BONINO, Alessandro (Alessandro d'Alessandria)
Nato in Alessandria intorno al 1268, entrò nell'Ordine francescano e fu mandato a Parigi per compiervi gli studi filosofici e teologici; fu scolaro di Duns Scoto. Sempre a Parigi aveva iniziato la sua attività magistrale, quando fu costretto a interromperla alla fine del giugno 1303 per non aver voluto sottoscrivere l'appello al concilio predisposto da Filippo il Bello contro papa Bonifacio VIII. Dovette allora rientrare in Italia e trattenersi nella sua città natale, ove lo raggiunse la nomina a lettore di teologia del Sacro palazzo lateranense, dopo avere giurato, secondo l'uso, nelle mani del cardinale francescano Gentile, prete di S. Martino ai Monti (29 nov. 1303).
Questa data è importante per stabilire quella di nascita del B.: poiché, infatti, non si poteva avere la cattedra di maestro in teologia prima dei trentacinque anni, non può esser nato dopo il 1268. D'altronde in genere non era ritardata sensibilmente al di là dei trentacinque anni, per cui si può accettare il 1268 o gli anni subito precedenti.
Al Laterano il B. sembra essere restato fino al 1307, quando nell'ottobre era di nuovo a Parigi, riconciliato ormai, come sembra, con Filippo il Bello, se prese parte ai consigli inquisitoriali relativi alla condanna dei templari e dello stesso gran maestro Giacomo Molay; un anno dopo lasciava l'insegnamento perché nominato ministro provinciale in Italia.
Testimonianze antiche lo danno ministro della provincia di Terra di Lavoro oppure di Genova: sorge così il problema di quale provincia effettivamente sia stato a capo. Che egli sia stato ministro della Terra di Lavoro può dubitarsi con molta difficoltà perché è ricordato con tale carica all'inizio della lunga lettera polemica, nota come Religiosi viri, contro le accuse di Ubertino da Casale (cfr. A. Chiappini, Communitatis responsio "Religiosi viri" ad rotolum fr. Ubertini de Casali, in Arch. Franc. Hist., VII [1914], p. 659), in una serie di maestri in teologia e ministri provinciali, tutti indicati anch'essi con le loro cariche. D'altra parte è stato giustamente notato (C. Eubel, Bullarium Franc., V, Roma 1898, p. 94 n. 5)che egli compare come ministro della provincia di Genova proprio all'atto della nomina a ministro generale, e nulla perciò impedisce di ritenere che, dopo essere stato qualche anno ministro della provincia di Terra di Lavoro, sia poi passato, verso il 1312, a quella di Genova.
Egli prese parte, e con molta vivacità, all'accanito contrasto tra la comunità e gli spirituali, combattendo accanitamente questi ultimi e agendo d'accordo col generale Gonzalo de Balboa e gli altri esponenti appunto della comunità, tra cui specialmente i ben noti Buonagrazia da Bergamo e Raimondo di Fronsac. Da molte indicazioni compare, anzi, fra coloro che più furono vicini a Clemente V durante lo svolgimento di questa lunga polemica. Così fu certamente fra coloro che, come abbiamo già detto, presentarono al papa la risposta Religiosi viri: non ci sembra tuttavia possibile accettare il punto di vista di P. Glorieux e di A.-M. Hamelin, che sembrano considerarlo addirittura l'autore dell'opuscolo, mentre molti indizi portano a ritenerlo un'opera collettiva, come del resto l'altro opuscolo De usu paupere, che gli è stato anche attribuito.
Dopo essersi trattenuto a lungo ad Avignone, prese parte al concilio di Vienne e fu tra coloro che discussero le opinioni di Pietro di Giovanni Olivi, contribuendo alla condanna di alcune di esse; dopo il concilio assistette anzi alla stizzosa risposta del papa, rivolta a lui stesso e ad altri prelati dei minori, da cui si ricava che non voleva più sentir parlare dello spirituale di Linguadoca perché "illa maledicta doctrina" era stata appunto condannata.
Dopo il concilio di Vienne e dopo le decisioni papali, che si sforzavano di trovare un punto d'incontro e di pacificazione fra la comunità e gli spirituali, assistiamo, nel B., a un rovesciamento di posizioni che non può non essere considerato significativo, quando, morto Gonzalo de Balboa il 13 apr. 1313, egli veniva eletto ministro generale dell'Ordine dei minori nel capitolo di Barcellona, il 13 giugno dello stesso anno.
La sua elezione era certamente fatta in funzione antispirituale, se solo si pensa che gli elettori erano per la massima parte della comunità e che si era fatto ogni sforzo per diffamare i loro avversari a Barcellona, come risulta da una lettera dello spirituale Guglielmo di Sant'Amanzio (cfr. R. Manselli, Spirituali e beghini in Provenza, Roma 1959, pp. 120 s. e n. 1). Con ciò, probabilmente, si voleva anche contrastare l'azione di Clemente V, energica in modo per lui insolito, con cui erano stati deposti e sostituiti il provinciale di Provenza e altri quindici padri guardiani, già accaniti nemici degli spirituali: inoltre il papa aveva confinato a Valcabrège presso Auch lo stesso Buonagrazia da Bergamo.
Divenuto ministro generale, il B. seguì la politica conciliatrice del papa, come si poté vedere al capitolo provinciale di Nîmes, tenuto nello stesso anno 1313. Nelle costituzioni, giunte fino a noi (cfr. ediz. di F. M. Delorme, Constitutiones Provinciae [saecc. XIII-XIV], in Arch. Franc. Hist., XIV[1921], pp. 430 ss.), egli non solo richiamava i frati della provincia all'osservanza delle norme ribadite nel concilio dal papa, ma, se cercò d'impedire il culto dell'Olivi, già largamente diffuso nella regione e che aveva il suo centro a Narbona, presso la tomba del famoso maestro degli spirituali, non ne proibì la lettura degli scritti né agì contro gli spirituali stessi. A lui personalmente, anzi, va fatta risalire la responsabilità di una decisione, assai grave, e che fu poi, con ogni durezza, rinfacciata agli spirituali stessi: per amor di pace volle che tre conventi, quelli di Béziers, Carcassonne e Narbona, venissero loro riservati, non solo, ma che potessero anche scegliersi superiori a loro graditi.
Non meno interessanti sono poi la lettera ad Aicardo, ministro della provincia di Milano, in cui veniva pregato di uniformarsi, in piena obbedienza, alle decisioni del concilio di Vienne e della decretale pontificia, e le altre indirizzate per additare le vie della conciliazione, chiedendo anche l'aiuto dei vescovi e dello stesso re Giacomo d'Aragona. A quest'ultimo si rivolse poi pregandolo di voler intervenire presso suo fratello, il re Federico di Trinacria, perché non ospitasse e proteggesse in Sicilia coloro che, usciti dall'Ordine e ribelli, colà avevano trovato rifugio e cioè i francescani di Toscana seguaci di Enrico di Ceva (J. Pou y Marti, Visionarios,beguinos yfraticelos catatanes, Vich 1930, pp. 104-109).
Questa sua opera di riconciliazione in seno all'Ordine francescano veniva interrotta dalla morte che lo colse a Roma, nel convento dell'Ara Coeli, il 5 ott. 1314.
Pur essendo stato il B. un personaggio di primo piano nella storia dell'Ordine, la sua importanza maggiore va tuttavia attribuita specialmente alla sua opera di filosofo e di teologo, a cui va affiancata quella di esegeta.
Anche se le sue opere sono ancora in buona parte manoscritte o di difficile reperimento, il B., per quanto è dato finora conoscere, va considerato fra le personalità di maggiore rilievo nella scuola francescana parigina dopo Duns Scoto. Nell'esegesi poi egli, accettando ormai il metodo di commento per postille, ha contribuito notevolmente ad affermarlo, aprendo la strada a Nicola da Lyra, che fu anche suo successore a Parigi.
La recente edizione del suo Tractatus de usuris ciconsente tuttavia di indicare, con sufficiente sicurezza, le sue basi culturali, fondate su di una conoscenza assai buona della filosofia aristotelica e della Sacra Scrittura, mentre, almeno limitatamente a quest'opera, la conoscenza dei Padri della Chiesa e di s. Agostino sembra attinta di seconda mano in particolare dalle opere di diritto canonico, e precisamente dal Decreto, dalle Decretali e dagli altri canonisti suoi contemporanei. Il Tractatus ci permette anche di poter avanzare qualche giudizio sulla posizione del B. in seno alla cultura sua contemporanea: egli, infatti, pur non brillando per una grande originalità, ha il merito di affrontare i vari problemi che riguardano il prestito e in genere il traffico del danaro con notevole attenzione alla concretezza dei rapporti economici. In questo senso la sua opera è, da una parte, una lucida analisi dell'usura e delle sue manifestazioni, dall'altra, invece, una manifestazione del travaglio dottrinario della scolastica sulla questione, in un mondo in cui sempre più va affermandosi l'economia di danaro, con le conseguenze che essa comporta nella valutazione dei teorici della morale.
Opere: I Commentari in quattuor libros Sententiarum, ancora inediti, sono elencati da P. Glorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIIIesiècle, II, Paris 1934, n. 340, a pp. 199 s., le cui indicazioni vanno corrette sulla base di V. Doucet, Maîtres franciscaines de Paris..., in Arch. Franc. Hist., XXVII (1934), pp. 559 s., e F. Stegmüller, Repertorium Commentariorum in sententias Petri Lombardi, I, Herbipoli 1947, pp. 29 s. Sono egualmente inedite le opere esegetiche: Postilla in Evangelium Iohannis; Postilla in epistolam ad Romanos; Postilla in Isaiam, per cui si veda F. Stegmüller, Repertorium biblicum, I, Matriti 1950, pp. 63-65.Sono invece edite, ma assai rare, le opere filosofiche: In duodecim Aristotelis Metaphisicae libros expositio, Venetiis 1572(ma sotto il nome di Alessandro di Hales); In Librum de Anima commentarium, Oxonii 1481;uno dei Quodlibet è edito da B. Jansen, in Zeitschrift für katholische Theologie, LIII (1929), pp. 538-543, mentre per gli altri si veda P. Glorieux, La litterature quodlibetique de 1260 à 1320, Kain 1925, pp. 55 ss. Delle opere di polemica francescana il Tractatus de usu paupere è stato edito da A. Heysse, Ubertini de Casali Opusculum "Super tribus sceleribus", in Arch. Franc. Hist., X (1917), pp. 116-122.
Bibl.: Oltre alle opere già citate, si veda sul B. Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l'évolution de l'Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, Paris 1928, pp. 449-458, 484 s., 487 s.; J. Moorman, A History of the Franciscan Order, Oxford 1968, pp. 200 e 309, e specialmente l'introduzione di A.-M. Hamelin, Un traité de morale économique au XIVe siècle. Le Tractatus de usuris de Maître Alexandre d'Alexandrie, Louvain-Montréal-Lille 1962, che fornisce anche ricchissime indicazioni bibliografiche. Per la sua filosofia basterà rinviare a L. Venkley, Alexandre maître de l'Université de Paris et ministre général des Frères Mineurs, Paris 1932.