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Puškin, Aleksandr Sergeevič

di Guido Carpi - Enciclopedia dei ragazzi (2006)
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Puškin, Aleksandr Sergeevič

Guido Carpi

La grande anima russa

Poeta di statura universale, capace di capire e di narrare tutto ciò che è umano, Aleksandr S. Puškin è considerato il padre della letteratura russa. Nel corso della sua breve vita, racchiusa nei primi trent’anni dell’Ottocento, egli pone le basi per tutti i generi della futura letteratura nazionale: dalla poesia al teatro, dalla novella al romanzo storico

L’eroe romantico

Definito «unico fenomeno russo» da Gogol´ e «il nostro tutto» dai giovani romantici che crebbero sotto la sua influenza, Aleksandr S. Puškin è l’erede di molte tradizioni diverse, così come diverse sono le influenze che subisce. Appartiene a una stirpe illustre ma è anche discendente di uno schiavo etiope, poi liberato e reso nobile da Pietro il Grande; apprende il francese ancor prima del russo, ma conosce fin da bambino un ricchissimo repertorio di fiabe e leggende grazie all’amata balia Arina Rodionovna; non uscirà mai dai confini della Russia, ma nelle sue opere i posteri vedranno svelati i segreti più nascosti di tutte le culture europee: per Dostoevskij, per esempio, Puškin è un ‘profeta’ che esprime l’aspirazione del popolo russo a comprendere «tutto ciò che è universalmente umano».

Nato a Mosca nel 1799, a ventun’anni, inizia il suo primo poema, Ruslan e Ljudmila. Si lega ai giovani liberali di Pietroburgo che tentano di spingere lo zar a riformare lo Stato: per avere denunciato la tirannia e invocato la libertà in alcune poesie, Puškin viene esiliato nel Sud della Russia (Moldavia, Crimea, Caucaso). Inizia un periodo di viaggi avventurosi che si riflettono nei poemi Il prigioniero del Caucaso (1822) e La fontana di Bachˇcisaraj (1824), dove l’ambientazione esotica fa da sfondo alle imprese di eroi romantici dal temperamento ribelle e individualista.

Uomini inutili e personaggi storici

Nel poema Zingari (1827) Puškin prende poi le distanze da questo tipo di personaggio, egoista e interessato solo alla propria libertà personale; anche nei primi capitoli di Evgenij Onegin, romanzo in versi iniziato nel 1823 e ultimato nel 1831, l’eroe che dà il titolo all’opera è presentato come incapace di stabilire rapporti positivi con i propri simili. A fare dell’Onegin un’opera fondamentale non è la trama in sé, ma l’abbondanza di stili diversi, il continuo cambiamento di punto di vista – ora patetico, ora ironico, ora descrittivo – che ci mostra come in un caleidoscopio l’intera vita russa. Non meno importanti sono i due personaggi principali: Tat’jana, nella sua dolorosa evoluzione da bambina ingenua e sottomessa a donna matura, rappresenta lo spirito profondo del popolo russo, e Onegin, primo modello dei tanti ‘uomini inutili’ della letteratura russa, eroi le cui energie non riescono a trovare sbocco nella realtà stagnante e dispotica della Russia zarista.

In seguito ad alcuni scandali e alla sua ammissione di ateismo, nel 1825 Puškin viene esiliato nella lontana tenuta di Boldino, dove accanto a poesie celebri come Sera d’inverno compone la tragedia storica Boris Godunov, dedicata ai drammatici conflitti della Russia di inizio Seicento che mettono in evidenza il legame fra potere e crudeltà. Nel dicembre 1825 numerosi amici liberali di Puškin sono coinvolti nella fallita rivolta antizarista detta dei decabristi, ma il poeta è perdonato dallo zar Nicola, che lo chiama a corte.

Assai varia è la sua produzione successiva: liriche famose come Il profeta, I demoni, il poema epico Poltava, dedicato a Pietro il Grande; I racconti di Belkin, che saranno alla base della prosa russa successiva; La dama di picche, novella fantastica e inquietante ma anche piena di ironia; le cosiddette Piccole tragedie, i cui personaggi (Mozart e Salieri, Don Giovanni, il Cavaliere avaro, i Banchettanti al tempo della peste) sono accomunati da un tema comune: la ricerca dei limiti della libertà umana.

Gli ultimi, difficili anni

Le ultime grandi opere sono: il poema Il cavaliere di bronzo (1833), sui risultati delle riforme di Pietro il Grande, paragonate a un’inondazione che distrugge i singoli individui; il romanzo storico La figlia del capitano (1836), sulla rivolta dei servi della gleba guidati dal cosacco Emeljan Pugačev ai tempi di Caterina II.

Nel maggio 1834 Puškin abbandona il servizio di corte e per vivere è costretto a occuparsi di giornalismo. Preoccupazioni economiche e incertezza per il futuro amareggiano gli ultimi mesi della sua vita, che si conclude di lì a breve a Pietroburgo, nel 1837, con un duello provocato dallo stesso poeta, costretto a difendere l’onore della bellissima moglie Natal´ja N. Gončarova.

Vedi anche
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