BON, Alessandro
Nacque a Venezia il 26 ag. 1654 da Filippo (1627-1712) di Ottaviano e da Francesca di Giacomo Soranzo. Il padre, già podestà di Chioggia e ufficiale alle Rason Vecchie, divenne, il 28 nov. 1660, procurator de citra in seguito al versamento di 25.000 ducati per la guerra di Candia e fu, infine, nel 1711, provveditor alle pompe. Dei due fratelli del B., Piero (1651-1684) fu governator di galeazza, Giacomo (1653-1744) senatore e consigliere; sua sorella Foscarina andò sposa, il 27 sett. 1677, ad Agostino Nani di Antonio.
La vita del B. trascorse - egli stesso amava di frequente rilevarlo - impegnata sin "dalle primitie dell'età" nella "maritima professione", tanto che, nel novembre del 1691, poteva ricordare con orgoglio al Senato le energie profuse in essa "per il spatio non interrotto d'anni vinti"; di qui, d'altra parte, "i dispendi", si lamentava un anno dopo, "che hanno minorato il capital della casa", essendo la "tenue paga" corrispostagli del tutto impari di fronte alla crescente rovina del patrimonio familiare.
Nel 1680 ebbe la direzione delle due navi da guerra, la "Costanza guerriera" e la "Venere armata", che scortarono a Costantinopoli il nuovo bailo Pietro Civran e ne riportarono a Venezia il predecessore Giovanni Morosini: rischiosissima per il B. la permanenza nella capitale turca ché, per avere gli equipaggi a lui sottoposti dato, imprudentemente e contro suoi espressi divieti, asilo a parecchi schiavi, fu oggetto, coi baili, delle ire del gran visir Kara Mustafà, per sua fortuna ammansito sia pure a carissimo prezzo. Incidente che poteva avere conseguenze ben più gravi in un momento in cui la Porta, timorosa di un congiunto e simultaneo attacco imperiale e polacco, era anche particolarmente diffidente nei riguardi di Venezia.
Rinnovatosi nel 1684 il conflitto col Turco, il B., per la seconda volta governator di galeazza, partecipò nel 1685 alla conquista di Corone e di Zarnata; capitano del Golfo nel 1688-1691, prese parte allo sfortunato assedio di Negroponte (nell'ultimo tentativo d'attacco a fondo sferrato da Francesco Morosini nell'ottobre del 1688 gli fu affidato un importante compito diversivo) e, nell'agosto del 1690, all'occupazione di Valona. Dopo "otto mesi" trascorsi "in privata figura nella ciurma", assunse, tra il giugno del 1692 e l'inizio del 1694, la carica di provveditor straordinario in Morea: si occupò di questioni amministrative, fiscali, giudiziarie, catastali, di lavori di fortificazione, di dislocazione di milizie.
Tornato a Venezia e divenuto membro dei Pregadi e consigliere, si sposò, nel 1697, con una vedova, Chiara di Giacomo Balbi. Fu quindi provveditore di Spinalunga, conte di Zara nel 1706-1708, governatore delle galere dei condannati, commissario pagador in armata nel 1712-14. Carica quest'ultima complessa di soprintendenza finanziaria, di coordinamento contabile, di aggiornamento dei ruoli delle milizie e degli equipaggi: al B. si deve la "rassegna all'armata tutta di mare" ed ai presidi di Cerigo, Egina, Corfù, Santa Maura, Cefalonia, Zante, Suda, Spinalunga, Tine, e la dettagliata notizia sulla "cavalleria sparsa nel regno" di Morea specie a Nauplia, Malvasia, Corinto, Modone, Calamata, Patrasso, Castel di Morea. Spiacevoli attriti ebbe col provveditore generale da Mar, Agostino Sagredo, intollerante dei suoi controlli e delle sue restrizioni. Eletto nel frattempo provveditore generale in Morea, entrò in carica nel settembre 1714; voci sempre più allarmanti e circostanziate sui "poderosi preparamenti" bellici dei Turchi lo sottrassero ben presto alle sue predilette occupazioni, volte a "sostenere" e "migliorare" la assai scarsa "rendita" del "regno".
Angosciosa divenne pel B. l'attesa dei Turchi: mancava qualsiasi possibilità di una difesa efficace e coordinata poiché le "piazze" principali difettavano "di presidio e monitioni" sufficienti, le fortificazioni erano incomplete, avendo preferito i suoi predecessori iniziarne di nuove cui dare il loro nome anziché ultimare quelle promosse da altri, del tutto "essausta" si trovava la "publica cassa". Nell'aprile del 1715 aveva perfino impegnato la sua argenteria per venire incontro ai più urgenti bisogni del presidio di Nauplia. Penetrati, nel giugno dello stesso anno, i Turchi in Morea, decoroso appare il comportamento del B. in una guerra che vide non pochi esempi di colpevole passività e di vera e propria viltà.
Il 18 luglio 1715 Nauplia cadde in mano turca dopo nove giorni d'assedio: il B., che aveva contribuito alla sua difesa più con coraggio e abnegazione che con abilità, scampò alla strage che ne seguì. Fu tuttavia ferito da una sciabolata e fatto schiavo; incatenato, dovette assistere all'ingresso trionfale del gran visir nella città saccheggiata. Destinato quindi, assieme agli altri prigionieri, prima a sfilare innanzi al sultano, poi ad essere rinchiuso nelle "sette torri" a Costantinopoli, la morte, che lo colse a Megara per la fatica del viaggio e per l'aggravarsi della ferita, gli risparmiò nuove umiliazioni e sofferenze.
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