ARALDI, Alessandro
Nacque a Parma verso il 1460 da Cristoforo, che esercitava mercatura di drapperie. Di antica famiglia parmense, era già sposato nel 1488 con Paola di Andrea del Piombo da cui ebbe quattro figli.
Nulla si sa di preciso sulla sua formazione artistica, ma le sue prime inclinazioni risultano chiaramente nell'affresco del duomo di Parma con la Madonna col Bambino, s. Giuseppe e il donatore, nel quale è stata, in un recente restauro, ritrovata la firma e la data 1496; nel dipinto è evidente, con il ricordo di Ferrara, un preponderante mantegnismo. Tali propensioni per la pittura veneta in questo tempo sono confermate da una sua lettera del 24 gennaio di quell'anno al segretario del marchese di Mantova per il quale certamente aveva lavorato, in cui gli chiede una "lettera di familiarità" per "andare fino qualche zorni a Venezia e in altre terre", ed anche dai chiari contatti coi conterranei Filippo Mazzola e Cristoforo Caselli operanti a Venezia e la cui impronta è soprattutto belliniana.
Un'altra documentazione della sua attività è il pagamento, avvenuto il 25 febbr. 1500, per una ancona con l'Annunciazione, ora perduta, che si trovava nell'oratorio di S. Quirino.
Morì probabilmente tra il 1528 e il 1529.
L'attività dell'A., come poco dopo quella del Correggio, è inizialmente legata al convento di S. Paolo ove egli dipingeva, documentatamente, dal 1507 al 1510 "il coro de Santo Paulo dove stano le sore a cantar", ora distrutto.
Rimangono invece, nello stesso convento, alcuni affreschi recentemente riesumati, eseguiti tra il 1500 ed il 1505 quando era badessa Cecilia Bergonzi; lo schema e lo stile della decorazione, evidentemente tratto dal Mantegna nella volta della Camera degli Sposi nel Palazzo ducale di Mantova, conferma ancora le sue propensioni in questo tempo, mentre nell'affresco con la Madonna col Bambino ed angioli da poco staccato da una parete del chiostro, si inserisce un più spiccato elemento emiliano, del Costa soprattutto e del Francia, ed anche dei parmigiano Francesco Marmitta rinomato miniatore e pittore operante appunto in quegli anni.
Un non sicuramente provato viaggio a Roma, forse del 1510-12, gli dà poi l'avvio a nuove esperienze e contatti, quelli soprattutto con la "curiosa civiltà delle grottesche" da cui egli è evidentemente affascinato, come prova la decorazione del 1514 in una sala dell'appartamento badessale del convento di S. Paolo a Parma, per la badessa Giovanna Piacenza che cinque anni dopo commissionerà al Correggio il tinello attiguo. La volta, che appare a prima vista una vorticosa girandola di putti, sfingi, candelabre, cartelle e festoni, ha invece un ritmo rigorosissimo nel segno e nel colore e le grottesche circondano tondi e riquadri con storie del Vecchio e Nuovo Testamento, mentre nelle lunette sono storie classiche e bibliche: la Storia di Cidippe, la Carità romana, la Donna col liocorno, Giuditta, ecc.
Anche qui per lo stile il più sicuro riferimento è al Mantegna della Camera degli Sposi a Mantova, ma sono evidenti anche i riporti dal Bramante specie nelle teste classiche in profilo, mentre le scene bibliche nei riquadri fanno sfoggio di una cultura aggiornata appresa forse a Roma negli anni immediatamente precedenti, la Roma già arricchita dagli affreschi del Pinturicchio nell'appartamento Borgia in Vaticano, da quelli michelangioleschi nella volta della Sistina e di Raffaello nella stanza della Signatura. Pur con tanti autorevoli prototipi esterni, cui si aggiungono quelli non meno suggestivi in loco, come Cesare Cesariano autore della volta della sagrestia di S. Giovanni Evangelista a Parma, Giovanni Antonio da Parma che ha decorato il fregio mantegnesco del transetto nella stessa chiesa, il suo fare è autonomo e spontaneo. Nelle lunette invece cerca di assumere modi magniloquenti e severi, ma ricompaiono spesso quelli più semplici. Firmato e datato allo stesso anno 1514, il dipinto con l'Annunciazione, già nella chiesa del Carmine ed ora nella Galleria nazionale di Parina, ne riflette le stesse forme e lo stesso clima anche nelle chiare assonanze col Francia.
Ancora una vasta decorazione ha compiuto però l'A. in un'altra ala del convento di S. Paolo, nella cappella dedicata a S. Caterina, ove dipinse in una parete la Disputa della santa e in quella di fronte S. Caterina: e s. Gerolamo. Nella Disputa è soprattutto evidente la derivazione dal Pinturicchio nella decorazione della libreria Piccolomini a Siena, ma senza la corale sensibilità di quell'artista; nell'immagine della santa della parete opposta è invece chiaro un innesto leonardesco, sia pure inteso, al solito, in relazione al Costa.
Come accadrà per il Correggio, la commissione delle monache benedettine sembra dia il via a molte altre, tra queste la paia d'altare che Lodovico Centoni volle per la sua cappella nel duomo di Parma e che è firmata e datata al 1516, nella quale il bel paesaggio, come la rustica forza di alcune figure, è di stampo ferrarese, mentre la Madonnina pensosa è ancora una volta ispirata al Francia. Allo stesso anno 1516 era datato un quadro nella chiesa di Casalmaggiore ora perduto, e circa del medesimo tempo è l'affresco con la Madonna adorante il Bambino in S. Pietro a Parma già ascritto al Francia ed al Caselli, nomi indicativi degli indirizzi della pittura dell'Araldi.
Vicina di tempo è certo anche l'altra Annunciazione tra i santi Sebastiano e Caterina della Galleria Nazionale di Parma, proveniente dalla chiesa di S. Luca degli Eremitani, ove il S. Sebastiano legato alla colonna rivela nel colore più fuso e morbido un'altra assonanza del pittore, ancora in campo lombardo, quella col Foppa; ma forse l'artista che da lui è più lontano per lo stile, ma al quale egli cerca di avvicinarsi a più riprese, è Leonardo: lo prova il ritratto di Beatrice da Correggio detta Mamma, chiaramente ispirato alla Gioconda, individuato (A. Ghidiglia Quintavalle, 1952) nella collezione Borri a Parma, il cui ricordo è eternato in un sonetto del poeta contemporaneo Enea Irpino. Se qui, sia pure larvatamente, il pittore riesce ad infondere qualcosa dello spirito, del toscano, nella copia del Cenacolo, firmata e datata 1516, più nulla rimane della magica pittura di lui, una traduzione in vemacolo, una parodia più che una derivazione.
Ancora ai suoi più cari ed antichi modelli, al Costa ed al Francia ed anche a Raffaello giovane, si rifà nello Sposalizio della Vergine nella cripta del duomo di Parma, commessagli nel 1519, che viene considerato il suo capolavoro per la particolare finezza della resa.
Altre opere di questo periodo sono perdute, mentre alcune, di cui ci resta la commissione, non furono mai eseguite; ma quelle che, pur prive di datazione, possiamo considerare eseguite negli ultimi anni, riflettono una nuova scioltezza di forme nell'atteggiarsi vario dei volti, come nel fluire dei panneggi e, soprattutto, nella più profonda comprensione dei grandi modelli che egli aveva sempre presenti; così il quadro con la Madonna col Bambino e i ss. Francesco e Giuseppe nel Convento di Heiligenkreuz nella Bassa Austria, ascrittagli dal Suida e la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Evangelista e Lucia ora nel Palazzo Sanvitale a Parma, ma proveniente dalla chiesa del Carmine, ove coi soliti motivi costeschi, specie nel s. Giovanni, si scorge, soprattutto nell'incedere, nel modellato del panneggio e nell'intensità dello sguardo della s. Lucia, un'aria nuova che mostra come il pittore abbia aperto gli occhi sui fatti capitali che avvenivano a Parma sotto i suoi occhi, tra il secondo ed il terzo decennio del Cinquecento, ma soprattutto sul Parmigianino del quadro di Viadana ora a Bardi che porterebbe la datazione dopo il 1522, il che coincide con le notizie sul quadro, ordinato per la sua cappella da Francesco Maria, de Frizole detto Belom, in un testamento compilato tra il i s 16 ed il 1527.
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