Dovženko, Aleksandr Petrovič
Regista e sceneggiatore cinematografico, scrittore ucraino, nato a Sosnica (nell'oblast′ di Černigov) il 30 agosto 1894 e morto a Mosca il 26 novembre 1956. Secondo il formalista V.B. Šklovskij, suo contemporaneo, D. non solo ha occupato un posto di rilievo nella cinematografia mondiale ma ha anche creato una nuova prospettiva, iniziando un'originale riflessione sui rapporti tra l'uomo e la sua terra. Rispetto ai razionalisti Sergej M. Ejzenštejn e Grigorij M. Kozincev, l'ucraino D. ha esaltato la sensualità del rapporto con la natura all'interno di ogni film e di ogni singola inquadratura, con un approccio essenzialmente lirico. Il nodo dialettico più rivoluzionario di questo regista di genio si svolge nel rapporto simpatetico che i suoi protagonisti instaurano con la natura circostante: a D. non interessava tanto la realtà delle cose, quanto il loro divenire. Attraverso l'uso virtuosistico del piano-sequenza, delle dissolvenze incrociate e di quant'altro nel linguaggio filmico ha saputo maneggiare con maestria, D. ha inteso indagare gli aspetti più profondi della natura umana: la ciclicità di vita e morte, mettendo al centro la Natura intesa come divenire storico e non come pura contemplazione. Comunista convinto, seppure fuori dagli schemi del cinema ufficiale, fu insignito nel 1935 dell'Ordine di Lenin e nel 1955 dell'Ordine della bandiera rossa del lavoro.
Nato in una famiglia contadina di umili origini, D. fu avviato dal padre alla carriera di insegnante elementare, e nel 1917, anno della Rivoluzione, si trasferì a Kiev, dove seguì i corsi della facoltà di Economia, senza però terminare gli studi. Iscrittosi nel 1920 al Partito comunista ucraino, s'impegnò attivamente sia in campo sociale sia sul fronte della guerra civile e venne, per i suoi meriti, nominato dal Commissariato del popolo per gli affari esteri (Narkomindel) capo del servizio amministrativo dell'ambasciata sovietica a Varsavia, dove si trasferì fino al 1922, spostandosi nel 1923 a Berlino, come segretario del consolato dell'URSS. Nel periodo berlinese aveva studiato pittura e, tornato in patria, iniziò a lavorare come illustratore e caricaturista presso vari giornali e riviste, partecipando come illustratore di libri all'associazione letteraria Gart (Tempra) e poi alla VAPLITE (Libera Accademia della letteratura proletaria). Arrivò al cinema da letterato, pensando di dedicarsi al genere comico: nel 1926 scrisse infatti la sceneggiatura di Vasja-reformator (Vasja il riformatore), collaborando con Faust Lopatinskij anche alla regia del film, concepito come una commedia cinematografica, così come il suo film di esordio Jagodka ljubvi (1926, Il frutto dell'amore), di cui scrisse anche la sceneggiatura, che, al pari di altri lavori rimasti allo stato di progetto, risentiva della comicità di Mack Sennett, dimostrando nella realizzazione autentiche doti di regista. Deciso ormai a dedicarsi al cinema a tempo pieno, D. girò poi una serie di film al ritmo di quasi uno all'anno. Nel 1927, con Sumka dipkur′era (La borsa del corriere diplomatico) si ispirò al dramma poliziesco, allora molto amato dai giovani sovietici. Il suo approccio doveva però cambiare ben presto, e D. si affermò all'attenzione del pubblico come regista impegnato sul fronte rivoluzionario, ottenendo per la realizzazione delle opere successive il sostegno dei vertici della cinematografia nazionale. Seguì uno dei suoi film più belli: Zvenigora (1928), quasi un catalogo delle sue potenzialità creative. Protagonista di questo film è la vecchia montagna ucraina, Zvenigora, un vero luogo "stregato", intorno alla quale si dipanano le vicende di una famiglia spaccata al suo interno tra il nonno reazionario e i giovani figli e nipoti rivoluzionari, narrate nello stile romantico delle leggende popolari. D. unì bizzarramente realismo e simbolismo, intrecciando con sapienza realtà e fantastico, tanto che Ejzenštejn ‒ interpellato per un giudizio sul film ‒ lo soprannominò 'l'Hoffmann rosso'; il regista intendeva dilatare i limiti dello schermo, uscire dalle angustie di una narrazione banale e iniziare a esprimersi nella lingua delle grandi generalizzazioni, spingendosi forse oltre il consentito. Il film risultò ostico a pubblico e critica, ma gli spettatori più avvertiti lo giudicarono opera di indubitabile e originale talento.
L'anno dopo uscì Arsenal (1929; Arsenale), ultimo film realizzato per gli stabilimenti cinematografici di Odessa, che D. lasciò per quelli di Kiev. In Arsenal il regista dovette ridimensionare notevolmente le proprie ambizioni cinematografiche concentrandosi sull'obiettivo primario: mostrare la lotta di classe nell'Ucraina occupata dai tedeschi nel periodo della guerra civile. Tre episodi sono emblematici del suo nuovo stile: la catastrofe della ferrovia, con il ritmo frenetico e carico di suspense del treno in corsa; l'inizio dello sciopero, che fa da contrasto con il precedente episodio per l'estrema immobilità su cui è costruita la sequenza; e la repressione dell'insurrezione che si chiude con una suggestiva metafora, un'impennata lirica, con l'eroe che, pur crivellato di pallottole, ancora avanza. Gli eroi di Arsenal, tuttavia, risultano ancora poco caratterizzati, portatori di idee e ideologie prima ancora che uomini in carne e ossa. Il film piacque allo spettatore comune, ma non agli scrittori, né alla critica che finì per mettere in cattiva luce e ostacolare il lavoro del regista.Zemlja (1930; La terra) è considerato il suo capolavoro, nonostante il distruttivo attacco del poeta e potente critico Demjan Bednyj che, su "Izvestija", stroncò l'opera come esempio di arte mistica. Nel film ancora una volta è protagonista la campagna ucraina, che non si limita a fare da sfondo alla vicenda tragica dell'uccisione del giovane contadino Vasil′, entusiasta sostenitore della collettivizzazione, per mano del kulak Choma. Non privo di debolezze nel tratteggiare i personaggi, il film riconferma la vena lirica del regista, che anticipa di quasi trent'anni alcune risonanze profonde del cinema tarkovskiano; i temi dell'Amore, della Morte e della Natura feconda vengono intrecciati con quello contemporaneo della collettivizzazione, già al centro di Staroe i novoe (1929; Il vecchio e il nuovo) di Ejzenštejn. In Zemlja D. diede libero corso alla vena pittorica della sua creatività, costruendo affreschi dall'intensa espressività plastica: la terra arata sotto un cielo carico di nubi, il grano ondeggiante al sole, mucchi di mele sotto la pioggia autunnale. Emerge qui tutta la sua peculiarità di regista-poeta, mentre l'attenzione al montaggio interno all'inquadratura, senz'alcun compiacimento formalista, anticipa l'avvento del sonoro e lo stile di gran parte del cinema sovietico degli anni Sessanta. Con questo film D. si guadagnò il favore del Soviet artistico dell'Ucraina (venne, tra l'altro, inviato in missione artistica a Praga, Berlino, Parigi e Londra in rappresentanza della cinematografia della propria Repubblica) e si affermò come uno dei maggiori autori della cinematografia sovietica.Ivan (1932) segnò il passaggio al cinema sonoro, momento di acuta crisi per molti fautori del cinema di montaggio, o 'poetico', che avversavano la prosa cinematografica. D. invece riuscì a raccontare, senza soffrire troppo di tale passaggio, la storia semplice del cholchosiano Ivan, che si 'operaizza' e acquista man mano coscienza del proprio ruolo sociale. Il regista avviò con quest'opera una personale ricerca per l'integrazione di suono e parola nella struttura poetica del suo cinema di montaggio, ottenendo risultati originali. Nello stesso anno intraprese anche la carriera d'insegnante presso il VGIK di Mosca, confermando la vocazione pedagogica comune ai grandi registi sovietici e consolidando la loro funzione di veri maestri. Nel 1933 si recò in viaggio all'Est e, se fino a quel punto aveva trattato solo materiali ispirati alla vita e alla rivoluzione ucraine, nel film successivo, Aerograd (1935), lo scenario si spostò nell'estremo Oriente sovietico, in Siberia, tra le guardie di frontiera in lotta contro i giapponesi: nella scena dell'esecuzione di un traditore in mezzo alla taiga, per mano di un vecchio cacciatore, l'afflato lirico e il senso poetico dello spazio di D. risultano pienamente espressi.Terminata la sceneggiatura nel 1936, il regista, insieme alla moglie Julija I. Solnceva, iniziò la lavorazione di Ščors (1939) con il quale tornò a temi legati alla sua terra, raccontando la storia dell'eroe ucraino che nel 1918 aveva sconfitto le truppe tedesche d'occupazione. La sceneggiatura di questo film, a differenza delle precedenti, pur rappresentando la prima tappa della costruzione filmica, costituisce già un'opera finita, un genere poetico con valore autonomo. D., che da tempo pensava a un film su Taras Bul′ba, probabilmente si ispirò al leggendario eroe nazionale per profilare la figura di Ščors. La bellezza plastica delle immagini riporta agli accenti di Zemlja; in questo film D. curò particolarmente la forma, inserendo il racconto in una prospettiva molto dinamica, quasi in contrasto con le altre sue opere: intendeva infatti dare massimo rilievo ai caratteri e all'azione eroica che, presentata su un piano realistico, doveva risultare comprensibile a milioni di lavoratori.
Scoppiata la Seconda guerra mondiale, D. tornò alla vecchia passione per la letteratura, scrivendo racconti (Mat′, La madre; Otstupnik, Il rinnegato; Noč′ pered boem, La notte prima della battaglia) e un romanzo, Osvoboždenie, da cui trasse ispirazione per il film omonimo (1940, Liberazione) che girò nell'Ucraina occidentale, a capo di una troupe di operatori documentaristi. Dopo l'invasione nazista, D. si unì alla lotta di liberazione e collaborò al giornale del fronte sud-occidentale "Krasnaja armija" (L'Armata rossa). Gli anni bellici lo videro impegnato nel campo della cineattualità; effettuò numerose riprese di azioni belliche e partigiane in Ucraina, che gli permisero di comporre, come supervisore artistico, un importante documentario della Solnceva e di Ju. Avdeenko: Bitva za našu Sovetskuju Ukrainu (1943, La battaglia per la nostra Ucraina sovietica). Iniziò nel 1944 a lavorare per la Mosfil′m, impegnandosi al contempo nella stesura di diversi copioni: Povest′ plamennych let (Il racconto degli anni di fuoco), Zolotye vorota (Le porte d'oro), Rabstvo (Schiavitù). Sempre nel 1944 avviò la sceneggiatura di Mičurin o, secondo il primo titolo, Žizn′ v cvetu (Mičurin o La vita in fiore), che la Mosfil′m approvò in via definitiva due anni dopo e che, più volte rimaneggiata, portò alla realizzazione del film nel 1948 e alla sua uscita il 1° gennaio 1949. Con Mičurin, pensato nel periodo del 'caso Lysenko' e delle controversie sulla biologia, D. si cimentò nel genere biografico, affrontando la figura del grande biologo-agronomo I.V. Mičurin (1855-1935), autore di scoperte fondamentali per lo sviluppo agroalimentare dell'URSS. L'idea di D. era di dare allo spettatore l'impressione che il film fosse maturato come un frutto e che come un frutto gli venisse offerto. Al di là del tema, il film risulta concepito secondo i quattro movimenti di una grande sinfonia, sostenuti dalla partitura appositamente scritta da Dmitrij D. Šostakovič: la musica e l'armonia dei colori si mescolano ai grandi temi dell'Amore e della Morte, della Natura trasformata dall'uomo, della scienza e della rivoluzione creatrice. Il film non piacque a Stalin, che criticò l'aspetto intimista di un ritratto che doveva essere, a suo parere, del tutto pubblico; ma il film, quasi visionario, rimane una delle opere di maggior interesse della storia del cinema.
D. scrisse in seguito alcuni drammi e diverse sceneggiature, ma molte di esse restarono sulla carta. Dedicò gli ultimi anni di vita alla rielaborazione letteraria di vecchie sceneggiature, come Aerograd e Arsenal, e alla stesura di nuove, tra le quali va menzionata Poema o more; mentre si apprestava a girare questo film, il regista scomparve e il lavoro fu portato a termine dalla moglie (1958; Il poema del mare) e gli valse, postumo, il premio Lenin per la sceneggiatura letteraria (1959). Ancora una volta in questa sceneggiatura D., utilizzando come sfondo la vicenda della costruzione della centrale idroelettrica di Kachovka sul fiume Dnepr in Ucraina, incastona il tema dell'amore per la propria terra, rigenerato dal comunismo in cui continuò a credere sino alla fine. Tra le altre sceneggiature realizzate postume dalla moglie: Povest′ plamennych let (1960, Il racconto degli anni di fuoco), Začarovannaja Desna (1964, La Desna incantata) e Nezabyvaemoe (1968, L'indimenticabile).
Le sceneggiature, i racconti e gli articoli di D. sono stati raccolti in Izbrannoe (Opere scelte), Moskva 1957; è stata pubblicata anche un'edizione di opere in Sobranie sočinenij v 4 tomach (Raccolta di scritti in 4 volumi), 4 voll., Moskva 1969; sulla sua produzione, cfr. Fil′my Aleksandra Dovženko: k 80-letiju dnija roždenija A.P. Dovženko (I film di A.P. Dovženko: per l'ottantesimo anno dalla nascita), Moskva 1974; Uroki Aleksandra Dovženko: sbornik statej (Le lezioni di A.P. Dovženko: antologia di scritti), Kiev 1982; con un saggio di V.B. Šklovskij e la cura di U. Silva, cfr. anche le sue Memorie degli anni di fuoco, Milano 1973; e infine, a cura di M. Carynnyk, The poet as a filmmaker: selected writings, Cambridge 1973.
Sulla sua figura e le opere si vedano, inoltre: L. et J. Schnitzer, Alexandre Dovjenko, Paris 1966; A. Mr′jamov, Dovženko, Moskva 1968; B. Amengual, Alexandre Dovjenko, Paris 1970; Alexandre Dovjenko et le cinéma ukrainien, éd. Association France-URSS, in Aspects du cinéma soviétique/6, Paris 1985; Prima dei codici. Il cinema sovietico prima del realismo socialista 1929/1935, a cura di A. Crespi, S. de Vidovich, Venezia 1990, pp. 115-17 e passim; B. Amengual, Le maître au tournesol: A. Dovjenko, Paris 1999.