ALCASSINO E NICOLETTA
. Deliziosa storia d'amore, fiore di greca leggiadria nella letteratura della Francia medievale: Aucassin et Nicolete. Siamo a Belcaire, in terra di Provenza (Beaucaire, alla francese, nel Gard, circondario di Nîmes, su la destra del Rodano), e ci governa un conte, immaginario, Guarino, il cui giovinetto figlio, Alcassino, è così vinto dall'amore per Nicoletta, una schiava saracena comperata e fatta cristiana dal visconte dello stesso Belcaire, che non vuol saperne d'armi e di cavalleria; quantunque il padre sia stretto d'assedio nel suo castello da un antico e implacabile avversario, il conte, immaginario alla sua volta, Borgardo di Valenza. Vane le preghiere, le rampogne del padre e della madre: Alcassino non si batte, non difende il suo medesimo retaggio, indifferente a tutto che non sia Nicoletta. Che fare? Il conte impone al soggetto visconte di sottrarre Nicoletta agli occhi innamorati d'Alcassino: e Nicoletta è chiusa in una specie di vigilata prigione. Intanto Borgardo di Valenza imperversa e incalza peggio che mai: Alcassino consente di battersi, pur che gli sia, in premio, concesso di scambiare qualche parola con Nicoletta e di baciarla. Il padre promette, e allora il figliuolo spiega tanto valore, che trae lo stesso conte di Valenza prigioniero innanzi al conte di Belcaire. Ma questi, vittorioso per merito del figlio, nega di mantenere la fatta promessa: Alcassino, esasperato, libera il prigioniero, a condizione ch'egli rinnovi guerra senza misericordia al conte di Belcaire. Il quale fa imprigionare il figlio. Nicoletta frattanto riesce a fuggire, e va sotto la torre, dov'è rinchiuso l'amante, gli getta dei suoi biondi capelli. Ma il rischio è mortale: notturne scolte passano, in cerca di Nicoletta fuggitiva, con l'ordine d'ucciderla: il torriere, pietoso, vigilante nella notte, s'avvede dei due amanti rapiti nel dialogo doloroso e delizioso, e li avverte col suo canto del pericolo di Nicoletta; la quale riesce, protetta da Dio "che ama gli amanti", a uscire fuor delle mura e a riparare nella foresta poco lontana. Ivi la raggiungerà, dopo altre graziose vicende, Alcassino: non resta che fuggirsene insieme, e il giovinetto si reca in braccio la diletta bellissima, e così allacciati si gettano alla ventura, abbandonati al caso.
S'apre il mare innanzi a loro, càpitano in un paese strano, a Torelore, dove il re giace a letto di parto, e la regina armeggia contro i nemici. Poco oltre corsari saraceni s'impadroniscono di Torelore, e menano prigionieri anche i due amanti, che sono tratti su due diverse navi. L'una di queste, aggirata e sbattuta dalla burrasca, mette capo, fortunatamente, proprio ai dominî del conte di Belcaire, ch'era morto, cosicché Alcassino, riconosciuto da' suoi uomini, è sollevato all'ereditaria potestà comitale. La nave, su cui era Nicoletta, approda invece a Cartagena, terra d'infedeli, ove è re il padre stesso della giovinetta, a lui rapita fanciulla. Ma Nicoletta non ha pace: le sono proposte nozze regali: no, ella non vuole, e fugge, travestita da giullare, in cerca del suo Alcassino. Lo raggiunge, incognita, a Belcaire: il giovine conte prega il giullare di tornarsene là dov'è Nicoletta, lontano lontano, e di dirle ch'egli, fedelissimo, l'aspetta. Finalmente gli avventurosi amanti, accaduta, da parte d'Alcassino, la felice agnizione, sono nelle braccia l'uno dell'altra: uniti per sempre, marito e moglie, incontro all'avvenire, alla felicità.
Conserva la composizione leggiadra un solo manoscritto, del sec. XIII, il francese 2168 della Nazionale parigina; ove, alla fine, è dato al racconto il titolo di cantefable: ed è questo l'unico esempio di tal termine tra i monumenti superstiti nelle antiche parlate di Francia. Cantefable, perché i versi sono cantati (e ne resta la notazione melodica) e la prosa, ch'è narrativa, descrittiva, discorsiva, dialogica, ha le tonalità e la vaghezza delle favole. Si vuole anzi ricollegare codesta forma, nell'insieme, alla storia del teatro, e vi si scorge un "mimo", nel senso letterario: imitazione della realtà col gesto e con la voce, senza vera e propria scena. Interessanti i versi, di otto sillabe, a modo italiano, di sette, a modo francese, dove, arcaicamente, più che le rime ricorrono le assonanze, in lasse epiche, con un versicolo finale, quinario per noi, quadrisillabo in francese, di ritmo dunque e di tessitura musicale diversificanti, con bella efficacia, dagli ottonarî precedenti. La prosa poi è già un precoce saggio di quella grazia prestigiosa che caratterizza la miglior prosa francese. Ignoto l'autore: vana la ricerca delle fonti immediate. Non è ammissibile una particolare derivazione dal romanzo di Florio e Biancifiore: con quello che di gusti poetici e suggestioni romanzesche e modelli prediletti gli confluiva nell'anima dall'età sua stessa, l'autore ha fatto opera originale, rinnovellando il tema antico, sì caro al Medioevo, che celebra in mille forme il fatale trionfo dell'amore.
Bibl.: H. Suchier, Auc. und Nicolette, 9ª ed. a cura di W. Suchier, Paderborn 1921; M. Roques, Aucassin et Nicolette, nella collezione Classiques français du moyen-âge, Parigi 1925, n. 41, ov'è pure la bibliografia più rilevante. La cantefable fu tra le opere medievali più fortunate; ebbe traduzioni in francese moderno, in inglese, in tedesco, ecc.; e riduzioni in forma drammatica. Da ricordare le due versioni italiane: A. Boselli, Aucassin e Nicoletta, Parma 1906; D. Valeri, Alcassino e Nicoletta, Milano 1922. Riduzione drammatica di C. Raimondo, Alcassino e Nicoletta, Milano 1923.