LAMPREDI, Aldo
Nacque a Firenze il 13 marzo 1899, in una famiglia di condizioni assai modeste, da Guglielma Lampredi e da padre ignoto. A prezzo di grandi sacrifici la madre riuscì a garantire al figlio un minimo d'istruzione facendogli frequentare, dopo le scuole elementari, quelle tecniche.
Nel 1918 il L. iniziò a lavorare presso una ditta di ombrelli, dalla quale fu licenziato un anno dopo per aver organizzato il sindacato dei commessi e promosso i primi scioperi della categoria. Il 2 luglio 1919 fu fermato per la prima volta dalla polizia nel corso di una protesta contro il caroviveri, e in quello stesso anno partecipò a una manifestazione per i morti in guerra, indetta dal Partito socialista italiano (PSI) e dalla Camera del lavoro. Il L., che aveva intrapreso l'attività di falegname, decise allora di iscriversi alla Federazione italiana giovanile socialista (FIGS). Nel 1920 aderì al PSI e prese parte alla conferenza nazionale della frazione astensionista, che si tenne a Firenze l'8 e il 9 maggio, dove ebbe occasione di conoscere A. Gramsci. Sempre a Firenze partecipò, dal 29 al 31 genn. 1921, al congresso della FIGS, che decise a larghissima maggioranza di aderire al Partito comunista assumendo il nome di Federazione giovanile comunista italiana (FGCI). Dopo essere stato nel gruppo dirigente della FGCI, in seguito all'avvento del fascismo il L. assunse un ruolo di una certa importanza in seno al partito comunista fiorentino. La sua falegnameria divenne un punto d'incontro dell'organizzazione clandestina comunista che, nel settembre 1925, fu colpita da numerosi arresti. Il L. si allontanò allora da Firenze, ma questa precauzione non gli risparmiò l'arresto, avvenuto a Roma il 18 febbr. 1926. Processato dal Tribunale speciale e riconosciuto colpevole di appartenenza a una "organizzazione comunista tendente alla insurrezione armata contro lo Stato ed incitante all'odio di classe" (Aula IV, p. 33), il 12 marzo 1927 fu condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione, che scontò nelle carceri di Pesaro e di Civitavecchia, prima di essere liberato per sopraggiunta amnistia il 15 nov. 1932. Rientrato a Firenze, il L. riprese, già nei primi mesi del 1933, l'attività clandestina.
Insieme con R. Bitossi, R. Baracchi e G. Tagliaferri, si impegnò nella diffusione della stampa comunista e nella riorganizzazione del partito non solo nel capoluogo, ma anche in diversi centri delle province di Firenze e di Siena. Dopo aver ricostruito il comitato federale e ripreso i contatti con il centro estero del partito a Parigi, il L. e i suoi compagni si concentrarono sul lavoro di penetrazione in alcune fabbriche fiorentine.
La loro attività venne presto scoperta e nel marzo 1934 si ebbe una nuova ondata di arresti, alla quale il L. riuscì a sottrarsi riparando in Francia. Su indicazione del centro estero del Partito comunista italiano (PCI) di Parigi, il L. si trasferì poi a Mosca, dove, dall'ottobre 1934 al luglio 1936, frequentò la scuola leninista; allo scoppio della guerra di Spagna, accorse volontario nelle brigate internazionali.
L'anno seguente fu richiamato a Parigi per occuparsi dell'attività clandestina verso l'Italia, un compito che divenne difficile dopo la sconfitta francese a opera dei Tedeschi. Nell'autunno 1941 si trasferì nella regione delle Alpi Marittime, dove insieme con E. Bonviso, e più tardi con Giuliano Pajetta, S. Schiapparelli, I. Nicoletto ed Emilio Sereni, riattivò il centro estero ed ebbe parte nell'organizzazione della Resistenza.
Alla caduta del fascismo rientrò in Italia e dopo l'8 sett. 1943, il L., con i nomi di battaglia Roberto e Guido, svolse un ruolo dirigente nel movimento partigiano, come ispettore del comando generale delle brigate "Garibaldi", responsabile politico e militare nel Friuli e del triunvirato insurrezionale nel Veneto. In Friuli fece parte delle delegazioni che, nel novembre 1943 e nell'aprile 1944, incontrarono i rappresentanti dei comunisti sloveni per risolvere i contrasti insorti sulla definizione dei confini e sul diritto delle formazioni partigiane italiane a operare in un territorio che gli Sloveni consideravano già loro.
Malgrado gli accordi raggiunti, che accoglievano le posizioni italiane per una collaborazione nella lotta armata contro il comune nemico e per il rinvio delle questioni pendenti al momento della pace, si determinarono nuovi attriti. Il L. ritenne allora opportuno accondiscendere alle richieste degli Sloveni decidendo, nell'ottobre 1944, il trasferimento della divisione Garibaldi-Natisone oltre Isonzo, dove sarebbe stata posta sotto il comando del IX korpus sloveno. Tale decisione, che implicava il distacco della Garibaldi dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), suscitò un forte contrasto con la I brigata "Osoppo" operante nella stessa zona del Friuli orientale.
Il L., che considerava Trieste perduta per l'Italia, chiese ad A.V. Gigante, dirigente della federazione comunista triestina ostile alla politica filoslovena, di trasferirsi a Udine, ma l'invito non fu accolto anche per l'opposizione di G. Amendola; le polemiche tra il L. e Amendola erano destinate a durare a lungo.
In una lettera ad Amendola (7 febbr. 1973), il L. ne respinse i severi giudizi, in particolare l'accusa di aver avuto "uno spirito capitolardo nei confronti dell'italianità di Trieste". Secondo il L., malgrado le difficoltà - derivanti anche dalle simpatie di molta parte dei lavoratori nei confronti dell'esercito di Tito - e gli errori, i comunisti del Friuli e della Venezia Giulia avevano "saputo mantenere fermo il principio dell'italianità dei nostri territori, affermandolo con l'azione politica e con la presenza dei nostri partigiani al momento dell'insurrezione" (in Arch. storico del PCI).
All'inizio del 1945, L. Longo lo volle come collaboratore presso il comando generale del Corpo volontari della libertà e in tale veste il L. assolse a una serie di delicate missioni. Tra queste la più importante fu senza dubbio quella, affidata il 27 apr. 1945 a lui e a W. Audisio, di dare corso alla sentenza di morte emessa nei confronti di B. Mussolini dal Comitato nazionale di liberazione Alta Italia (CNLAI).
La notorietà del L. è indubbiamente legata alla sua partecipazione all'esecuzione del capo del fascismo, avvenuta a Giulino di Mezzegra il 28 aprile. Sul ruolo del L. nella vicenda si registrano contrastanti valutazioni, più che in sede storiografica nelle memorie di altri partecipi e testimoni e nelle tante ricostruzioni di taglio giornalistico dedicate alla cattura e alla uccisione di Mussolini. Sull'argomento il L. mantenne un rigoroso riserbo (affidò la sua versione dei fatti a un memoriale consegnato nel 1972 ad A. Cossutta e pubblicato in L'Unità il 26 genn. 1996), preferendo alla ribalta politica il lavoro oscuro di funzionario di partito.
Nel 1946 fu segretario della federazione comunista di Padova e l'anno seguente si trasferì a Roma per lavorare presso la direzione del PCI. Nel 1947 fu membro della commissione centrale di organizzazione e dal 1947 al 1956 della commissione centrale quadri. Dal VII congresso del partito (Roma, 3-8 apr. 1951) fu eletto nel comitato centrale e dopo il successivo congresso (Roma, 8-14 dic. 1956) entrò nella commissione centrale di controllo, di cui fu segretario. Sul finire degli anni Sessanta, ebbe il compito di controllare l'iniziativa dei gruppi marxisti-leninisti e maoisti formatisi alla sinistra del PCI.
Colpito da collasso cardiaco mentre si trovava in Jugoslavia per un periodo di riposo, il L. morì a Jesenice, in Slovenia, il 20 luglio 1973.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2704; Ibid., Fondazione Istituto Gramsci, Arch. storico del PCI 1921-91, Biografie, memorie, testimonianze, f. Aldo Lampredi; P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945, Milano 1973, ad ind.; A. Colombi, La coscienza di un comunista, in L'Unità, 20 ag. 1973; W. Audisio, In nome del popolo italiano, Milano 1975, pp. 316, 327, 341, 343, 359-384, 387 ss.; Aula IV, a cura di A. Dal Pont et al., Milano 1976, ad ind.; G. Tagliaferri, Comunista non professionale, Milano 1977, ad ind.; G. Amendola, Storia del Partito comunista italiano 1921-1943, Roma 1978, ad ind.; I compagni di Firenze. Memorie di lotta antifascista 1922-1943, a cura di G. Gozzini, Firenze 1979, ad ind.; Le brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, II, giugno - novembre 1944, a cura di G. Nisticò; III, dicembre 1944 - maggio 1945, a cura di C. Pavone, Milano 1979, ad indices; P. Pallante, Il PCI e la questione nazionale. Friuli-Venezia Giulia 1941-1945, Udine 1980, ad ind.; A. Dal Pont - S. Carolini, L'Italia dissidente e antifascista, I-III, Milano 1980, ad ind.; G. Amendola, Lettere a Milano, 1939-1945, Roma 1980, pp. 13, 30, 33 s., 45, 47, 75, 80, 145, 415 s., 420, 424, 426-430, 434, 438, 441, 443, 446-449, 451, 453, 456, 458 s., 472, 530; F. Giannantoni, "Gianna" e "Neri", vita e morte di due partigiani comunisti, Milano 1992, ad ind.; M. Caprara, Lavoro riservato. I cassetti segreti del PCI, Milano 1997, ad ind.; L. Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Milano 2002, ad ind.; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, III, s.v.; Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, III, s.v.; Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, Antifascisti nel Casellario politico centrale, XI, Roma 1993, s.v.; Diz. della Resistenza, I-II, Torino 2000-01, ad indicem.