BERNARDO, Alessandro
Di famiglia "cittadina", nacque a Venezia nel 1632 da Andrea e da Laura Occioni. Suo padre era figlio di Alessandro, a sua volta figlio naturale del nobile Andrea Bernardo. Il B. sposò Lodovica Chiodo e, entrato nella carriera cancelleresca, divenne segretario dei Pregadi. Nel 1664 seguì come segretario Giorgio Corner al quale era stata conferita l'ambasciata di Vienna. Questa doveva essere l'ultimo incarico dell'ancor giovane patrizio: il 19 marzo del 1667 il B. trasmetteva al Senato la notizia della sua morte.
In attesa del nuovo ambasciatore il B. rappresentò la Repubblica a Vienna per ventun mesi. Imbarazzato e intimidito per un ufficio così solenne e di prestigio, probabilmente a disagio, nella modestia della sua qualifica, rispetto agli ambasciatori degli altri Stati, frequente ricorre nelle sue lettere la preghiera di compatire i suoi "diffetti", la sua "inesperienza de' negotii", di perdonare le sue "deboli applicationi". E il Senato non mancò d'incoraggiarlo, lodando la "forma prudente", "molto aggiustata", con la quale si occupava dei "publici affari".
I rapporti veneto-imperiali in questo periodo, se non possono definirsi cordiali, non presentavano tuttavia particolari motivi di tensione. Tali infatti non sono da considerarsi le frequenti divergenze tra Fogliano e Monfalcone "per la perticatione di quei campi", "l'affare de' confini del Garda", originate soprattutto dalla riluttanza degli organi locali arciducali o imperiali ad applicare la linea conciliante proclamata, almeno a parole, negli ambienti di corte. Venezia, quand'era possibile, si mostrava disposta di buon grado a particolari favori: per esempio accogliendo la richiesta di Leopoldo I di sospendere "la decisione" su "certi conti" tenuti "col publico" dal suddito veneto Galeazzo Gualdo Priorato, e di non procedere nei suoi confronti in modo che potesse rimanere tranquillamente a Vienna impiegandovi "l'opera sua virtuosa per dar fine ad alcune historie". Lo storiografo vicentino stava infatti allora componendo l'Istoria di Leopoldo Cesare, che vide la luce a Vienna nel 1670. L'impero d'altra parte, minacciato dalla volontà di aggressiva espansione di Luigi XIV, non poteva mostrarsi ostile alla Serenissima che, impegnando i Turchi a Candia, lo alleggeriva dai pericolosi attacchi che le insistenti irresponsabili incursioni in territorio ottomano degli "ussari" - incapaci, osservava il B., di star "quieti" - avrebbero provocato nel settore ungherese.
Certo le occupazioni del B. non si limitavano a questioni di confine, a favori da chiedere o da accordare, a difendere i diritti di Venezia a proposito dell'ormai quasi "secolare" "affare della Posta" che si protrarrà a lungo anche nel secolo successivo, a doveri di cortesia (rallegramenti, condoglianze, felicitazioni per i vari eventi che allietavano o rattristavano la corte cesarea). I suoi dispacci sono ricchi di notizie sui già accennati "torbidi" d'Ungheria, sui confusi "affari di Polonia", sui rapporti di questa con l'ancora misteriosa e imprevedibile "Moscovia", sui movimenti dei Tatari e dei Cosacchi; ampi i riferimenti alle "cose di Fiandra", specie riguardo alle ripercussioni "del maneggio delle arnii fra le corone" di Francia e Spagna nei Consigli imperiali e tra i "prencipi della Germania". Di questi ultimi rilevava l'egoismo particolaristico ("ad altro non pensano che alla sicurezza de' propri stati") dissolutore dell'idea imperiale.
Ma l'attività del B. a Vienna va soprattutto collegata colle esigenze della guerra di Candia, che rischiava di prostrare la Repubblica col suo enorme costo umano e, ancor più, finanziario. Anzitutto doveva chiedere aiuti; di qui le assidue insistenze coll'imperatore, col presidente del Consiglio di guerra (prima Annibale Gonzaga, quindi, dopo la sua morte, il Montecuccoli), i continui contatti col nunzio pontificio Pignatelli, coi cardinali di Salisburgo e Spinola perché a loro volta premessero su Leopoldo I. E per ottenerli occorreva fugare le voci - la cui fonte era difficilmente individuabile - su presunte intenzioni di Venezia di stipulare la pace; contrapporne la strenua difesa di fronte ai rinvigoriti rabbiosi attacchi ottomani, documentarsi sulle intenzioni della Porta con un'affannosa caccia a qualsiasi notizia proveniente da Costantinopoli, insistere sull'inderogabile necessità del mantenimento dell'isola di Candia per le sorti del mondo cristiano.
Convinzione questa radicata negli ambienti viennesi: "sanno - osservava il B. - che Turchi, superando gli ostacoli di Candia, dilaterebbero li loro confini, intraprenderebbero nuove guerre, e, formidabili al mondo, non se li potrebbe più fare contrasto". Non stupisce perciò che gli aiuti fossero concessi: 500 soldati nel 1667, altri 600 nella prima metà del 1668, e finalmente, nell'agosto di quest'anno, 3000 "fanti" che figuravano per cautela affidati al pontefice. Ma la lentezza cronica degli invii, le frequenti diserzioni, le malattie e le brutali eliminazioni nei casi d'indisciplina finivano coll'assottigliare alquanto - nella lunga marcia, per Pontebba, verso la fortezza di Palma - i quantitativi promessi. Spettava infine al B. stimolare, coordinare, e fornire, con oculate distribuzioni, i mezzi finanziari ai "colonnelli" (Wobis, Doglioni, il conte di Strassoldo) e agli "officiali" incaricati d'assoldare uomini per conto della Repubblica.
Il B., nei limiti dei possibile, svolse egregiamente i suoi compiti. E ciò fu riconosciuto dal Senato, il quale volle che il nuovo ambasciatore Zorzi gli attestasse il proprio "abbondante gradimento non solo al suo ultimo dispaccio, ma al servitio tutto prestato che, essendo stato zelante applicatione, le conquista anche merito distinto et intiera la predilettione del Senato che ne conserverà grata memoria". Lo Zorzi a sua volta così rilevava l'abilità del B.: "nelli momenti, si può dire, che qui soggiorno, ho tenuto con il secretario Bernardo diverse conferenze per ricavar lumi de' negotii, de' ministri e della corte. Egli, rafinato nell'isperienza et arrichito di zelo et virtù, mi suggerisce notitie pienissime" (in Archivio di Stato di Venezia, Senato Secreta. Dispacci Germania, filza 133, lettera del 1° dic. 1668). Elogiato in maniera così lusinghiera, il B. se ne tornò a Venezia per essere probabilmente riassorbito da più modeste incombenze, alle quali la sua nascita l'aveva destinato.
E' ignota la data della morte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato Secreta. Dispacci Germania, filze 131, 132; Ibid., Senato Secreta. Corti, regg. 44, 45; Ibid., Misc. Codici I, storia veneta 4, T. Toderini, Genealogie delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza originaria, I, p. 283; Ibid., Misc. Codici I, storia veneta 9, G. Tassini, Cittadini veneziani, I, c. 278 r.