BONUCCI, Alessandro
Nacque a Ponte Felcino (Perugia) il 20 apr. 1883 da Leopoldo e da Orintia Carletti.
Avviato agli studi giuridici, si laureò a Roma il 21 nov. 1905 con una tesi su La derogabilità del diritto naturale nella Scolastica (edito poi a Perugia nel 1906 e che faceva seguito a un lavoro pubblicato durante gli studi universitari, La legge comune nel pensiero greco, Modena 1903).
Il 29 dicembre di quell'anno era nominato professore supplente dell'università di Camerino per la cattedra di filosofia del diritto, disciplina in cui conseguiva la libera docenza il 25 giugno 1907. L'anno seguente (10 giugno) prendeva anche la libera docenza in filosofia morale e ne teneva il corso dal 1907 al 1911, quando veniva chiamato a Perugia a ricoprire l'incarico di filosofia del diritto. Conseguito l'ordinariato dopo un anno di insegnamento a Cagliari, passava a Siena (1912-1922) e infine a Palermo (1922-24).
Moriva a Ponte Felcino il 19 genn. 1925.
La sua attività scientifica prendeva le mosse da lavori di carattere storico: oltre agli studi già citati, sono da ricordare due saggi sulle dottrine teocratiche (Diuna storia delle dottrine teocratiche, in Riv. ital. di sociologia, XII [1908], 4-5, pp. 632-64; Errori nuovi nello studio del teocraticismo,ibid., XIII [1909], pp. 64 ss.). Di qui la sua ricerca si ampliava in un tentativo di originale ricostruzione teoricofilosofica, che trovava la sua prima organica sistemazione nel lavoro pubblicato a Modena nel 1911, Verità e realtà. La polemica antipositivistica che in esso si fa luce, pur palesando nettamente la sua derivazione idealistica, sfugge a un più preciso inquadramento nell'ambito delle discussioni culturali del tempo. Da questo punto di vista è sintomatico che chi ha tentato una puntualizzazione del pensiero filosofico del B si sia rifatto vuoi al pensiero hegeliano (Cogni), vuoi alla critica feuerbachiana di esso (Quadri), vuoi ancora alla filosofia dei valori di Windelband e Rickert (Maggiore), specie per l'ultimo lavoro importante del B., Il fine dello Stato (Roma 1915).
Se su questo tema manca per il momento la possibilità di una più precisa verifica dell'opera del B., sono piuttosto i suoi saggi di teoria generale del diritto ad offrire un più concreto terreno di analisi. La derivazione hegeliana si palesa qui in alcune linee generali di interpretazione del fenomeno giuridico, attraverso una teoria dello Stato come teoria dei fini di esso, che confluisce d'altra parte con le tesi organicistiche della pubblicistica tedesca, da Zorn a Gierke all'ultimo Jellinek, già chiaramente espressa nella sua produzione del 1902, La critica del diritto positivo e le scienze giuridiche (in Riv. di dir. pubblico, V [1913], pp. 223-48), e sviluppata nella monografia sul Fine dello Stato.
Un interessante punto di approdo di questa tematica è costituito dal saggio su Ordinamento giuridico e Stato (in Rivista di diritto pubblico, XII[1920], pp. 97-123) per gli spunti polemici nei riguardi della tesi del Santi Romano sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, che il B. tende ad accogliere nell'ambito però di una concezione che ribadisce il ruolo preminente dell'ordinamento statuale, riconducendo ad esso la funzione di finalizzare ogni manifestazione istituzionalizzata della società civile. Da questa impostazione il B. faceva derivare due conseguenze di importante rilievo teorico: sul piano dell'ordinamento interno la distinzione tra un momento politico e momento giuridico di esso; e sul piano dell'ordinamento internazionale il rifiuto di una concezione sovrastatuale, e in particolare della tesi di un diritto internazionale come prodotto di una "volontà senza soggetto" (cfr. lo scritto polemico di B. Breschi, Volontà e azione nella teoria giuridica dello Stato: a proposito del libro di A. Bonucci, Il fine dello Stato, in Riv. di dir. internaz., s. 2, IX [1915], 4, pp. 555-84), a cui contrapponeva invece la volontà "comune" dei singoli Stati che agiscono in nome proprio e non come organi e rappresentanti di un'ipotetica comunità internazionale.
Oltre che da interessi giuridici e filosofici, l'attività del B., specialmente negli ultimi anni, è caratterizzata da interessi storico-religiosi. La sua posizione filosofica, che lo fa collocare nell'ambito della corrente dello "spiritualismo italiano", lo portava a contrapporre B. Varisco a G. Gentile e, sul piano religioso, lo avvicinava al pensiero di E. Buonaiuti.
Nel 1920 egli fondò la Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi, alla quale collaborò anche il Buonaiuti; con essa egli intendeva, come afferma nella presentazione del primo fascicolo, promuovere l'"incontro degli studiosi di filosofia con gli studiosi di religione", poiché considerava religione e filosofia come "le supreme espressioni della tendenza medesima nell'anima umana all'assoluto". Nella rivista, di cui vennero pubblicate quattro annate e che fu condannata con decreto del S. Uffizio del 14 genn. 1921, i suoi contributi sono di carattere filosofico per quanto riguarda i saggi di maggiore estensione, mentre carattere più specificamente storico-religioso hanno le sue sistematiche rassegne, sulla letteratura straniera relativa al Vecchio e Nuovo Testamento, al giudaismo e al cristianesimo antico e le sue recensioni che trattano anche di religioni del Medio e dell'Estremo Oriente.
Tra queste ultime, particolare interesse ha quella a Paolo di Tarso apostolo delle genti di Adolfo Omodeo (Riv.trim., IV [1923], pp. 230-236), cui l'Omodeo rispose sulla rivista stessa con un articolo, Escatologia,cristologia e problemi storiografici, poi ripubblicato in Tradizioni morali e disciplina storica (Bari 1929)e alla quale il B. replicò con una Postilla all'articolo del prof. Omodeo (Riv. trim., IV[1923], pp. 441-443).L'osservazione che il B. moveva all'Omodeo era quella di aver attribuito a Paolo, sulla scia del Brücker e del Wrede, una concezione sostanzialmente giudaica del Messia come "Figlio dell'Uomo" che sarebbe stata propria dell'apostolo già prima della conversione, laddove studi più recenti (N. Messel, Der Menschensohn in der Bilderreden des Henoch, Giessen 1922)avrebbero dimostrato la fallacia della identificazione del "Figlio dell'Uomo" come una figura di Messia spirituale ebraico.
A parte questa specifica questione, a proposito della quale la critica più autorevole appare oggi incline a dare ragione all'Omodeo (S. Mowinckel, He that Cometh, Oxford 1959, pp. 346-450), appare interessante rilevare come l'osservazione all'Omodeo di "aver un po' troppo sommerso l'originalità paolina sotto gl'influssi dell'ebraismo" (Postilla..., p. 441) tradisca la preoccupazione di cogliere piuttosto il genuino scaturire dell'esperienza religiosa dell'apostolo che la concreta dipendenza da motivi e da formule già esistenti nel mondo religioso del tempo. La sua posizione filosofica spiritualistica, e forse, un certo accostamento al pensiero del Buonaiuti, devono aver concorso allaformulazione di questa impostazione interpretativa.
Bibl.: A. Falchi, A proposito di un libro sulle dottrine teocratiche, in Riv. di filos., XX (1909), 1, pp. 45-73; Id., Ancora a proposito di una pseudocritica,ibid., pp. 107-110; L. Salvatorelli, rec. a Verità e Realtà, in La Cultura, XXX (1911), coll. 430-435; Id., Filosofia e religione nell'Italia contemporanea, in Saggi di storia e politica religiosa, Città di Castello 1914, pp. 277 s.; G. Maggiore, A. B. (1883-1925), in Rivista internaz. di filos. del dir., II (1925), 2, p. 2; E. Brundy, L'idea del diritto nelle nuove correnti della filosofia giuridica in Italia, Napoli 1929, pp. 94-96; G. Maggiore, Il pensiero di A.B., in Il circolo giuridico, XX (1930), pp. 116-127; G. Cogni, Un filosofo del diritto: A.B., in Nuova Italia, XX (1934), II, pp. 355-358; G. Maggiore, A.B. nel X Annuale della sua morte, Perugia 1935; G. Quadri, Un pensatore italiano elaboratore del Feuerbach: A.B. preesistenzialista, in Riv. int. di filos. del dir., XXVI (1949), I, pp. 75-79; E. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari 1955, pp. 483 s.; Enciclopedia filosofica, I, coll.765 s.