BEGANI, Alessandro
Nacque a Napoli il 19 giugno 1770. Seguendo l'esempio del padre, Angelo, capitano nell'esercito borbonico, entrò nella carriera militare; alunno del Collegio della Nunziatella di Napoli, ne uscì ufficiale di artiglieria nel 1792. Ricevette il battesimo del fuoco l'anno seguente a ToIone, militando nel contingente napoletano che prese parte alla difesa di quella piazza. Di ritorno a Napoli, fu arrestato nel dicembre 1794 e rimase in carcere per quattro anni sino al 25 luglio dell'anno 1798.
Forse non fu coinvolto nella congiura giacobina di quell'anno; ma, senza dubbio alcuno, egli simpatizzava con i colleghi d'arme che ad essa presero parte (sembra che riuscisse a salvare uno di essi, il Rodriguez, falsificando i libri di contabilità del corpo); ed i sospetti della polizia borbonica parvero confermati dall'arnicizia che egli aveva con il generale francese Pommereul, l'organizzatore dell'artiglieria napoletana, il quale si era acquistata la fama d'esser favorevole al movimento rivoluzionario francese per avere presentato al Borbone le proprie dimissioni allo scoppio della guerra.
Cancellato dai ruoli dell'esercito, fuggì su una nave corsa; sbarcato sulle coste del Lazio, nel novembre del 1798 entrò a far parte delle truppe della Repubblica romana e con esse partecipò all'assedio di Ancona. Passò quindi a militare nell'esercito italiano come capo battaglione di artiglieria. E finalmente nel 1806 rientrò in patria al seguito dell'esercito francese che accompagnava il nuovo re Giuseppe Bonaparte.
Nominato il 21 luglio 1806 "gran maggiore" del reggimento di artiglieria, il 1° marzo 1810 fu promosso colonnello ed ispettore dell'Arma, il 3 dello stesso mese colonnello comandante il reggimento di artiglieria a piedi, il 1° genn. 1811, barone, e il 31 genn. 1814 maresciallo di campo. Il 17 novembre dello stesso anno ebbe affidata, come governatore, la piazzaforte di Gaeta, conservando l'ispezione generale dell'Arma. A Gaeta egli diresse l'ultima resistenza all'attacco austriaco e inglese.
All'avvicinarsi della guerra decisiva, il 7 febbr. 1815 egli aveva chiesto che apposite commissioni preparassero i piani di difesa della fortezza, da lui ritenuta il vero baluardo del Regno, ma secondo il Colletta, che comandava il Genio, questa mai avrebbe potuto costituire un insuperabile ostacolo all'invasione dello Stato. I lavori tuttavia furono cominciati, con scarsi mezzi, soltanto alla fine dell'aprile, quando già si era delineato il disastroso fallimento dell'impresa murattiana.
La sera del 12 maggio la guarnigione ebbe ordine di chiudersi nella piazzaforte, ed il 22 il suo blocco era completato: per opera degli Inglesi dalla parte del mare e degli Austriaci dalla parte di terra.
La piazzaforte era comandata dal maggiore Francesco Niccolini di Vico Pisano. La guarnigione era formata da un battaglione del X di linea comandato dal maggiore Colletti e composto da ex ergastolani; da due battaglioni del XII di linea, in gran parte composto da italiani dell'esercito napoleonico; da quattro compagnie di milizie provinciali; da due compagnie di artiglieria; da cento soldati del treno e da trecento zappatori; il B. poteva disporre anche di una diecina di lance cannoniere.
Il 22 maggio fu intimata dagli Austriaci la resa cui il B. oppose un netto rifiuto dichiarandosi fedele a Murat, che pure ormai aveva abbandonato il Regno. Il generale Bianchi, comandante dell'esercito austriaco, fece sapere che, se la guarnigione non si fosse sottomessa, sarebbe stata esclusa. dalla convenzione di Casalanza. La difesa della fortezza si presentava oltremodo difficile anche per le defezioni che incominciarono a verificarsi fra i Napoletani: il 30 maggio si ammutinarono le milizie p'rovinciali e gli uomini del X di linea, e, dopo aver ucciso il Niccolini, che aveva tentato di opporsi, trecento soldati riuscirono a disertare. Il giorno dopo lo stesso B. espulse dalla fortezza, il resto delle milizie provinciali e del. X di linea e fece allontanare dalla rada quelle cannoniere che si erano ribellate. La guarnigione fu così ridotta a 1600 uomini, e fu necessario abbandonare le posizioni più avanzate: ma il B. poteva contare sulla fedeltà delle truppe rimaste, decise alla resistenza.
Le truppe assedianti, comandate dal generale Lauer e in parte formate da reparti toscani e borbonici, mutarono l'assedio in "Oppugnazione"; ma pur sotto il fuoco incrociato dalla terra e dal mare la resistenza napoletana fu anunirevole, tanto che - distrutti i lavori fatti dagli Austriaci per avvicinarsi alla fortezza e danneggiate gravemente le navi inglesi - fu necessario ritornare all'assedio. Questo durò sino all'8 agosto, quando, giunta notizia della partenza di Napoleone per l'isola di Sant'Elena, il B. decise di capitolare con la condizione che fossero restituiti al Borbone non solo la piazza, ma anche tutto il - parco di artiglieria.
In tal modo si ammainava l'ultima bandiera napoleonica che aveva continuato a sventolare in Europa dopo Waterloo, e terminava un assedio che agli AngloAustriaci era costato Inille e cinquecento uomini. Insultato dal Lauer, che ben altrimenti avrebbe dovuto trattare il suo coraggioso rivale, e non difeso sufficientemente dal Borbone, che si limitò a concedergli una pensione, nonostante la difesa che egli aveva fatto dei suoi diritti di monarca napoletano, il B. dovette esulare.
Dal 1815 al 1818 visse a Roma. Nel maggio 1818 si recò in Corsica e si stabilì a Vescovato, un paese ove la moglie, Geronima Graziani, originaria dell'isola, aveva una piccola tenuta. E qui lo raggiunse la notizia della rivoluzione scoppiata a Napoli nei prirni giomi del luglio 1820 e della trasformazione in costituzionale della monarchia borbonica. Reintegrato nel grado con decreto del 24 luglio e richiamato in patria, partì da Bastia il 30 agosto e, al suo giungere a Napoli, ebbe la notizia che era stato eletto deputato al Parlamento. Ma poté prendere soltanto scarsa parte ai lavori dell'Assemblea perché con decreto dell'8 dicembre riebbe il comando della fortezza di Gaeta. Tuttavia nella seguente campagna non poté rinnovare l'eroica resistenza del 1815 perché ormai la situazione politica e rnilitare era profondamente cambiata.
Arrestato all'inizio della reazione il 24 aprile, riebbe la libertà il 27 a patto che si recasse subito all'estero. Tuttavia egli riuscì a rimanere à Napoli ancora per parecchi mesi e partì soltanto il 5 ag. 1822. Recatosi a Pisa, qui strinse amicizia con il Niccolini, con il Vieusseux, con l'Amici, ecc., e con il permesso del Borbone, che il 29 ag. 1825 gli aveva riaperto le porte del Regno, ivi restò sino al 1834, quando accettò l'invito, rinnovatogli più volte da Ferdinando II, di riprendere il suo posto nell'esercito napoletano. Il 4 febbr. 1834 ebbe il comando della piazza di Capua. Ma tenne questa carica per poco tempo, perché morì il 24 apr. 1837.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Segr. Guerra, f.1284; Min. Guerra, ff. 2552, 2846, 2942; M. D'Ayala, Vite dei più celebri capitani e soldati napoletani, Napoli 1843, pp. 129 ss.; A. Ranieri, Notizie intorno alla vita ed ai fatti di A. B., Napoli 1865; M. R. Weil, J. Murat roi de Naples. La dernière année de Règne (mai 1814-mai 1815), V, Paris 1910, pp. 478 ss. Per la sua attività politica prima del 1799, cfr. N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero, Francesco, Pignatelli di Strongoli, Bari 1926, I, p. CCCXCVII; A., Simioni, Le origini del Risorgimento Politico dell'Italia meridionale, II, Messina 1930, p. 446. Sull'assedio di Gaeta del 1815 cfr. le Memorie di F. Pignatelli (a cura di N. Cortese), che si avvalse di notizie e di appunti fornitigli dallo stesso B.; G. Ferrari, Il generale A.B. e la difesa di Gaeta nel 1815, Città di Castello 1914; O. Conti, Il generale A. B. all'assedio di Gaeta e nell'esilio, in Riv. d'Italia, XX(1917), pp. 211-230; M. Mazziotti, Il generale A. B. ed i suoi accusatori, in Rass. stor. d. Risorgimento, IV(1917), pp. 397 ss. e dello stesso, Nuovi docc. sul gen. A. B., ibid., pp. 503 ss.; U., Broccoli, Cronache militari e marittime del golfo di Napoli e delle isole Pontine durante il decennio francese (1806-1815), Roma 1953, pp. 279-282; per l'esilio in Corsica vedi E. Michel, Esuli e cospiratori italiani in Corsica (1815-1830), in Arch. stor. di Corsica, III (1927), pp. 42 s., 67 s. dell'estr. Per gli avvenimenti del 1820-21 cfr. Atti del Parlamento delle Due Sicilie 1820-21, I-IV, Bologna 1926-1931, passim (v. Indice, VI, Bologna 1941, ad nomen): breve cenno biografico nel vol. I, p. 108.