ALDIO (aldius, aldia; aldio, - nis; aldiana)
Gli aldî costituivano, presso i Longobardi, una classe piuttosto numerosa, a giudicarne dalle non poche disposizioni legislative e dai documenti che la ricordano; ma non tanto, che si possa consentire nell'opinione di coloro che sostengono essere stati i vinti Romani ridotti dai Longobardi appunto nella condizione di aldî. Oltre che presso i Longobardi, si ha notizia di aldî in pochi documenti bavaresi; ma sembrano dovuti ad influenza italiana. Se però tra i Germani occidentali manca il nome, non manca la cosa. I Franchi, i Sassoni, gli Anglosassoni e i Frisî hanno essi pure una tale classe, ma la designano coi nomi di liti, laeti, lassi o lazzi, che spiegano i laeti dell'ultima età imperiale romana.
Tacito non ne parla; ma il riscontrarla in tutte le popolazioni germaniche occidentali autorizza ad ammetterne l'esistenza fin da epoca remota, e ad accedere all'opinione che la ritiene originata dalla sottomissione di una gente ad un'altra, dalla quale era stata debellata.
L'aldio longobardo nelle fonti ora è avvicinato al libero, ora, e assai più spesso, al liberto e al servo. Lo si considera in possesso di uno status libertatis, quando, p. es., si stabilisce che chi uccide l'aldia altrui, credendola strega, paga la composizione di sessanta solidi pro statum eius; e quando si ordina che l'aldia, la quale sposa un servo, perda libertatem suam (Edic. Rot., 376 e 217). Era, è vero, compreso nella categoria dei pertinentes, e quindi soggetto al suo patronus; ma la sua soggezione differiva da quella del servo e il patronus, benché detto anche dominus, non aveva su di lui un diritto di proprietà, ma un potere analogo a quello che gli spettava sui congiunti familiari, il mundio. Quel potere aveva un prezzo, variabile da tre a sei solidi. A cominciare dall'età franca il prezzo andò via via abbassandosi; e fu segno della maggiore libertà acquistata dagli aldî. La loro soggezione al dominus non era solo personale, ma anche reale, per riguardo alle terre ricevute, alle quali erano attaccati, in guisa da dare ad esse il nome di terrae aldiariciae. Erano perciò tenuti a servizî, od opere, a censi e a prestazioni periodiche de personis et de rebus. Le leggi, come Edic. Rot., 78, 79, 72, e Liutpr., 69, 142, non parlano se non di operae, ma i documenti ricordano anche censi in prodotti naturali, o in danaro. Queste contribuzioni però, una volta stabilite, non avrebbero dopo potuto essere aumentate. Grimoaldo (1) aveva stabilito che, da un lato, l'aldio, il quale aveva per un trentennio servito il suo padrone, non poteva più rifiutargli obbedienza, e d'altro lato il padrone non gli poteva più imporre nuovi oneri e gli doveva continuar a lasciare res suas, quas per triginta annorum spatia iuste possedit.
Ciò che soprattutto mancava all'aldio era la libertà dei suoi movimenti, non potendosi allontanare dalla terra dove il padrone lo aveva collocato. Al servo fatto aldio per manomissione (Rot., 224,4) non erano date le quattro vie, appunto perché non era libero di andare dove volesse, fatta eccezione per il solo caso speciale in Rotari, 216. Se il dominus di un aldio sapeva che questi, lasciata la terra assegnatagli, s'era trasferito presso altri, aveva il diritto di domandarne la restituzione per mezzo della pubblica autorità, allo stesso modo come poteva fare se si trattava di un servo (Liutprando, 69, 142, 143). L'aldio differiva dal liberto in quanto a questo erano state date le quattro vie negate a lui (Rot., 224, 3, 4). E quando la manumissio in ecclesia fu equiparata alla forma di manomissione nazionale longobarda, che accordava la piena libertà, quella non poté essere usata per manomettere come aldio un servo. E quindi Liutprando (23) stabilì che chi voleva rendere aldio il suo servo non poteva farlo in ecclesia, ma doveva usare un'altra forma. In non pochi testi legislativì si vede l'aldio o trattato poco diversamente dal servo ministeriale (Rot., 129, 130, 376), o addirittura pareggiato ad esso (Rot., 76 e 102).
A differenza tuttavia del servo l'aldio, come si è detto, aveva un guidrigildo. Ma, nonostante ciò, né sotto i Longobardi né sotto i Franchi gli aldî poterono entrare nell'esercito o partecipare alle assemblee del popolo. Nell'età feudale le cose cambiarono.
In quanto alla capacità patrimoniale, i commentatori della Lombarda, 11, 34 credettero tuttavia di potere, al tempo loro, affermare che gli aldî pro servis habentur, quod nihil suum habent, dominus vero omnia habet et viventibus et morientibus eis. Però, se non avevano nulla di proprio in quanto a libera disponibilità, l'avevano in quanto al godimento. Grimoaldo, 1, già citato attribuisce all'aldio res suas, che il padrone non gli può togliere; e queste res sono anche ricordate in Rotari, 216 e 219. Egli però, se non è reso haamund, non può senza il permesso del padrone alienare terre o servi, né dare a questi la libertà (Rot., 235). Viceversa, come mostrano i documenti, gli aldî erano alienati insieme con la terra di loro residenza. In Liutprando, 87, è stabilito che se un aldio, un servo o un pertinente contratta con un terzo intorno a qualsiasi cosa, e risulta essere derivato dal contratto un danno per il padrone, l'acquirente deve restituire al padrone la cosa absque praetio, e giurare anche quod amplius exinde non tulisset. E il padrone può fare dell'aldio o del servo quod illi placuerit (cfr. Liut., 78 e Notitia de actor. reg., 5).
Né sono questi i soli rapporti nei quali l'aldio è trattato allo stesso modo del servo; come, ad es., si può vedere in Liutprando, 111, 121, 124, 140, 142. Un'assai notevole differenza però è racchiusa in Liutprando, 139.
Per quanto può riferirsi alla capacità di agire, l'aldio deve sempre essere rappresentato e difeso in giudizio dal padrone aut per sagramentum aut per pugnam, secondo la natura della causa (Liut., 68). Quindi solo il padrone può esigere la composizione per le offese fatte al suo aldio, ed è rispettivamente tenuto a rispondere delle offese fatte ad altri dall'aldio. Se - stabilisce Rotari (127) - sorge il dubbio che la ferita inferta ad un aldio possa produrne la morte, il padrone può, per il momento, pretendere soltanto la metà della composizione dovuta dal feritore. L'altra metà resterà sospesa per un anno, affinché si possa vedere se frattanto il ferito guarisca o muoia. Se guarisce, si paga al padrone l'altra metà. Se invece muore, si deve la somma stabilita per l'uccisione, dedotto però quello che s'era già pagato (cfr. Rot., 28, 129, 205, 208, 376).
Fu una novità eccezionale quella della Notitia de actoribus regiis, 4, che stabilì che il guidrigildo dell'aldio regio andasse per metà alla Curtis regia e per metà ai parenti del morto.
In quanto alla responsabilità del padrone per le colpe dell'aldio, era piena solo quando questi aveva agito per volere e col consenso di lui. Fuori di tal caso, la responsabilità padronale era attenuata e dalle pene corporali, a cui gli aldî vennero sottoposti in misura sempre più larga, in rispondenza del progressivo riconoscimento della loro personalità, e del diritto riconosciuto al padrone di liberarsi, almeno parzialmente, consegnando l'aldio autore del reato all'offeso. Se - dice Liutprando (121) - il reato consistente nel turpiter conversari cum uxore aliena è commesso da un aldio o da un servo, il padrone del colpevole deve al marito della donna offesa sessanta solidi, e di più ipsa persona det ei in manu. Ma se il servo o l'aldio ha agito per voluntatem domini sui et provatum fuerit quod ipse dominus consenserit, questi deve il suo guidrigildo, sic tamen ut ipse servus in ipsa compositione tradatur. Se poi non consti della volontà del padrone, questi deve purificarsi col giuramento, restando la pena quella della prima ipotesi; cfr. Liut., 143; Rot., 258 e Liut., 125 e 147.
Se però un servo o un aldio commetteva un furto o un omicidio, la parte lesa poteva agire contro il padrone, soltanto finché era ancora in vita l'autore del reato. Dopo la morte del colpevole non poteva più agire (Liut., 97).
Per quanto si riferisce ai rapporti familiari, le unioni matrimoniali degli aldî erano protette dalla legge come del resto anche quelle dei servi. Il padrone - ordina Liutprando (140) - che commette adulterio con la moglie del proprio servo o del proprio aldio, perde entrambi i coniugi, i quali diventano per legge liberi et absoluti fulfrealis, ed hanno facoltà di andare dove vogliono tamquam si thingati fuissent. E poiché il thinx, secondo Rotari, 224,1, dovrebbe essere fatto dal padrone, che in questo caso non può, così la legge prescrive che a lui si sostituisca il principe.
Mentre per i matrimoni fra aldî dello stesso padrone non pare fosse necessario il permesso del medesimo, per quelli invece fra aldî di padroni diversi - come risulta da Liutprando, 139 - occorreva che questi si fossero messi d'accordo fra loro.
Se un aldio prendeva per moglie un'aldia o una liberta, i figli seguivano la condizione del padre (Rot., 218). Se l'aldio di un padrone prendeva l'aldia di un altro, senza averne da costui acquistato il mundio, i figli seguivano la madre ed erano aldi del padrone materno. Se invece ne acquistava il mundio, i figli erano aldî del padrone del padre (Liut., 126).
Secondo Rotari (217) se l'aldia di uno o anche una liberta in casa aliena ad maritum intraverit et servum tulerit, perde la sua libertà. E se il padrone trascura eam replecare ad servitium, ella, se restava vedova, vadat sibi una cum filiis suis et cum onmis res suas, che portò con sé nel momento del matrimonio, nam amplius nulla consequatur vitium suum reputit, quia servum consensit.
Il libero, che voleva prendere in moglie l'aldia propria o di altri, doveva prima renderla widerbora, ossia sua eguale. Se non faceva ciò e la teneva con sé quasi uxorem, procreava con lei figli non legittimi, ma naturali (Liut., 106, cfr. Rot., 222).
Rotari (219) aveva stabilito che se un aldio prendeva in moglie l'ancilla sua o di altri, i figli erano servi del padrone dell'ancilla. E nel c. 216 aveva detto: Se un aldio prende in moglie una libera e ne acquista il mundio, e, dopo aver procreato figli con lei, muore, nel caso che la vedova in ipsa casa noluerit permanere et parentes eam ad se recolligere voluerint, questi dovevano restituire al padrone dell'aldio defunto praetium, quod pro mundium ipsius mulieris datum est. La donna però riprendeva soltanto il faderfio, se lo aveva portato con sé dalla casa paterna, ma nulla dei beni del marito, neanche la morgengabe. E se i figli non volevano continuare a restare in casa patris, non solo non avevano nessun diritto sui beni del padre, che appartenevano al padrone, ma dovevano anche a costui mundium pro se, quantum pro matre eorum datum est, ed erano liberi di andare dove volevano. La libera dunque maritata all'aldio restava libera insieme con i figli.
Per quanto riguarda la condizione dei figli, si è già visto che, se il marito aveva acquistato il mundio della donna, i figli seguivano il padre; se non lo aveva acquistato, i figli seguivano la madre.
Nel corso dell'età feudale si verificò un certo pareggiamento tra le varie classi di condizione servile e semiservile, specialmente nelle campagne, e tutte finirono col fondersi nella classe unica dei servi della gleba. I ricordi degli aldì diventarono sempre più rari; e la memoria ne sopravvisse soltanto nei nomi proprî.
Bibl.: H. Boos, Die Liten und Aldien nach den Volksrechten, Gottinga 1874; F. Schupfer, Aldi, liti e Romani, in Enciclopedia giuridica italiana, 1887; id., Degli ordini sociali e del possesso fondiario appo i Longobardi, in Sitzungsber. der Wiener Akad. der Wissensch., phil.-hist. Classe, XXXV (1860), p. 269 segg.; cfr. anche Davidsohn, Gesch. von Florenz, Berlino 1896, I, p. 314 segg.; H. Brunner, Deutsche Rectsgeschichte, 2ª ed., p. 147; G. Waitz, Deutsche Verfassungsgeschichte, 3ª ed., II, i, Berlino 1882, p. 239.