CARLI, Alessandro
Nato a Verona il 21 febbr. 1740 da nobile famiglia, frequentò il locale liceo diretto dai padri gesuiti e completò poi i suoi studi a Venezia. Tra il 1766 e il 1767 compì un lungo viaggio attraverso l'Europa toccando due tappe d'obbligo per un giovane colto dell'epoca, Parigi e Ferney, la residenza di Voltaire il cui genio ormai da anni dominava l'Europa dei lumi. In quel periodo il filosofo francese era dedito soprattutto a studi e ricerche teatrali, e a Parigi i due attori Lekain e m.lle Cairon stavano dando grande fama alle sue opere più note, che riscuotevano eccezionale favore di pubblico e di critica. Nella ristretta cerchia dei frequentanti il Castello di Ferney il C. partecipò alle vivaci e appassionate discussioni sull'arte tragica, sull'intreccio, i mezzi espressivi del teatro e il modo di recitare, di cui era animatore lo stesso Voltaire; fu soprattutto il Tancrède a lasciare traccia profonda su larga parte della sua successiva produzione. Tornato a Verona agli inizi del 1768 si dedicò con passione al teatro, mettendo in scena l'anno seguente il Telone ed Ermelinda, opera fin troppo ligia nella vivacità dell'intreccio e nella ricchezza dell'azione al modello francese (Piva, p. 320). Questa tragedia affronta per la prima volta in Italia, come già il Tancrède in Francia, un tema nazionale e medievale; modesta anche la successiva, I Longobardi (1769), dedicata a Cesare Beccaria, frettolosa nella stesura e nella realizzazione, con frequenti richiami scenografici all'olympie di Voltaire.
Dopo cinque anni di silenzio, forse dedicati a un più meditato approfondimento della lezione di Voltaire, nel 1773 il C. rappresentò l'Ariarato, dramma ricco di toni preromantici e in cui gli elementi voltairiani, come il gusto per i grandi quadri tipici dell'Olympie e le venature anticlericali, si fondono con temi e moduli desunti da Corneille.
Il clamoroso fallimento dell'opera, da lui attribuito all'insufficienza di sceneggiatori e attori, lo indusse a realizzare in Verona unn piccola scuola di arte drammatica. Così nell'inverno del 1774 diede vita a una compagnia costituita da vari uomini di cultura, che ebbe come animatrice la contessa Silvia Curtoni Verza e fu per parecchi anni il tramite a Verona della conoscenza del teatro francese.
Col passare degli anni però la sua passione per il teatro, che coltivava anche nella sua residenza estiva di Chievo, andò progressivamente affievolendosi, forse anche per l'insuccesso di alcuni suoi lavori. Tipico uomo del Settecento, il C. coltivava anche altri interessi culturali, tra cui la storia aveva un ruolo di assoluto rilievo. Perciò il 23 dic. 1790 il Consiglio deidodici di Verona, sapendo che da anni il C. stava lavorando al riordino delle memorie cittadine, l'incaricò di compilare la storia di Verona, disponendo che gli uffici del comune gli fornissero i documenti necessari e invitando i privati a dargli in visione libri e archivi familiari.
Anni di intenso lavoro, che concludono una ricerca in parte già iniziata in precedenza, ottengono il consenso delle autorità cittadine che il 22 genn. 1794 deliberano di stampare 200 copie dell'opera ormai ultimata a spese della comunità. Nel 1796 infine escono a Verona sette grossi volumi col titolo di Istoria della città di Verona sino all'anno MDXVIII divisa in undici epoche.
Il C. si era messo al lavoro con scrupolo e solida preparazione; ne sono testimoni le accurate ricerche negli archivi cittadini, l'ampia e intelligente utilizzazione di fonti epigrafiche, iconografiche, antiquarie, oltreché, ovviamente, di un'ampia e selezionata scelta di cronache medievali e moderne. Orgoglioso di aver superato i Commentarjsulle antichità veronesi di Onofrio Panvinio, che egli definisce "un ammasso incoerente di condite bensì, ma non quanto farebbe d'uopo concatenate notizie", il C. ricorda il Dalla Corte, il Mascardo e il Biancolini tra gli autori di storie veronesi cui ha attinto con particolare ampiezza; il Muratori e Scipione Maffei della Verona illustrata sono i modelli dichiarati del suo lavoro.
La lunga e articolata Prefazione dell'Istoria, che tradisce nel disegno e nello spirito una evidente impronta voltairiana, enuncia in modo esemplare il coerente razionalismo dell'opera. Tracciando un panorama della storia antica di Verona egli fa propri giudizi di valore tipicamente voltairiani sul Medioevo veronese; i "luridi anni del Medio Evo" in cui "il disordine e l'incoerenza delle notizie vanno del pari collo scompiglio dell'Istituti e colle barbare azioni" (p. XIII) gli suscitano solo disgusto. Gli pare difficile delineare il profilo della storia di Verona in quell'età in cui difettano anche le fonti narrative, perché né le memorie "combinate in rozzi racconti" dei monaci "ineruditissimi, com'esser dovevano in quella età d'ignoranza" e "privi della sensatezza, che suol pur dare la convivenza sociale, e l'uso del mondo", né le disadorne ed assurde leggende compilate dai notai e "ridondanti di inesatta semplicità", né infine le cronache del X secolo "aride e scarnate epitomi di avvenimenti" possono soddisfare il suo desiderio di notizie composte in eleganti narrazioni. Sicuro della sua fede nel progresso e ansioso di verificare il benefico apparire della ragione - anche nelle vicende di Verona, egli individua nel Trecento il primo "tralucere" di "qualche raggio di buon senso dalla stessa rozzezza del XII e del XIII secolo". Ma è solo nel suo secolo, "fecondo di chiari uomini per ogni ramo della letteratura, ed in particolare d'indagatori d'ogni genere di antichi monumenti", che una vera e completa storia di Verona sarà possibile. Il suo programma di esaminare "le forze della ragione e del suo sviluppo" (p. XLI) si concreta in primo luogo nella liberazione della storia delle origini dalle incrostazioni leggendarie; la narrazione si distende poi in successione cronologica sino al 1518 con una netta prevalenza quantitativa della parte dedicata alla signoria dei Della Scala di cui si sforza di dare un equilibrato giudizio.
Il rigido assunto illuministico della Prefazione trova però assai modesto riscontro nello sviluppo dell'opera, che non si discosta molto dalle numerose compilazioni di storia municipale che fioriscono nella Repubblica veneta negli ultimi decenni del secolo. Scrupoloso e preciso, il C. cita puntualmente le fonti, per lo più narrative, delle sue notizie e cerca, sia pure con scarso successo, di inserire in un quadro organico la fittissima rete di azioni e fatti che va pazientemente tessendo.
La condanna pesante e senza riserva dell'età medievale, "quella lunga e profonda notte, che formò un argine di separazione, e di deforme intervallo fra la continuità e adesione dei colti secoli" (I, p. 380), gli fa velo ad una adeguata comprensione della realtà di Verona; la sua simpatia va tutta all'età delle Signorie e del dominio dena Repubblica veneta di cui esalta il pacifico dominio, la "somma potenza e le eccellenti virtù politiche" (VI, p. 163). Colpisce invece per la sua eccezionalità il positivo giudizio su Rotari, le cui leggi "nate dalla naturale cognizion delle cose, ed esposte senz'albagia di dettato, hanno superato a qualche riguardo la civil disciplina di assai più colte nazioni (II, p. 168).
Se il C. autore drammatico trasse dalla imitazione di Voltaire idee e ispirazioni per un buon lavoro di rinnovamento di temi e strutture sceniche, il C. storico è tributario ben più modesto del filosofo di Ferney. Solo alla fine del suo lavoro egli sembra ricordarsi che la storia non è solo arido allineamento di uomini, fatti, date, e così lo vediamo dedicare parecchie pagine alla descrizione fisico-geografica del territorio, alla cultura e alle scienze di Verona. Sono notizie modeste, disorganiche e avulse dal contesto dell'opera; la lezione dell'Essai sur les moeurs di Voltaire per una nuova storia della civiltà è lasciata cadere. Così la sua Istoria risulta una onesta e diligente compilazione erudita, arida e priva di vigore, piatta nello stile e pesante nel tessuto narrativo.
Il suo breve carteggio con Voltaire, che risale agli anni della sua attività di autore drammatico, testimonia insieme con le tragedie e al deciso taglio razionalistico dell'Istoria degli intensi legami che unirono l'Italia del '700 alla cultura illuministica francese.
Allo stato attuale delle ricerche mancano notizie sull'attività del C. durante il periodo giacobino e napoleonico. Morì a Verona nel 1814.
Fonti e Bibl.: Verona, Biblioteca civica, Carteggio Carli;G. A. Moschini, Della letteratura venez. del secolo XVIII fino a' nostri giorni, Venezia 1806, I, p. 134; IV, pp. 36, 38; G.Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni. Studi storici. Appendice, Venezia 1857, p. 120; A. Parducci, La tragedia classica ital. del sec. XVIII anteriore all'Alfieri, Rocca San Casciano 1901, pp. 139 ss.; V. Giglio, Salotti veronesi del secolo XVIII, in Novissima antol. di scrittori moderni, Verona 1908, p. 108; G. Natali, IlSettecento.Milano 1929, pp. 130, 968, 1024; F.Piva, Voltaire e la cultura veronese nel Settecento: il conte A. C., in Aevum, XLII(1968), pp. 316-331.