ALCIBIADE ( Ἀλκιβιάδης)
Uomo politico e generale ateniese (450 c.a-404 a.C ), figlio di Clinia e di Deinomache, della famiglia degli Alcmeonidi, dopo la prematura scomparsa del padre fu allevato da Pericle, suo parente da parte di madre ed ebbe tra і suoi maestri anche Socrate. Favorito da grandi ricchezze e da non comuni doti fisiche e intellettuali, divenne ben presto un personaggio di primo piano nella vita politica ateniese, che dominò con alterna fortuna fino al 404, quando fu ucciso a tradimento in Frigia dal satrapo Farnabazo, su istigazione di Lisandro e dei Trenta Tiranni. Ambizioso e spregiudicato (Plut., Alc., VI, 2-3), fu sospettato di avere preso parte alla mutilazione delle Erme (415 a.C.) e poco dopo la partenza per la spedizione in Sicilia di cui era stato ardente fautore, processato in contumacia sotto l'accusa di avere parodiato і misteri eleusini (Plut., Alc., XIX; Clem. Alex., Protr., II, 4s) e condannato alla pena capitale e alla confisca dei beni (IG, 325-334). Fuggito a Sparta, non esitò a collaborare con quella città e con la Persia, i tradizionali nemici della sua patria, aspettando che si verificassero le condizioni favorevoli per il suo ritorno ad Atene, avvenuto nel 408 a.C. La tradizione letteraria è concorde nell'attribuire ad A. una bellezza straordinaria (Plut., Alc., I, 3) e caratteristiche quali і capelli lunghi e la rinuncia alla barba che mantenne per quasi tutta la sua vita (Ath., XII, 534 c). Perfino certi suoi difetti, come la balbuzie e l'incedere con il capo inclinato, finivano per accrescerne il fascino (Plut., Ale., I, 4, ... κλασαυχενευεται τε καὶ τραυλίζεται).
Ritratti. ― Nella sua iconografia dobbiamo distinguere innanzi tutto tra ritratti pubblici e ritratti privati. Appartengono alla seconda categoria і due dipinti che A. dedicò ad Atene in seguito alle vittorie riportate nella corsa delle quadrighe a Delfi, Nemea e Olimpia, tra il 421 e il 416 a.C. (Plut., Ale., XI; Ath., I, 3 e), le ultime celebrate anche da Euripide con un epinicio. L'uno lo raffigurava mentre veniva incoronato dalle personificazioni dei giuochi olimpici e pitici, l'altro in grembo a Nemea, la ninfa del luogo, in uno schema iconografico allora usato per rappresentare amori mitici, come quello di Adone e Afrodite sull'hydrìa di Meidias a Firenze (Museo Archeologico, inv. 81948), che non mancò di suscitare stupore e sorpresa tra і suoi concittadini (Plut., Alc., XVI). Sulla base della testimonianza di Satiro (apud Ath., xii, 534 d), і dipinti sarebbero di Aglaofonte, da identificare, per motivi di ordine cronologico con il pittore fiorito nel 419-416 a.C. (Plin., Nat. hist., xxxv, 60), probabilmente figlio di Aristofonte e nipote di Polygnotos di Thasos. Appare quindi erronea l'attribuzione di Plutarco ad Aristofonte del dipinto che raffigurava A. tra le braccia di Nemea (Alc., XVI), lo stesso forse ricordato da Pausania nella Pinacoteca dei Propilei (1, 22, 7). Qualcuno ha pensato che si trattasse di pitture eseguite sulle due facce di una lastra marmorea, in origine inserita in una base, forse iscritta, destinata a essere vista da entrambe le parti e più tardi collocata nella Pinacoteca, dove l'accostamento alla parete avrebbe consentito di vedere un solo lato, quello che ritraeva A. con Nemea.
A queste pitture su marmo si è voluta ricollegare la base a rilievo del Museo Nazionale di Atene (inv. 1464) con quattro coppie di cavalli e palafrenieri sul retro, traccia di nove figure umane o divine sulla fronte, in seguito scalpellata, e un cavallo sul lato breve conservato. Numerose le statue ricordate dalle fonti letterarie. Pausania ne menziona una di bronzo nello Heràion di Samo (VI, 3, 15), dedicata probabilmente nel periodo in cui A. navigava con la flotta ateniese lungo le coste della Ionia (410-407 a.C.). Dione Crisostomo (XXXVII, 40) ricorda una statua di Α., opera di Polykles e un'altra, detta Chalkopògon, barba di rame, traduzione del cognomen Aenobarbus, successivamente usata per rappresentare L. Domizio Enobarbo. Plinio (Nat. hist., xxxiv, 80) ricorda poi una statua di A. su una quadriga, attribuita a Phyromachos, da alcuni identificato con uno degli scultori del fregio dell'Eretteo, da altri invece, per motivi cronologici, con l'artista ateniese attivo a Pergamo nel III sec. a.C., insieme a Nikeratos, a cui la stessa fonte (Plin., Nat. hist., xxxiv, 88) attribuisce una statua di A. e forse una della madre, denominata però Demaratem, mentre compie un sacrificio alla luce di una torcia. È ancora Plinio a ricordare a Roma, nel Comitium, una statua di A. e una di Pitagora, erette al tempo delle guerre sannitiche su consiglio dell'oracolo delfico, al più prode e al più saggio dei Greci. Ateneo (xiii, 574 s) parla della statua in marmo pario eretta dall'imperatore Adriano sulla tomba di A. a Melissa, in Frigia, mentre Cristodoro (Anth. Plan., II, 82 ss.) ne ricorda una nel ginnasio di Costantinopoli.
L'influenza dei ritratti di A. dovette essere molto forte, se a Veria una statua di Asclepio aveva il volto del figlio di Clinia (Liban., Or., xxx, 22, 3-5) e se molte erme ateniesi riproducevano le sue fattezze (Clem. Alex., Protr., iv, 16 s, Arnob., Nat., vi, 13). Erronea appare la notizia pliniana di una statua a Roma, raffigurante A. come Eros con il fulmine (Nat. hist., xxxvi, 28), senza dubbio dovuta alla confusione con quella relativa al suo scudo, che aveva come episema un Èrota keraunophòn (Plut., Alc., xvi, 1; Ath., xii, 534 e). Di queste statue nessuna può essere identificata con sicurezza tra la documentazione archeologica finora disponibile, nonostante la proposta di Dontas di riconoscere l'opera di Polykles nella testa di stratega attico, il c.d. Temistocle (Vaticano, Sala Muse, inv. 306), copia di un originale attribuibile a uno scultore stilisticamente vicino a Cefisodoto, quale doveva essere Polykles, suo discepolo, fiorito nel 370-366 a.C. (Plin., Nat. hist., xxxiv, 50). L'idealismo che ancora permea questa testa, secondo Dontas la più antica statua di A. (380-370 a.C.), si spiegherebbe con la formazione classicistica dell'artista e la raffigurazione di un personaggio scomparso da molto tempo. Poco felici finora anche і tentativi di identificare il ritratto di A. nello stratega del tipo Pastoret (Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek, inv. 438; Lippold, Neumann), copia forse di età Claudia di un originale per alcuni dell'ultimo ventennio del v sec., per altri del 390 a.C., raffigurante più probabilmente Conone, o nella testa barbata Vaticano/Copenaghen (Museo Chiaramonti, inv. 1683; Ny Carlsberg Glyptotek, inv. 2203), nota da sei copie di un originale del secondo о terzo venticinquennio del IV sec., che per altri rappresenterebbe invece Filippo II di Macedonia, Hermes o un atleta (Weski), nel c.d. Focione (Pandermalis), o infine nella testa Berlino K 128/Efeso (Vierneisel Schlörb), da altri interpretata come Cabria e datata verso il 370-360 a.C. (Dontas). Di nessuna utilità sono le due erme iscritte, una con testa non pertinente e l'iscrizione АΛΚІР (Vaticano, Sala Muse, inv. 319) trovata sul Celio con quelle di Omero/Eschilo e forse Biante/Talete, l'altra acefala, un tempo in possesso di F. Ursinus e oggi perduta (IG, xiv, 113 a).
L'unico ritratto sicuro è costituito dal busto raffigurato in uno dei pannelli di un mosaico pavimentale di Sparta (Museo Archeologico), di fine ΙΙΙ-inizî IV sec. d.C., ove Α., la cui identità è assicurata dal nome che l'accompagna (ΑΛΚΗΒΕΙΑΔΗΣ), compare insieme ad Apollo e le Muse, Helios, Alceo, Archiloco e Saffo. A questo si è recentemente aggiunta una imago clipeata, anch'essa iscritta, purtroppo lacunosa nella parte superiore del volto, trovata nel Sebastèion di Afrodisiade, insieme ad altre di filosofi, poeti e statisti greci, databili alla fine del III sec. d.C. Nel mosaico di Sparta, A. è raffigurato quasi di prospetto, vestito di chitone e himàtion, con і capelli lunghi, spartiti al centro e resi a ciocche ondulate che ricadono sulla fronte e sulle orecchie e senza barba. Il volto giovanile è caratterizzato da grandi occhi di taglio obliquo, folte sopracciglia, naso forte e bocca carnosa. L'immagine del mosaico, come quella del tondo di Afrodisiade, che lo raffigura imberbe, con la testa appena rovesciata e girata verso sinistra e le labbra socchiuse, dipende probabilmente dalla ritrattistica privata di Alcibiade. È questo infatti un ritratto ancora ideale, che rappresenta A. come un giovane eroe, ma al tempo stesso fortemente individualizzato attraverso caratteri fisionomici precisi, secondo un processo di autorappresentazione non pensabile in questi termini in una dedica pubblica. Un'immagine in sintonia con la temperie spirituale degli ultimi decenni del v sec. a.C., quando la crisi politica, economica e spirituale che investe la pòlis in seguito alla guerra del Peloponneso, coinvolge anche la concezione classica dell'arte in generale e del ritratto in particolare, informati fino all'età di Pericle a un ideale di supremo equilibrio e perfezione. La mentalità è ormai profondamente mutata e l'arte, perdendo il suo valore etico e formativo, rompe quell'equilibrio tra contenuto e forma che l'aveva fino ad allora caratterizzata, privilegiando la forma sul contenuto o, se si vuole, il privato e il personale sul pubblico.
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