CAMPIGLIA, Alessandro
Di antica famiglia vicentina, è sicuramente da identificare con quell'Alessandro, primogenito di Francesco, a favore del quale, purché si addottorasse, testava nel 1593 la sorella del padre, la poetessa Maddalena, impegnandolo a provvedere, una volta morta, alla stampa di quegli scritti, tra i suoi vari inediti, che Curzio Gonzaga ed Orsatto Giustinian avessero giudicati meritevoli di diffusione; niente tuttavia della Campiglia fu pubblicato dopo la sua scomparsa. Il C. si laureò in legge a Padova, ove risulta, nel 1600, segretario dell'Accademia dei Ricoverati; verso la fine del sec. XVI era membro dell'Accademia Olimpica di Vicenza. Al principe di questa, Girolamo da Porto, dedicava la Disputatio in qua ostenditur praestare comoediam atque tragoediam metrorum vinculis solvere di Paolo Beni, che faceva pubblicare a Padova nel 1600.
L'erudito settecentesco Paolo Calvi, unica fonte peraltro delle nostre scarsissime conoscenze sulla biografia del C., erra laddove accenna ad un successivo incrinarsi dei rapporti tra questo e il Beni, che la stampa della Disputatio fanno supporre amichevoli: confonde il C. col "dottor vicentino" Giovanni Pietro Malacreta, che col Beni polemizzò con le sue Considerationi... sopra il Pastor Fido (Vicenza 1600, e Venezia 1601). Tant'è vero che il Beni, nella Risposta alle considerationi (Padova 1600), contrappone all'animosità dimostrata dal Malacreta verso la sua Disputatio la cortesia del suo concittadino C., per merito del quale "cotal Discorso" venne "dato in luce". Ed il Calvi è ancora inesatto quando, quale esempio dell'attività di verseggiatore del C., rimanda a dei versi pubblicati nella Ghirlanda in onore di Almorò Zane, podestà di Padova, curata dal servita Giacomo Bordoni (Padova 1608), che in realtà sono del vicentino Alessandro Maganza. È invece del C. un'operetta schematica, non registrata dal Calvi, De multiplicis homine compositione... (Patavii 1596), dedicata al nunzio pontificio a Colonia Coriolano Garzadori.
Pure del C. è La Rotonda overo delle perturbationi dell'animo. Dialogo... nel quale si ragiona de gl'affetti filosoficamente, e dell'arte,colla quale l'oratore ha da perturbare l'animo (Venetia 1609), dedicata al doge Leonardo Donà.
Accolti dai conti di Capra nel "nobil albergo... della Rotonda", la celebre villa palladiana, ove sostano nel viaggio da Venezia a Milano, i patrizi veneziani Pietro Falier, Nicolò da Ponte, Girolamo Priuli e il vicentino Pomponio Montanari, sollecitati dalla passione amorosa del primo - "piaga" contro la quale a nulla valgono "gli empiastri di Ovidio" - ne prendono l'avvio per discorrere con pacatezza degli intimi turbamenti.
Trasferitosi a Venezia ove pare esercitasse l'avvocatura, il C., forse, si accostò ad ambienti decisamente antispagnoli e anticuriali e, nel contempo, filofrancesi. Certo era in rapporto coll'ambasciatore francese Brulart de Leon, che chiama "mio singolarissimo padrone"; ed in una lettera del 7 apr. 1617 - nella quale non appare il destinatario, che dev'essere comunque "monsieur de Puisieux membro del consiglio di stato" di Luigi XIII, nominato in un'altra sua lettera - si diceva "servitore sviscerato" della monarchia francese, dichiarandosi disposto a collaborare con il successore del Brulart de Leon "se questo signore haverà bisogno di cosa alcuna, di qualche reale informatione in questi paesi". Deluse dalla morte del re le sue speranze in Enrico IV di Borbone e nella sua finale volontà di muoversi, finalmente, "da Parigi coll'essercito, per conservar a tutta l'Europa", in particolare all'Italia, "la libertà", che la preponderanza asburgica veniva via via soffocando, il C. pubblicò nel 1617 a Venezia Delle Turbolenze della Francia in vita del re Henrico il Grande... Libri X, "ne' quali non sol si narra la nascita, l'educatione, la ragione di succedere alla Corona, i travagli, le grandi Imprese di quel Re, le Guerre, le Leghe, le divisioni del Regno, la Pace, e la libertà donata; ma si trattano politicamente gl'interessi, et i fini particolari, ch'ebbero a quel tempo i Prencipi dell'Europa".
Quasi 700 pagine, dall'andamento faticoso e trasandato, assai spesso infelici nelle espressioni e nelle imrnagini, ove l'"intentione di rappresentare le cose, come sono succedute" resta subordinata allo scopo affatto celebratorio di far sì che gli "studiosi di sapere l'imprese altrui" ammirino la grandezza incomparabile d'Enrico "chiamato comunemente il Grande". Nessuna indulgenza per il calvinismo che "crebbe et infettò poscia il Cuore e le viscere di così nobile Regno"; decisa la condanna dei fautori della tolleranza, come Bodin, poiché, se ognuno "vorrà credere a suo modo", sempre "a suo modo" presterà obbedienza al principe; e, nel contempo, calcolata l'insistenza sull'adesione al cattolicesimo di Enrico, divenuto, appunto, non pure "Catholico, ma Christianissimo".
Eppure l'opera urtò la S. Sede e fu posta all'Indice, "donec corrigatur", con decreto del 30 giugno 1621. Troppo manifesta la simpatia per tutta l'attività del Borbone estesa anche alla figura della madre, Giovanna "d'animo invitto", il cui unico "neo" era costituito dall'acceso calvinismo; troppo negativo il giudizio su Caterina de' Medici farneticante "in che guisa ella potesse agevolare la via per fare che 'l Cielo versasse scettri sopra de' Figliuoli", sulla lega, "malvagia Consonanza... congenie d'humori rebellanti", sui gesuiti, responsabili dell'attentato di "Giovanni Castello". Ma soprattutto troppo esclusiva ed assorbente l'angolatura, del tutto politica, secondo la quale sono esaminate le vicende da parte del C., nella convinzione della necessità dell'"arbitrio independente di Sua Maestà": "il Governo della Monarchia", infatti, "non patisce la superiorità se non d'un solo Capo". Traiano Guiscardi, letterato e gran cancelliere di Stato di Mantova e Monferrato, scrivendo della storia del C., inuna lettera da Casale al Dupuy del 29 ag. 1634, dopo averla anteposta a quella del Davila, aggiungeva: "non so come ella sia stata sospesa", cioè messa all'Indice; e attribuiva la cosa alla pubblicazione nell'opera del C. di una lettera di Giovanna d'Albret, in cui la regina confermava il suo proposito di introdurre "nel paese di Bearnia e nella bassa Navarra una nova religione".
Piuttosto movimentato l'invio dell'opera a Luigi XIII, al quale il C. la dedicava, da Venezia, il 15 ott. 1616. Manoscritta era pervenuta al Peiresc, il celebre erudito, il quale, in una lettera del 20 sett. 1616 a Paolo Gualdo, la lodava come "cosa di gran travaglio", pur escludendo la possibilità "di condegna rimunerazione... stante la necessità de' danari di questa corona". Nel febbraio dell'anno dopo il C. provvedeva a spedire alla corte parigina delle copie a stampa; ma in marzo parevano ferme a Lione. e in aprile a Parigi non erano ancora giunte. Ansiosissimo era il C., che il 3 luglio implorava "gratia" di sapere se le copie fossero "capitate"; e solo il 14 agosto poteva ringraziare, esultante, il Puysieux che Luigi XIII "s'habbia degnato farmi benignissima risposta". In premio aveva in seguito una catena d'oro; non era certo un gran che dato il "pelago di fatiche... sofferte" per scrivere la sua storia, ma costituiva tuttavia un incoraggiamento a proseguirla. "Le mie Turbolenze - così il C. nella lettera del 14 agosto al Puysieux - cominciano dalla nascita del re Henrico... e finiscono colla benedittione di S. Maestà che fu l'anno 1595. La seconda parte si va tessendo, la quale arriverà fin alla morte. La prima ha avuto tanta vendita che, se ben se n'ha stampato in grandissima copia qui in Venezia, bisogna nondimeno ristamparla... La seconda sarà più curiosa, ma l'una et l'altra s'avanzeranno... hora che 'l mondo saprà che le mie fatiche sono così gradite da S. Maestà".
Ma al C. non fu concesso celebrare l'Enrico regnante: forse altri impegni, forse pressioni spagnole e romane, forse la morte di cui si ignora la data glielo impedirono. Di lì a due anni vedeva invece la luce a Venezia la Historia di Francia, dedicata dall'autore, il prete pesarese Omero Tortora, a papa Paolo V:prima di essere colpita dai fulmini dell'Indice, la fatica del C. era confutata da quest'ottusa e faziosa narrazione, degli avvenimenti di Francia tra il 1560 ed il 1601.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato terra, reg. 86, c. 188; Ibid., Capi del Consiglio dei X. Notatorio, f. 18 alla data 19 sett. 1609; Parigi, Bibliothèque nationale, Mss. fr. 16085 (Lettere alla corte di ambasciatori del re di Francia e di altri da Venezia [1615-1617]), cc. 398, 444r, 491r; Ibid., Collection Dupuy, 705, lett. del Guiscardi del 29 ag. 1634; A. Grillo, Lettere, Venetia 1608, p. 807 (una lettera al C.); Lettere d'uomini illustri che fiorirono nel principio del secolo decimosettimo, Venezia 1744, pp. 275 s., 286; Les sources de l'histoire de France. XVI siècle (1494-1610), a cura di H. Hauser, III, Paris 1912, pp. 131 s.;P. Angiolgabriello di Santa Maria [P. Calvi], Biblioteca, e storia di... scrittori così della città come del territorio di Vicenza, V, Vicenza 1779, pp. 229-234; L. Ranke, Französische Geschichte, V, Stuttgart 1861, p. s; B. Mersolin, M. Campiglia poetessa vicentina del secolo XVI. Episodio biografico, Vicenza 1882, pp. 71 s.;A. Medin, La storia... di Venezia nella poesia, Milano 1904, p. 541; A. Belloni, IlSeicento, Milano 1929, p. 453; B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, p. 101; Indice dei libri proibiti..., Città del Vaticano 1929, p. 78; G. Spini, E. C. Davila e la "Storia delle guerre civili di Francia", in Studi di storia medievale e moderna in onore di E. Rota, Roma 1958, pp. 177-184; L. Lazzarini, IRicoverati di Padova, Galileo Galilei e le loro "imprese" accademiche, in Scritti e discorsi nel IV centenario della nascita di Galileo Galilei, Padova 1966, pp. 186, 187 n. 5;C. Jannaco, IlSeicento, Milano 1966, pp. 698, 700, 704, 706, 719; G. Mantese, Per un profilo... della poetessa... Maddalena Campiglia, in Archivio veneto, s. 5, CXVI (1967), pp. 122 s.