BORELLA, Alessandro
Nacque a Castellamonte (Torino) nel 1813. Laureatosi in medicina all'università di Torino, abbandonò presto la professione sia per le condizioni assai cagionevoli di salute sia soprattutto per seguire più da vicino, alla vigilia dello Statuto, l'attività dei primi circoli liberali subalpini.
Alla lotta politica lo portava anche l'eredità di fervente impegno innovatore del padre, l'avvocato Felice, uno dei notabili del mandamento di Castellamonte e proprietario insieme con il fratello di una delle due filande di seta del capoluogo, che aveva partecipato ai moti del 1821 ed era stato costretto, con altri esponenti della borghesia locale implicati nel comitato rivoluzionario di Ivrea, ad espatriare in Francia per qualche tempo.
Con G. B. Bottero, il B. fu tra i fondatori nel giugno 1848 della Gazzetta del Popolo, il foglio liberale piemontese, al quale dovevano collaborare in seguito alcuni fra gli uomini politici e di cultura subalpini più impegnati: da N. Rosa a C. Nigra, ad A. Depretis, a B. Casalis, a F. Govean. Del quotidiano torinese, sorto in uno dei momenti culminanti della prima guerra d'indipendenza, il pubblicista canavesano doveva condividere per una ventina di anni, sebbene in posizione subordinata rispetto al Bottero, le complesse vicissitudini, continuandone la lotta politica anche nelle aule del Parlamento. Presentatosi candidato alle elezioni per la seconda legislatura nel sesto collegio di Torino e in quello di Cortemilia, il B. fu eletto in entrambi i collegi (nella prima legislatura era stato sfortunato competitore del futuro ministro F. Galvagno), optando per la circoscrizione della capitale. Successivamente era confermato nel suo mandato sino all'ottava legislatura, prima come rappresentante di Salussola nel Biellese, quindi (dalla settima legislatura) di Vercelli. Negli interventi al Parlamento subalpino il B., deputato assiduo della smistra costituzionale e sollecito rappresentante degli interessi del suo collegio (ne verrà corrisposto con successivi aumenti di suffragi), trasferì i motivi più suggestivi delle vivaci campagne giornalistiche della Gazzetta del Popolo: dai fermi, rinnovati propositi di riscossa nazionale dopo il 1849, alle prime petizioni per l'abolizione del foro e l'incameramento dei beni ecclesiastici, all'offerta di asilo politico e di sussidi agli esuli dagli altri Stati italiani, sino alla grande sottoscrizione popolare del 1859 per i volontari garibaldini.
Come giornalista, futacciato talora di esagerazione e tendenziosità, ma, in complesso, svolse bene il compito affidatogli di rendere popolari, con una dialettica facile, adeguata alle circostanze, due dei principali obiettivi del giornale: la democratizzazione degli organismi amministrativi locali e l'abbattimentodei privilegi ecclesiastici (su quest'ultima tesi egli, dopo aver conosciuto brevi momenti di popolarità, sarà destinato a far le spese, ancora molto tempo dopo, delle tenaci acrimonie degli avversari). Gli fu agevole, pertanto, dopo che nel 1852 il Bottero assunse più direttamente le redini del giornale, inserirsi nel clima di aspra polemica e talora di ingenuità demagogica che, auspice il temperamento irruente dell'uomo politico nizzardo, farà da sfondo per tutto il decennio preunitario alle battaglie della Gazzetta sui grandi temi politici della guerra all'Austria e del superamento delle mene reazionarie interne.
Dopo l'unità appoggiò la lotta del partito d'azione, dai banchi del Parlamento e dalle colonne della Gazzetta, contro la convenzione di settembre (1864), Sostenendo nella soluzione della questione romana prima la necessità di un intervento regio (quale vagheggiato dal Rattazzi), poi sperando nello sfortunato tentativo garibaldino del 1867. Morì a Torino il 2 niaggio 1868. Lasciò alcune opere "morali", a metà fra le tradizioni filantropiche illuminate e i propositi di educazione popolare mazziniani, ma in sostanza convenzionali (dai Doveri dell'uomo verso la famiglia, Torino 1850, alle Lettere confortatorie, Torino 1852), oltre a numerosi scritti politici, fra cui: Sulle origini dei beni ecclesiastici, Torino 1852; Roma!, Torino 1867; Urbano Rattazzi e Dopo Mentana, Torino 1868.
Fonti e Bibl.: Archivio storico della Gazzetta del Popolo (Torino), Varia, busta IV. 1089; Archivio di Stato di Torino, Sezione I, Gabinetto Ministero Interni, cartelle nn. 2 (1849), 6 (1852), 7 (1853), 13 (1853-1854), 17 (1855), 20 (1856) e 28 (1858), ai fascicoli Giornali ed Elezioni; La Gazzetta del Popolo, dal 1848 al 1868, passim; A. Lessona, in L'Universo illustrato (Milano), 1º giugno 1868; T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, Torino 1899, III, p. 248; La Gazzetta del Popolo, 17 apr. 1897 e numero unico del 10 marzo 1922; L'Illustrazione italiana, 17 dic. 1922, p. 726; La Gazzetta del Popolo inottant'anni divita nazionale 1848-16 giugno 1928, a cura di D. C. Eula, Torino 1928, passim;D. C. Eula, La Gazzetta del Popolo nel suo novantesimo anno, Torino 1938, passim; La Gazzettadel Popolo, 16 giugno 1938, p. 9; M. Giorda, La storia civile religiosa ed economica di Castellamonte Canavese, Ivrea 1953, pp. 332, 342, 356; La Gazzetta del Popolo, 7 maggio 1961; T. Sarti, Il parlamento subalpino e nazionale, Torino 1890, p. 152; V. Castronovo, Giornalismo e giornalistipiemontesi nel decennio post-unitario, in Il giornalismo italiano dal 1861 al 1870, Torino 1966, pp. 4 ss. (con la bibliografia ivi citata); Diz.delRisorg. Naz., II, p. 364.