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DOSSENA, Alceo

di Giuseppe Cellini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)
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DOSSENA, Alceo

Giuseppe Cellini

Figlio di Giovanni e Regina Melgari, nacque a Cremona il 9 ott. 1878 da modesta famiglia. Sin da ragazzo manifestò attitudine per l'arte, specie per il disegno; dopo le scuole elementari frequentò la locale scuola professionale, ma a 12 anni fu espulso e iniziò a lavorare nella bottega di un marmista che produceva portali, vere da pozzo, balaustrate e colonne in vari stili, per soddisfare le richieste degli architetti, amanti dei vari revivals, che costruivano villini o restauravano castelli, secondo il gusto del tempo. A quegli anni risale il breve apprendistato a Milano presso A. Monti, importante per la sua conoscenza della scultura quattrocentesca dell'Italia settentrionale (Pope Hennessy, 1974, p. 256). Il 22 maggio 1900 sposò Emilia Maria Ruffini, un anno dopo nacque il figlio Alcide e la famiglia si trasferì a Parma.

Nel 1914 il D., arruolato nell'aeronautica, fu mandato a Perugia e l'anno successivo fu trasferito a Roma per lavorare in un deposito dell'arma.

Dopo l'armistizio del novembre 1918 il D. si stabilì definitivamente a Roma dove aprì uno studio in un magazzino abbandonato sulla via Trionfale, nei pressi della chiesa di S. Giuseppe (dove si conserva un suo busto di Don Guanella eseguito in quel periodo). E nello stesso tempo andava producendo rilievi in terracotta, che cuoceva nelle vicine fornaci della Valle dell'Inferno. Avendo lasciato a Cremona la moglie e il figlio Alcide, che fu poi suo collaboratore, a Roma condusse un ménage bohémien, fino a che una delle sue opere (un bassorilievo raffigurante la Madonna: cfr. Sox, 1987, p. 3) colpì la fantasia e suscitò l'interesse commerciale dell'antiquario gioielliere Alfredo Fasoli, che avviò il D. all'attività di falsario.

Costui, sempre più entusiasta delle possibilità tecniche del D., combinò addirittura un trust fra vari antiquari italiani (ibid., pp. 13 s.), che incoraggiarono l'artista a praticare questa attività, suggerendogli soggetti e modelli, fornendo oltre al denaro anche i materiali idonei, nuovi locali e tutto l'occorrente per una produzione estesa a decine e decine di pezzi. Non si trattava di pochi esemplari, ma addirittura di finti spogli di intere cattedrali dirute, che si diceva affiorassero nelle bonifiche agricole del Maremmanol negli ex fondi Savelli, ecc. Per la parte erudita, storico-epigrafica, il consulente era padre G. Sola, insegnante del liceo "Mamiani", pittoresco frequentatore di antiquari e taverne.

A Roma il D. si unì a Teresa Lusetti, da cui ebbe un figlio illegittimo, Walter Lusetti, che fu a lungo suo aiutante insieme con Alcide e i due assistenti Gildo Pedrazzoni e Patrizio Incarnati (ibid., pp. 10 s.). Avendo bisogno di spazi sempre più ampi, cambiò vari studi: presso la passeggiata di Ripetta, poi in via del Vantaggio, in via Maria Adelaide e in via Margutta.

Giunto presto a saturazione il mercato e serpeggiando dubbi sempre più concreti circa l'autenticità di tanti nuovi capolavori scultorei, intorno al 1926 si cominciò a parlare di un maestro italiano autore di falsi rinascimentali, greci ed etruschi. La storia divenne pubblica nel 1928 quando il D. ruppe ogni accordo con gli antiquari.

Il bostoniano H.W. Parsons, consulente dei più importanti musei americani, principale acquirente-vittima del "bell'inganno", riuscì, durante un'intervista davanti ad un dossier fotografico, a farsi raccontare la vera storia di quegli oggetti dallo stesso D. (Art News, 1° dic. 1928).

Gli antiquari coinvolti, in particolare il Fasoli, tentarono di mettere a tacere il D., che stava lavorando a un busto di Mussolini, con una falsa accusa di antifascismo; ma il D. persuase R. Farinacci a difenderlo e lo ricompensò con due piccole statue (Sox, 1987, pp. 18, 41); il processo, che si svolse tra il dicembre 1928 e il gennaio 1929, si risolse senza condanna per mancanza di prove. Si determinò allora una campagna internazionale per la valorizzazione delle opere del "neo Donatello", che il D. stesso autenticò e firmò a posteriori; si era sviluppata infatti l'idea che egli fosse una vittima degli antiquari.

La produzione di falsi dei D. risale soprattutto al decennio 1918-28; i tre rilievi neoquattrocenteschi in terracotta con Madonna con Bambino, conservati presso il Victoria and Albert Museum di Londra, eseguiti intorno al 1929, ad esempio, non imitano lo stile di nessun artista in particolare, proprio perché successivi allo scandalo del 1928 (Pope Hennessy, 1964).

Sempre in quel periodo il D. fu prescelto per la progettazione del Monumento ai caduti di Cremona, mai realizzato (Art News, 12 genn. 1929); esegui inoltre sculture di soggetto religioso per varie chiese italiane. Il periodo successivo alla scoperta dei falsi fu quello più fortunato dì tutta la sua carriera.

Un altro episodio che avrebbe suscitato grande scalpore si verificò invece molto tempo dopo lo scandalo del 1928: intorno al 1936-37 (Parsons, 1962) il D. eseguì una Diana cacciatrice, che fu acquistata nel 1952 dal City Art Museum di Saint Louis per 56.000 dollari, in quanto ritenuta opera etrusca.

L'acquisto era stato sconsigliato da numerosi studiosi e l'ufficio esportazioni di Bologna aveva dato licenza di esportare l'opera, considerandola un "pasticcio" desunto da prototipi etruschi, del valore di 80.000 lire (Cellini, 1956, p. 57). Contro l'autenticità dell'opera si schierarono molto apertamente Cellini (ibid.), Margarete Bieber della Columbia University (American Journal of archaeology, LXII [1958], pp. 341 ss.) e, poi, Parsons (1962), che pubblicò una fotografia scattata nell'inverno 1936-37, quando la scultura si trovava nello studio del D., il quale era solito fotografare tutte le sue opere. Tuttavia, solamente alla luce delle analisi fatte nel 1968 al Research Laboratory for archeology and history of art dell'Oxford University si affermò ufficialmente che la Diana cacciatrice era in realtà un falso.

Ancora nel 1953 il Saint Louis Museum of Art acquistava un rilievo in marmo raffigurante l'Adorazione dei pastori, attribuito a G.A. Amadeo, che Sox (1990) ritiene opera del D. sulla base dei confronti con altre sue opere.

L'artificio tecnico ideato dal D. nella creazione dei falsi si fonda sulle patine da lui osservate nei monumenti e nelle chiese della terra natia e dei luoghi circonvicini. La sua patina non è una sovrapposizione di materiali, come quella che si trova nelle sculture di scavo, ma è una tonalità di colore sottostante all'epidermide, penetrata all'interno per gradi, fissatasi indelebile nei sottosquadri, come appunto si verifica nei marmi medievali e rinascimentali. Non si tratta di un imbratto dato e ritolto al lavoro finito, secondo il metodo usato dagli altri falsari: il suo procedimento geniale era quello di scolpire le composizioni sin quasi a compimento, con piani lisciati dalla gradina, e a quel punto applicare una patina liquida a base di permanganato, acqua di ruggine e terra di quercia essiccata al calore della fiamma a gas. In tal modo si veniva a mascherare l'intera superficie con una crosta nerastra; successivamente, sulla rifinitura, con gli scalpelli piani ed i calcagnoli egli mondava la superficie stessa e, come ad un frutto, scopriva la polpa del marmo, con l'alone interno di patina, come nell'antico. Quando poi le parti in oggetto venivano polimentate con piombo e acido ossalico, e si aggiungevano le fratture ed i danni accìdentali, il maquillage era perfetto.

Il D. morì a Roma l'11 ott. 1937. Per un ampio elenco delle sue opere, di cui molte acquistate dai maggiori musei americani, cfr. in particolare Lusetti (1955) e Pope Hennessy (1974). Nel 1956 (4-14 febbraio) fu organizzata una mostra nella sala dell'Associazione della stampa a palazzo Marignoli a Roma (Cellini, 1956, p. 58).

La fama del suo carattere scherzoso e bizzarro è, come quanto finora si è scritto su di lui, frutto di tarde dicerie e rielaborazioni operate quando, dopo lo scandalo del 1928 sui falsi di sua mano, si tentò di dare una fisionomia all'artista polimorfo e una qualche giustificazione morale del suo operato.

Fonti e Bibl.: Italian and Greek sculptures proved spurious, in Art News, 1° dic. 1928, pp. 1 s.; D. "Greek" figure in the Metropolitan, ibid., 8 dic. 1928, pp. 1, 4; K. R. S., D. answers his critics, ibid., 5 genn. 1929, p. 19; D. to execute Cremona memorial, ibid., 12 genn. 1929, p. 5; Boston trustees vote to act on D. tomb, ibid., 26 genn. 1929, pp. 1, 7 s.; D. forgery analyzed by miss Groves, ibid., p. 8; H. Tietze, Genuine and false, New York 1948, p. 67; W. Lusetti, A. D. scultore, Roma 1955; P. Cellini, Storia di una statua fittile, in Paragone. Arte, VII (1956), 81, pp. 54-58; O. Kurz, Falsi e falsari..., Venezia 1961, pp. 140-46, 151-54, 177; F. Amau [H. Schmitt], Three thousand years of deception in art and antiques, London 1961, pp. 221-225; H. W. Parsons, The art of fake Etruscan art, in Art News, febbraio 1962, pp. 35 ss., 68; J. Pope Hennessy. Catalogue of Italian sculpture in the Victoria and Albert Museum. London 1964, pp. 697 ss.; Id., The forging of Italian Renaissance sculpture, in Apollo, XCIX (1974), pp. 251, 255 s., 258-261, figg. 46-48; D. Sox, Unmasking the forger, the D. deception, London-Sidney 1987; ld., The D. deception continues, in Apollo, marzo 1990, pp. 158- 164, 214 s.

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    Falsario italiano (Cremona 1878 - Roma 1937). Fu abilissimo imitatore dello stile di Giovanni Pisano, dei maestri del Quattrocento (Desiderio da Settignano, Donatello) e della scultura greca arcaica; i suoi falsi furono accolti anche in collezioni importanti (Metropolitan Museum di New York, musei di ...
Vocabolario
alcèa
alcea alcèa s. f. [dal lat. alcĕa, gr. ἀλκέα]. – Erba perenne delle malvacee (Malva alcea), che cresce negl’incolti in Europa; in passato si usava, come la malva e l’altea, per infusi espettoranti.
alce
alce s. m. o f. [dal lat. alces f., gr. ἄλκη f., voce di origine germ.]. – Ruminante della famiglia cervidi (lat. scient. Alces alces), unico rappresentante del genere Alces; ha statura grande e robusta, con collo e tronco brevi, testa...
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