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CAPERANO, Alessandro

di Claudio Mutini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)
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CAPERANO, Alessandro

Claudio Mutini

Nacque tra il 1480 e il 1490 a Faenza, figlio di Melchiorre notaio e di certa Cassandra, che risulta ancora in vita nel 1512. Imparentato con la famiglia Sassatelli si dichiara il C. nella lettera, indirizzata a Giovanni Sassatelli, premessa alla seconda edizione delle proprie rime. Le uniche notizie biografiche che possediamo su di lui sono in gran parte determinabili da accenni contenuti nelle poesie. Sappiamo così che ebbe due mogli, Beatrice di ser Iacopo Pedroni (che risulta vivente nel 1526), dalla quale ebbe tre figli: Melchiorre, Cassandra e Giacomo; e Parisina Folli, ricordata in due atti notarili del 1536 e del 1539.

Dovette molto presto abbandonare la sua città e trasferirsi a Roma, ove è testimoniata la sua presenza nel 1503, come soldato di parte guelfa al servizio del Sassatelli, al quale, come si è detto, dedicherà nel 1508 la seconda edizione dell'Opera nova ricordandogli uno scontro particolarmente violento in cui si trovò coinvolto a Roma all'epoca della morte del pontefice Alessandro VI.

Nel 1503 Dionisio Naldi, nelle cui file militava il Sassatelli, passò al servizio di Venezia, e il C. naturalmente lo seguì, lamentando nelle rime la vita particolarmente disagiata cui era costretto militando per la Serenissima. Risale quasi sicuramente a quest'epoca una lite giudiziaria che il C. ebbe a sostenere proprio a Venezia contro certo Piero Grimaldo. La vittoria riportata nella causa gli procurò 500 ducati con i quali sembra che poté migliorare alquanto il proprio tenore di vita.

Forse sollecitato da una urgenza di carattere economico, decise di dare alle stampe le proprie poesie, senza tuttavia ricavarne gli utili sperati, tanto che nel 1508 volle ritentare la fortuna editoriale ristampando, probabilmente con notevoli aggiunte, le liriche già edite qualche anno prima. Questa edizione reca nel frontespizio: Opera nova de Alexandro Caperano Faventini, novamente stampata; nell'ultima pagina si legge l'indicazione: "Stampata a Venetia per Giorgio di Ruscon Milanese. MDVIII, a di XII Octobris". Nel caso che a quel "novamente" debba attribuirsi il significato reale di opera ristampata da una precedente edizione (significato non sempre riscontrabile in simili diciture cinquecentesche), alcuni elementi intrinsechi alle rime farebbero pensare che la prima edizione fosse avvenuta intorno al 1505.

Sonetti d'argomento amoroso, alcuni capitoli autobiografici vertenti soprattutto sull'esperienza di soldato, una "disperata" e alcune "barzellette" compongono questo canzoniere che rimase quasi totalmente sconosciuto trovando pochi e tardivi cultori entro il ristretto ambito della tradizione locale. Il che può sembrare strano per uno scrittore che considerò il mestiere letterario in maniera non dissimile da molti suoi coetanei più fortunati, ma può anche spiegarsi tenendo presente l'ostinata e manifesta antiletterarietà di cui volle sempre gloriarsi il Caperano.

Nelle liriche d'amore lo scrittore si rivolge a una certa Onofria che egli celebra in vita e compiange dopo la morte secondo una consuetudine che si direbbe petrarchistica se l'incompiutezza del dettato non avvicinasse l'autore ai rimatori di piazza piuttosto che all'archetipo dell'imitazione in volgare. Ma ciò poi che distingue il C., anche nelle poesie d'amore, dalla contemporanea rimeria popolaresca è la forte connotazione affettiva, certa nativa espressività del linguaggio che lo pone, se non ad un livello d'arte, certo in una sfera diversa e più facilmente individuabile di quella riservata al folclore popolare.

Meno interessanti, anche se sinceri e talvolta manifestamente improntati a dure esperienze di vita, sono i sonetti dettati dalla collera e dal sarcasmo verso i nemici personali. Affatto irrilevante è l'invettiva politica, mentre assume toni pregevoli la poesia morale e religiosa: chiusa e risentita la prima, come scaturita da un fosco presentimento del proprio avvenire, sinceramente devota la seconda come quella di un uomo che ritrova una fede nativa nella sregolatezza, nel peccato, nei disordini immancabilmente connessi alla dura esistenza del mercenario. Lo scrittore che rievoca con sincero trasporto di nostalgia la donna amata e perduta è il medesimo che trova nel ripudio del proprio passato gli accenti più veementi del pentimento e del rifugio nella fede. Sotto questo aspetto le rime di devozione non costituiscono un risvolto letterario dell'ultima parte di questo canzoniere, ma sono in qualche modo implicite in tutta la vicenda lirica del C., vissuta nell'immediatezza dell'abbandono e del rimorso, della gioia per una nativa esuberanza e dell'insoddisfazione per la facilità dell'appagamento.

Bibl.: G. B. Mittarelli, De litteratura Faventinorum, Venetiis 1775, p. 57; F. Zambrini, Rime antiche edite ed inedite d'autori faentini, in Rime di alcuni autori romagnoli, Imola 1846, pp. 53-57, 71-72; A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza, I, 2, Faenza 1882, p. 35; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, p. 581; G. Carducci, Opere (ediz. naz.), XV, p. 401; A. Cavalli, Un rimatore faentino del secolo XVI: A. C., in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 4, XI (1921), pp. 162 ss.

Vedi anche
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