SANDULLI, Aldo Mazzini.
– Nacque a Napoli il 22 novembre 1915 da una famiglia di buona borghesia irpina di fede repubblicana (da qui il suo secondo nome). Il padre, Nicola, era magistrato (andò in pensione come presidente di Corte d’appello), la madre, Maria de’ Ruggieri, proveniva da una famiglia di origine salernitana.
Fu il primo di tre fratelli: lo seguirono Mario (1917), poi ufficiale di marina, e Ruggiero (1922), anch’egli magistrato, andato in pensione da presidente di sezione nella Corte di cassazione.
Aldo si diplomò a 17 anni nel liceo classico Umberto I di Napoli (vinse anche il premio nazionale Dante Alighieri per il miglior tema di italiano) e a 18 anni prestò servizio di leva presso la scuola di artiglieria di Potenza. Laureatosi cum laude a Napoli nel 1936, discutendo con Ugo Forti una tesi sul procedimento amministrativo, si perfezionò prima all’Università di Berlino e poi a Padova, presso la cattedra di Donato Donati, al quale Forti lo raccomandò caldamente. Dopo le leggi razziali, che colpirono entrambi – Donati e Forti –, si trasferì a Venezia, stringendo amicizia con Enrico Guicciardi, Egidio Tosato e specialmente con il giovane Feliciano Benvenuti. Nel 1939 ebbe l’incarico di diritto amministrativo a Urbino e nell’ottobre 1942 conseguì la libera docenza. Fu chiamato all’Università di Trieste, ma non poté prendervi servizio perché richiamato alle armi già nel 1940. Aveva pubblicato intanto, oltre a numerosi scritti minori, la sua prima monografia, Il procedimento amministrativo (Milano 1940).
Scoppiata la guerra, Sandulli combatté nel 1941 sul fronte iugoslavo e nel 1942 in Russia. Rientrò provvisoriamente in Italia per sostenervi il concorso a cattedra bandito dall’Università di Urbino (1942), nel quale risultò primo ‘ternato’ assieme a Renato Alessi e Pietro Gasparri (la terna, quando nel 1948 si dovettero revisionare quei concorsi per l’esclusione dei professori ebrei in applicazione delle leggi razziali, fu, come del resto era prassi, riconfermata). Tornato alla sua batteria, operante sulla linea di difesa tenuta dalla divisione alpina Julia lungo il Don, Sandulli vi combatté sino a quando, durante la ritirata, il 26 gennaio 1943 cadde prigioniero nel villaggio di Nikitowka. Iniziava così un drammatico periodo di privazioni e sofferenze che si sarebbe concluso, con il rientro in patria, solo nel 1946. Nel 1959 Sandulli avrebbe ricevuto, per il valore dimostrato in battaglia e per il comportamento costantemente tenuto in prigionia, la medaglia d’argento al valor militare.
Nel luglio 1946 assunse servizio presso l’Università di Trieste. Promosso nel gennaio 1948 da professore straordinario a ordinario, nel 1949 fu chiamato (cattedra di dottrina dello Stato) prima presso la facoltà di economia e poi presso quella giuridica dell’Università di Napoli. Riprendeva frattanto, dopo la lunga interruzione, la sua attività scientifica, cui avrebbe affiancato sempre l’esercizio dell’avvocatura. Pubblicò in quegli anni molti saggi, tra i quali la nota sul Principio della irretroattività della legge e la Costituzione (in Il Foro amministrativo, XXXIII (1947), parte II, coll. 73-88) e lo scritto su Legge. Forza di legge. Valore di legge (in Rivista trimestrale di diritto pubblico, VII (1957), pp. 269-276) in cui si mostrava consapevole della necessità di rileggere il diritto amministrativo alla luce della Costituzione democratica; ma soprattutto fu l’autore di un diffusissimo Manuale di diritto amministrativo (Napoli 1952) giunto poi sino a quindici edizioni (l’ultima del 1989), incrementato in pagine e argomenti man mano che si sviluppavano la legislazione e la giurisprudenza, testo base e costante punto di riferimento per gli studi di diritto amministrativo e specialmente per i corsi universitari.
Aveva intanto sposato, l’11 giugno 1951, Susanna D’Ambrosio. Dal matrimonio nacquero tre figli, Nicola Maria (1952), Maria Alessandra (1956) e Andrea (1958).
Nel 1954 Sandulli fu nominato giudice dell’Alta Corte per la Regione siciliana. Dal 1957 al 1969, per nomina del presidente della Repubblica Gronchi, fu giudice costituzionale. Negli ultimi 15 mesi del mandato (allora dodicennale), dal 16 gennaio 1968 al 4 aprile 1969, fu presidente della Corte, scelto dai colleghi contravvenendo alla regola non scritta della designazione per anzianità.
Visse quindi, tra i 41 e i 53 anni, la fase di consolidamento della Corte, alla quale indubbiamente impresse il segno della sua personalità di giurista e probabilmente anche il suo stile, caratterizzato da estremo rigore e sobrietà.
Tra le molte sentenze delle quali fu redattore vanno ricordate almeno quelle sui rapporti tra potere legislativo, potere amministrativo e potere giurisdizionale (come la n. 118 del 1957 e le nn. 36 e 61 del 1958 o la n. 40 del 1964), ma soprattutto la n. 59 del 1960, sui rapporti tra libertà di espressione e diritto a un’informazione, che generò un intero indirizzo successivo nella giurisprudenza della Corte. Un cenno poi meritano le sentenze nn. 55 e 56 del 29 maggio 1968, sul diritto di proprietà immobiliare, che molto pesarono sulla successiva evoluzione del diritto urbanistico; e, in altro campo, ma non meno rilevante, la n. 126 del 1968, che, ribaltando le conclusioni espresse dalla n. 41 del 1961, dichiarò l’illegittimità costituzionale delle disposizioni del codice penale che punivano l’adulterio della moglie.
Nel periodo trascorso alla Corte costituzionale Sandulli non interruppe l’intensa produzione scientifica, orientando sempre di più i suoi studi alla reciproca connessione tra il diritto amministrativo e il diritto costituzionale. Fu, in effetti, uno dei più prolifici studiosi del diritto pubblico del dopoguerra: gli scritti non monografici, raccolti dopo la sua scomparsa in sei volumi (Scritti giuridici dal 1940 al 1984, Napoli 1990), furono oltre quattrocento, a testimonianza di una operosità intensa, esercitata su una grande varietà di argomenti e in una pluralità di sedi (dalle principali riviste giuridiche ai numerosissimi convegni scientifici). Nella allora operante divaricazione tra giuristi ‘normativisti’ e altri, eredi della tradizione istituzionalistica di Santi Romano, Sandulli mantenne una sua peculiare posizione, «accostandosi – come ha osservato Antonio Baldassarre nel commemorarlo – al positivismo tradizionale, ma senza mai accettarlo integralmente» (Baldassarre, in Aldo M. Sandulli..., 2004).
Un tema che emerse con peculiare evidenza fu quello della ‘legalità repubblicana’: in questa linea, gli scritti Verso lo Stato sociale, consolidando la democrazia (in Studi in occasione del primo centenario della Corte dei Conti nell’Unità d’Italia, Milano 1963, pp. 371-390) e Nuovi presidi per la democrazia (in Quaderni giuridici, I, Milano 1965, pp. 13-24), poi ripubblicato col titolo Repubblica e legalità (in Nord e Sud, febbraio 1966, n. 74, pp. 6-27), incentrato quest’ultimo sulla convinzione che «Stato sociale e Stato di diritto devono progredire e prosperare di conserva, senza sconfessarsi e rinnegarsi a vicenda ma traendo linfa vitale l’una dall’altro» e che lo Stato di diritto non possa essere perciò per alcun motivo sacrificato allo Stato sociale (Sandulli, 2015, p. 651). Da ricordare anche i suoi interessi verso nuove aree allora solo parzialmente esplorate del diritto, quali, per esempio, quello urbanistico, settore nel quale aveva fondato nel 1958 la pionieristica Rivista giuridica dell’edilizia.
Chiusa la sua esperienza alla Corte, Sandulli fu chiamato alla prima cattedra di diritto costituzionale dell’Università La Sapienza di Roma, dove insegnò sino al 1983, quando fu eletto al Senato quale indipendente nelle liste della Democrazia cristiana (fu tra l’altro vicepresidente della commissione Bozzi per le riforme costituzionali).
Quello stesso 1969 fu anche nominato presidente della RAI, RAdiotelevisione Italiana («di garanzia» si disse: per frenare la lottizzazione partitica), carica dalla quale si dimise nel febbraio 1970, in forte polemica contro le manipolazioni riscontrate in un servizio televisivo sulla riforma del codice penale. A quel valore della libertà di opinione, rivendicato con determinazione anche nella lettera che indirizzò alla commissione di vigilanza RAI, egli si era sempre ispirato lungo tutta la sua vita di studioso e di uomo delle istituzioni.
Espresse fortemente, in quegli anni, la preoccupazione per quelle che, in una conferenza tenuta a Roma il 23 giugno 1971 (poi ripresa in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XXII (1972), 1, pp. 471-488) definì, non senza accento polemico, le «ombre sulle istituzioni»: la degenerazione dei partiti politici soprattutto e la loro inarrestabile ‘conquista’ dello Stato; ma anche l’esondazione dal loro ruolo costituzionale dei sindacati e, in genere, gli indirizzi legislativi di riforma economico-sociale dei governi dell’epoca (severissima fu la sua critica alla legislazione riformista del decennio appena trascorso). Fu frutto di quella visione, sotto alcuni profili pessimistica («apocalittica», l’aveva definita Valerio Onida rispondendo all’intervento del 1971), anche la fondazione nel 1972, con Giovanni Cassandro e Vezio Crisafulli, della rivista Diritto e società, per «offrire – scrisse presentandone il primo numero – una tribuna aperta a tutti»: ma si intuiva anche il disegno di una chiamata a raccolta contro le trasformazioni in atto nella cultura giuridica di quegli anni contrastati.
Numerose furono le responsabilità e le onorificenze di Sandulli. Fu membro dell’Accademia dei Lincei (socio corrispondente dal 1972, nazionale dal 1982); membro dei comitati direttivi di Giurisprudenza italiana e della Enciclopedia giuridica; presidente del comitato per le scienze giuridiche del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Fu assiduo collaboratore di vari giornali, tra i quali – a lungo – il Corriere della sera e Il Tempo.
Morì improvvisamente a Torgiano (dove partecipava a un convegno) l’11 febbraio 1984.
Fra le opere si ricordano: Conoscere per legiferare, in Diritto dell’economia, VI (1960), 8, pp. 975-981; Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli 1963; Legge (diritto costituzionale), in Novissimo Digesto italiano, IX, Torino 1963, pp. 630-651; Il giudizio sulle leggi, Milano 1967; L’attività normativa della pubblica amministrazione, Napoli 1970; Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, in Diritto e società, III (1975), 3, pp. 561-577; Replica al XXVIII convegno nazionale di studio dell’Unione dei giuristi cattolici italiani su Problemi giuridici dell’informazione, Roma, 9-11 dicembre 1977, in Iustitia, XXXI (1978), 2, pp. 185-191; le raccolte Un giurista per la democrazia. Interventi sulla stampa, Napoli 1987 e Scritti scelti di A.M. S., Milano 2005.
Fonti e Bibl.: S. A., in Novissimo Digesto italiano, XVI, Torino 1969, p. 470; D. Cosi, A. Maria [sic] S., in Enciclopedia Italiana, V Appendice, Roma 1994, p. 257; T.E. Frosini, A.M. S., in Dizionario costituzionale, a cura di M. Ainis, Roma-Bari 2000, pp. 418 s.; A.M. Sandulli - A. Sandulli jr., A.M. S., in Juristas universales, a cargo de R. Domingo, IV, Madrid-Barcelona 2004, pp. 651-654; A.M. S. 1915-1984. Attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano 2004 (e ivi il citato saggio di A. Baldassarre, A.M. S. e il diritto costituzionale, p. 41 ss.); A. Sandulli jr., Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945), Milano 2009, pp. 248-251, 304 s.; G. Abbamonte - O. Abbamonte, S., A. Maria [sic], in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1784-1786; M.R. Di Simone, Giuristi e fascismo all’Università di Trieste, in Giuristi al bivio. La Facoltà di Giurisprudenza tra regime fascista ed età repubblicana, a cura di M. Cavina, Bologna 2014, p. 102; M.A. Sandulli, Principio di legalità e effettività della tutela: spunti di riflessione alla luce del magistero scientifico di A.M. S., in Diritto e società, 2015, 4, pp. 649-669; Il magistero scientifico di A. M. S. nel centenario della nascita, a cura di M.A. Sandulli, Napoli 2015.