Aldobrandeschi
Potente casata feudale, che signoreggiò per secoli, attraverso varie e complesse vicende storiche, un vasto territorio della Tuscia meridionale, che già prima del sec. XII comprendeva i bacini della Cecina, dell'Ombrone, dell'Albegna e della Fiora. Forse di origine longobarda (ma autorevoli studiosi, fra i quali il Repetti, insistono invece sull'ascendenza salica degli A.), i documenti permettono di risalire con sicurezza non oltre un Rodolfo conte di Roselle, morto nel 988, figlio di un altro Rodolfo. Non mancano per altro indizi che, in qualche modo, consentono di ricollegare i conti rosellani ai discendenti di un Alperto di Lucca, morto prima dell'800, che all'inizio del IX secolo trasferirono proprietà, benefici e diritti vari goduti a Lucca e nel suo territorio " in finibus Suanae et Rusellae ". Neppur esaurientemente accertato è quanto si riferisce all'infeudamento delle contee di Roselle e di Soana agli A.; sembra per altro possibile che esso venisse accordato da Benedetto VI o da Benedetto VII a Rodolfo I A. o al padre di lui Ildebrando III, fosse o non fosse preceduto nel tempo da altro infeudamento imperiale.
Il fondamentale problema politico che condizionò nei secoli XII-XIII la politica degli A. è inerente alla posizione geografica dei loro territori, che imponeva un difficile equilibrio, implicante alleanze o atti di ostilità, rinunce o rivendicazioni, azioni di contenimento o di rivalsa, fra antichi comuni di consolidata potenza economica e militare quali Pisa e Firenze da un lato, e le repubbliche di Siena e di Orvieto, in fase di vigorosa espansione, dall'altro. L'apogeo della potenza della casata si ebbe, probabilmente, ai tempi del conte palatino Ildebrandino VIII, morto nel 1208, che lasciò vari figli, fra i quali Guiglielmo, fondatore del ramo di Soana e Pitigliano, e Bonifazio, primo dei conti di Santafiora. E forse soprattutto alle imprese di Ildebrandino e di Guiglielmo allude D., quando, da Omberto figlio del secondo, fa citare le opere leggiadre che, con l'antico sangue (Pg XI 61), alimentarono la sua superbia. Imprese accorte e animose furono d'altronde anche quelle dell'ultimo conte del ramo di Soana, Ildebrandino il Rosso, altro figlio di Guiglielmo, morto nel 1284, che fece di Pitigliano la capitale dei suoi domini e ne portò il titolo comitale. Senza figli maschi, maritò la figlia, contessa palatina Margherita, a quel Guido di Montfort (v.) che fesse in grembo a Dio / lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola (If XII 119-120), l'autore cioè della sacrilega vendetta di Viterbo ai danni del principe Enrico di Cornovaglia (1271). E a questo maritaggio altri ne seguirono, fra i quali quello con Nello Pannocchieschi signore della Pietra che, secondo una tradizione non suffragata da prove documentarie, e anzi alquanto dubbia, avrebbe ucciso, per poter impalmare la potente signora, la sposa Pia de' Tolomei (Pg V 133-136). Mentre il ramo Soana-Pitigliano si estingue con la contessa Margherita e i territori del feudo passano, attraverso varie vicende, agli Orvietani e agli Orsini, continua per oltre un secolo a signoreggiare la contea di Santafiora l'altro ramo della casata, che fa capo al citato Bonifazio d'Ildebrandino VIII e al figlio di lui Ildebrandino. È appunto questo Ildebrandino che nel 1274 stipula con Ildebrandino il Rosso una convenzione relativa alla divisione del feudo fra i due rami, che era già in atto sin dal 1216 quando, sotto gli auspici del comune di Orvieto, il comitato era stato diviso fra quattro figli di Ildebrandino VIII. Ma all'assai maggior lunghezza, nel tempo, del dominio degli A. di Santafiora (in Val di Fiora, oggi in provincia di Grosseto) sulle terre maremmane non corrispose certo gloria d'opere leggiadre, avvilendo quei feudatari le tradizioni di virtù guerriera e la fierezza dell'antico sangue in un'angusta politica di rinunce e di patteggiamenti coi potenti comuni confinanti e nelle continue lotte intestine fra i vari membri della famiglia. Ciò sin dai tempi di D., cui non poteva sfuggire il contrasto fra la magnanimità delle imprese di un Ildebrandino VIII e di un Guiglielmo e l'imbelle contegno di quei signori che, grandi feudatari, mal rappresentavano, in mezzo ai comuni potenti e turbolenti dell'Italia centrale, l'imperatore, rendendo oscura quella Santafiora del cui titolo comitale pur si fregiavano, d'altronde anche tale (il termine può ben assumere il senso di ‛ afflitta ' o ‛ tribolata ') per le sconfitte subite ad opera dei Senesi (1299-1300) non meno che per l'ostilità papale (D. il 19 giugno 1301 aveva votato contro la conferma dell'aiuto di cento militi già concesso al papa per azioni belliche contro gli A.). Cosicché il comitato aldobrandesco può ben parere a D. esempio tipico, ai suoi tempi, della pressura cui son soggetti i gentili dell'imperatore, delle magagne gravissime che richiedono l'intervento non prorogabile di Cesare nelle cose d'Italia (Pg VI 109-111).
Bibl. - D. Berlinghieri, Notizie degli A., Siena 1842; E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, V, Firenze 1843, 143-149 e 410-415; VI, ibid. 1846, 55-63; Davidsohn, Forschungen IV passim; B. Aquarone, D. in Siena, Città di Castello 1889, 95-105; Bassermann, Orme 327-330, 637; G. Ciacci, Gli A. nella storia e nella D.C., Roma 1935, voll. 2.