamtkat. der Wiegendrucke, VII, nn. 7795 e 7796). L'opuscolo contiene anche una lettera del C. al Fosforo (Lucio Fazini Mattei vescovo di Segni) con la risposta del destinatario. Col Fosforo, amico di famiglia - a Roma soggiornava presso Paolo Cortesi - il C. intrattenne anche in seguito una corrispondenza letteraria; nel 1485, presa occasione dagli elogi fatti dal Fosforo alle lettere del Poliziano, fece in modo di metterlo in contatto epistolare col grande umanista, anch'egli amico di famiglia ed ospite in gioventù di casa Cortesi (Paschini, pp. 10 s.).
Dopo una lettera del 21 apr. 1485, in cui, narra a Marco Maroldi della Bella come fosse stato trovato in un'antica tomba romana il corpo ancora intatto di una fanciulla, gli scritti e le epistole del C. sembrano indicare una netta prevalenza, in questa fase della sua vita, degli interessi politici.
Il 26 marzo 1486 (Pintor, p. 12; ma per la data cfr. Paschini, p. 11) chiedeva al Baroni informazioni sui preparativi militari fatti da Lorenzo in aiuto di Ferdinando di Napoli, allora in difficoltà per la situazione determinatasi in Italia dopo l'infelice conclusione della guerra di Ferrara (1482); contemporaneamente lamentava la tensione che attanagliava Roma per la guerra contro gli Orsini (Pintor, pp. 12 s.). Il 13 aprile, continuando a lamentare il disordine e la peste dovuti alla guerra imperversante a Roma, manifesta chiaramente il proprio rimpianto per la Toscana e per l'ospitalità degli amici e di Lorenzo stesso (Pintor, pp. 13 s.). Il 28 gennaio dell'anno successivo si dice lieto di avere potuto affittare una delle sue due case al vescovo di Arezzo, Gentile Becchi, non solo perché uomo di studio, ma perché è anch'egli "lorenziano". Lamenta di esser segnato a dito, nell'ambiente romano, come mediceo. Infine, probabilmente come culmine di questa captatio benevolentiae, indirizzata attraverso il Baroni a Lorenzo stesso, chiede che gli sia inviata la Vita di Cosimo il Vecchio, onde poter meglio conoscere le imprese di tant'uomo (Pintor, p. 16). Richiede con istanza il testo anche il 17 marzo e finalmente l'ottiene: intorno a metà aprile dichiara di aver ricevuto l'opera e di aver cominciato a diffonderla nell'ambiente romano, sia tra i partigiani dei Medici sia tra i loro detrattori. Nella conclusione della lettera, esaltando Firenze al di sopra di Roma, il C. ricorda ancora una volta i pericoli affrontati per la sua fedeltà di mediceo. Tanto entusiasmo e tante profferte di fedeltà non erano, naturalmente, del tutto disinteressate: il C. pensava che ormai il Magnifico dovesse avere nei suoi riguardi un debito di gratitudine, e sperò di ottenere l'abbazia camaldolese dei SS. Giusto e Clemente di Volterra, assegnata nel 1485 a Carlo de' Medici perché la cedesse poi a Giovanni appena avesse raggiunto l'età canonica. Quando Innocenzo VIII concesse a Giovanni la ricchissima abbazia di Montecassino (concistoro del 13 marzo 1487) il C. credette che Lorenzo potesse far rinunciare il figlio al più modesto beneficio volterrano in suo favore: ma nulla ottenne, nonostante dichiarasse che il pontefice gli aveva promesso l'abbazia di Volterra, in caso di rinuncia o morte dell'abate, già precedentemente e si appellasse a Lorenzo ricordandogli la sua lunga fedeltà (Pintor, pp. 20 s.).
Forse in ricompensa della delusione, il 29 maggio 1487 Innocenzo VIII concesse al C. l'ufficio di maestro del registro delle suppliche; inoltre, il vecchio ufficio di scrittore apostolico doveva essere già stato trasformato, nei mesi precedenti, in quello più importante di "scriptor et sollicitator" (Paschini, p. 17).
In questo periodo si pose in viaggio con lo scopo dichiarato di visitare Provenza e Francia, ma forse con l'inespressa speranza di trovare presso la corte francese uffici più redditizi di quelli ricoperti a Roma. Il C. ripercorse l'itinerario compiuto l'anno precedente da Giovanni Pico della Mirandola, viaggio di cui aveva avuto conoscenza e di cui aveva scritto al Baroni in una lettera del 1° luglio 1486 (Pintor, pp. 14 s.).
Nulla, se non che aveva ripercorso fedelmente le orme del Pico, visitando gli stessi luoghi e le stesse persone del suo predecessore, si desume dalla lettera che, probabilmente alla fine dello stesso anno il C. indirizzò da Roma al Pico per propiziarsene l'amicizia. In essa, dopo aver ricordato la sua familiarità con i fratelli di Giovanni, Galeotto e Antonio, gli chiedeva una risposta e insieme copia dell'Oratio panegyrica in lode di Lorenzo (in L. Dorez - L. Thouasne, Pico de la Mirandole en France, Paris 1897, pp. 106 s.); risposta e copia che il C. ottenne quasi immediatamente (Paschini, pp. 14 s.).
Di un viaggio transalpino del C. ci resta anche traccia in un opuscolo di poesie indirizzate a Luigi XI, in cui il poeta dichiara di essersi recato in Francia spinto dalla fama del sovrano: il libretto, testimonianza certo del desiderio del C. di trovare una sistemazione sicura alla corte di Luigi, fu noto al Tiraboschi (pp. 878 s.) che però lo credette indirizzato al più tardo Luigi XII, ed è stato recentemente edito (Ad Christianissimum Ludovicum Francorum Regem Opusculum, Dino Cortese patavino curante, Patavii 1976).
Senza dubbio il viaggio restò senza frutti e le lettere dei due anni successivi (Pintor, pp. 21-30) ci mostrano il C. occupato quasi unicamente nel tentativo di migliorare la sua posizione economica.
Già in una lettera del 31 dic. 1487, pur affermando che non abbandonerebbe Roma dove vive onoratamente a casa sua circondato da letterati e in familiarità con principi e cardinali, se non per la certezza di un grande guadagno, contemporaneamente si lamenta di non esser riuscito a farsi assumere da un principe che gli permettesse di migliorare le sue condizioni economiche; continua a chiedere a Lorenzo una prelatura, ma si dichiara disposto anche a un ufficio di segretario, nonostante non ami l'obbligo di vestire l'abito ecclesiastico che tale carica comporta. Il C. si doveva certo trovare in difficoltà economiche, o almeno gli doveva riuscire difficile mantenere il tenore di vita cui le sue tradizioni familiari lo obbligavano: egli chiede al solito Baroni di intercedere presso Lorenzo perché ottenga per lui dal papa a un prezzo minore di quello che pretendevano i privati (2.300-2.400 ducati) l'ufficio venale di abbreviatore, commutando con esso i suoi uffici di scrittore e di sollecitatore delle lettere apostoliche, che valevano complessivamente 1.400 ducati. Per sé avrebbe continuato a mantenere l'ufficio di maestro del registro delle suppliche.
Nel luglio del 1488 il C. si recò a Napoli unendosi al fastoso seguito del cardinale Pierre de Foix: fine di tale viaggio era, ancora una volta, di ottenere un beneficio ecclesiastico da re Ferdinando; ma anche questa speranza andò delusa, come amaramente il C. narra in una lettera da Roma, del 22 novembre, all'amico Baroni (Pintor, p. 28).
Eppure il viaggio a Napoli doveva essere stato organizzato con cura: a cavallo tra il 1477 e il 1478 il C. si era preparato ad ingraziarsi re Ferdinando scrivendo in esametri un poemetto in lode di suo genero Mattia Corvino (Pintor, p. 24);contemporaneamente, per far cosa gradita a Lorenzo - da cui chiedeva di essere raccomandato al re di Napoli - lavorava, in collaborazione con fra' Giocondo, ad una grande raccolta di epigrammi latini (Pintor, pp. 25 s.). L'impresa era non solo faticosa per la gran mole di materiale da raccogliere, ma anche, a quanto lamentava il C. in una lettera del 15 luglio 1498, assai costosa per le sue finanze, evidentemente ormai esauste: l'alto costo dei copisti l'aveva costretto addirittura a indebitarsi (Pintor, p. 27).Anche da Napoli il C. continuò a intrattenere stretti rapporti con Firenze: pochi giorni dopo la morte di Clarice Orsini (30 luglio 1498) già mandava di là a Lorenzo suo marito una consolatoria (Banfi, p. 142).
Dopo la delusione napoletana, il C. sembra abbandonare improvvisamente ogni ambizione di carriera: tutti i documenti relativi agli ultimi due anni della sua vita ce lo mostrano occupato unicamente nell'attività letteraria. Non è improbabile che tale repentino cambiamento di interessi fosse dovuto anche all'insorgere della malattia che di lì a non molto lo avrebbe portato alla tomba: già il 28 maggio 1489, giorno dell'Ascensione, il Burcardo (p. 267) ricorda che il C. non poté pronunciare il suo sermone nella basilica vaticana per motivi di salute.
In una lettera del 31 dic. 1488 il C. propone al Baroni uno scambievole invio della più recente produzione poetica degli ambienti letterari romani e fiorentini, e gli invia un'elegia di Manilio Rallo in lode del Pontano (Pintor, pp. 31 s.). Il Poliziano gli scrisse l'11 ag. 1499 per lodare il panegirico di Mattia Corvino e in difesa della propria versione di Erodiano (in I. Del Lungo, Florentia, Firenze 1897, pp. 250 s.); Ugolino Verino gli mandò in esame degli excerpta della sua Carliade (Pintor, p. 33). Il 25 dic. 1489 giungeva a Roma la notizia della caduta di Baça in Andalusia, strappata dagli Spagnoli ai Mori: su istanza del cardinale Pierre de Foix il C. scrisse sull'argomento una Silva, che già il 10 gennaio dell'anno successivo egli inviava al Baroni perché la facesse prendere in esame dai letterati di Firenze. Intanto aveva iniziato un'opera in prosa di cui nulla sappiamo, e andava scrivendo un'elegia intitolata Parthenope (Pintor, p. 34).
II C. morì a Roma tra il 6 aprile, quando è ricordato dal Burcardo (p. 302), e il 5 maggio 1490, quando Innocenzo VIII concesse a Gianfranco Conti l'ufficio di sollecitatore delle lettere apostoliche, già del C. (Arch. Segr. Vaticano, Reg. Vat. 695, ff. 219v s.).
Il sospetto che fosse in difficoltà economiche è confermato da una lettera del fratello Paolo, che lamenta di aver dovuto pagare debiti che il C. si era assunto come garante di altri (Pintor, p. 37).Ne piansero la morte il Poliziano, che nell'occasione compose un'ode, Michele Marullo e fra' Battista Mantovano (Paschini, pp. 24 ss.).
Morto a trent'anni, il C. come non poté realizzare le sue ambizioni di carriera ecclesiastica, così non riuscì a mettersi in particolare evidenza nell'ambiente letterario: il poco che di lui ci resta, a parte le lettere, consiste in componimenti di occasione che hanno come unico pregio una notevole eleganza formale. Una certa fortuna di stampe, per la sua attinenza ad uno dei momenti più felici della storia ungherese, ebbe il panegirico di Mattia Corvino, in cui il C. esalta in più di mille esametri le imprese militari del grande sovrano. Il C. teneva molto a tale opera, e, forse prima di pubblicarla, volle farla esaminare dal Poliziano e dagli amici fiorentini: il Poliziano rispose, come si è detto, con parole di elogio, ma lo avvertì che Michele Marullo Tarcaniota si andava vantando che i versi migliori del poemetto erano suoi, in quanto il C. precedentemente glielo aveva dato perché lo correggesse (Banfi, p. 148; Capponi, p. 142).Comunque il C. pubblicò l'opera a Roma presso il Silber, senza anno, ma probabilmente nel 1489, col titolo De laudibus Matthiae Corvini poemation, liber primus (Gesamtkat. der Wiegendrucke, VII, p. 181; L. Hain, Repertorium bibliographicum, n. 5774). Del poemetto il C. fece anche un'altra redazione, che inviò al re in un esemplare di dedica, intitolato Laudes bellicae Matthiae Corvitti Hungariae Regis, spiegando di aver scritto due poemetti per lodare rispettivamente le imprese di guerra e di pace di Mattia, e promettendo di inviare fra breve il secondo libro. Non sappiamo se il C. abbia scritto, o iniziato a scrivere, quest'altra parte della sua opera; certo è che il primo libro, pur non avendo suscitato grande interesse nell'ambiente umanistico italiano, godette di un notevole successo di edizioni - discendenti dall'esemplare di dedica a Mattia Corvino - in ambito mitteleuropeo, a cominciare da quella curata a Hagenau nel 1531 da V. Opsopoeus fino all'edizione critica teubneriana, che tiene conto anche della redazione a stampa, curata da J. Fogel (Lipsiae 1934). Scarso valore letterario ha la Silva de triumphata Bassa Almeria Granata, scritta, come si è detto, in pochi giorni a istanza del cardinal de Foix: è uno dei vari componimenti di occasione che furono scritti a Roma per celebrare la notizia della riconquista dell'Andalusia (notizia che certamente era giunta amplificata, visto che in realtà Granada fu riconquistata solo due anni più tardi). Anche questa volta il C. mandò il suo poemetto al Baroni, perché lo facesse esaminare al Poliziano e agli amici fiorentini; ancora una volta dal conseguente coro di lodi si dissociò con grande disappunto del C. (Pintor, pp. 34 s.) Michele Marullo, cui pure egli teneva che fossero fatti vedere questi suoi versi estemporanei, su cui il Marullo non aveva almeno messo le mani. La Silva fu stampata senza note tipografiche, probabilmente a Roma dal Silber (G.K.W., II, 7797: ma oltre all'esemplare di Stoccarda ve n'è uno nella Bibl. Vaticana [Rossiana 7968]). Nulla sappiamo di un volume di Carmina del C., che secondo il Hain (5775) sarebbero stati stampati a Firenze nel 1483.
Il C., inoltre, fu forse autore di un sermone (Quod papa praesit temporalibus contra Laurentium Vallam) contro la famosa Donazione del Valla pronunziato in S. Pietro davanti al papa e ai cardinali in data ignota e conservato in quello stesso codice 582 della Bibl. capitolare di Lucca (ff. 270-274) che contiene il più noto Antivalla di suo padre Antonio (Antonazzi, p. 218).
Fonti e Bibl.: Fondamentale, per la ricostruzione della biografia del C., è l'epistolario edito a cura di F. Pintor (Da lettere ined. di due fratelli umanisti, per nozze Savi-Lopez, Perugia 1907, pp. 11-37, cui per gran parte dei dati fanno riferimento sia il saggio di F. Banfi (A. T. C., glorificatore di Mattia Corvino re d'Ungheria, in Arch. stor. per la Dalmazia, XII [1937], pp. 535-560), sia quello, ormai per molti versi definitivo, di P. Paschini (Una famiglia di curiali nella Roma del Quattrocento: i Cortesi, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XI [1957], pp. 7-26). Si vedano inoltre: P. Cortesi, De cardinalatu, in Castro Cortesio 1510, cc. XXV, LXXVII, CXIC; Id., De hominibus doctis, Florentiae 1734, p. 44; Io. Burckardi Liber notarum, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., I, Mediolani 1723, pp. 267 e n. 3, 302; Giacomo da Volterra, Diario, ibid., XXIII, 3, ibid. 1733, p. 113; I due primi registri di prestito della Bibl. Apostolica Vaticana, a cura di M. Bertola, Città del Vaticano 1942, pp. 3 e n. 1, 21, 122; G. V. Coppi, Annali ... di Sangemignano, Firenze 1695, p. 339; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, 1, Venezia 1795, pp. 280, 878 s.; G. Antonazzi, L. Valla e la donazione di Costantino con un testo inedito di A. C., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, IV (1950), pp. 217 s.; P. O. Kristeller, Studies in Renaissance Thought and Letters, Rome 190, pp. 378 s.; L. A. Capponi, Per una biografia di G. Giocondo, in Italia medievale e umanistica, IV (1961), p. 142.