ALCAICA, STROFA e alcaici, versi
Si suol chiamare alcaica una strofa frequente anche negli scarsi avanzi a noi rimasti del poeta lesbio Alceo, e di cui anche nell'antichità non si conosceva esempio più antico. È composta dei seguenti versi:
In Alceo la prima sillaba è di quantità libera, conforme all'indole della metrica eolica; alla fine di ogni verso è ammesso iato e sillaba ancipite.
Orazio riprende questo metro direttamente da Alceo, ma lo foggia in modo più rigoroso. Egli introduce negli endecasillabi la cesura ch'è propria della poesia recitativa e non avrebbe senso in quella per il canto (v. cesura); se non che egli colloca questa cesura là dove anche Alceo aveva per lo più fine di parola, cioè dopo la quinta sillaba. Nell'enneasillabo egli evita (eccezioni non mancano) di formare un diiambo al principio e un ditrocheo alla fine del verso mediante fine di parola, sicché essi siano avvertiti dall'orecchio (regola di Lachmann: v. Lachmann). Nel decasillabo Orazio evita per lo più, ma tutt'altro che rigorosamente, fine di parola dopo la quinta e dopo la sesta sillaba. Egli forma di regola lunghe le sillabe ancipiti in principio e in mezzo del verso, tranne la prima dell'endecasillabo, che è libera anche in lui, fuorché nel IV libro. Eccezioni a queste regole sono in Orazio piuttosto rare (per alcune non si trovano), ma in misura diversa secondo le diverse regole. È ormai certo che Orazio in tutto ciò non fa che render norma quel che già in Alceo era uso prevalente. Se egli si sia nella sua riforma giovato di dottrina grammaticale greca o affidato all'orecchio, è difficile determinare, ed è infatti discusso: modelli ellenistici proprio per l'alcaica saranno mancati.
I singoli versi della strofa alcaica si ritrovano talvolta anche nei cantici tragici, tranne che compaiono colà in forma ionica, cioè con risoluzioni di lunghe e contrazioni di brevi.
Ognuno di questi versi risulta da unione di membri minori; l'endecasillabo dal reiziano (v.) + il membro edite regibus, una delle due forme normali del docmio (v.); l'enneasillabo dal reiziano + -́⌣-́-, una clausola trocaica o epitrita; il decasillabo (con ionizzazione del primo piede, dunque -́-̮-̮-́⌣⌣ -́⌣-́⌣̅) è frequentissimo, specie come clausola di periodo, in tutta la lirica greca.
Alcaico maggiore sogliono chiamare i metrici un verso composto di due gliconei + clausola diiambica, che Alceo adopra una volta non in strofa, ma in lassa di versi uguali.
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Per la frequente coincidenza dell'accento grammaticale con quello ritmico, l'alcaica si prestava ad essere imitata nella poesia metrica italiana.
Il Chiabrera la riprodusse così:
quinario piano-quinario sdrucciolo
quinario piano-quinario sdrucciolo
novenario
decasillabo trocaico (endecasillabo senza la prima sillaba)
Meno fedeli furono le imitazioni del Rolli e del Fantoni.
Il Carducci riprese il metodo del Chiabrera, ma alternò col decasillabo trocaico (madre visse fra le tombe e l'are) decasillabi manzoniani (grossa scroscia sui vetri la pioggia) e doppî quinarî piani (fra il mare e Dio cui tu credevi).
Bibl.: Il migliore studio sulla storia dell'alcaica nell'antichità, è quello del Heinze, Lyrische Verse des Horaz, Lipsia 1918, p. 77 segg.; il H. non crede a influssi di teoria metrica su Orazio. Per i singoli membri dell'alcaica, il loro uso nella lirica greca, la loro analisi, v. Wilamowitz, Griech. Verskunst, Berlino 1921, pp. 411, 413, 298, 249. Dalle analisi nelle edizioni scolastiche di Orazio conviene in generale guardarsi: esse sono spesso, quanto incerte, altrettanto incomprensibili al principiante. Per l'alcaico maggiore basta anche F. Zambaldi, Metrica greca e latina, Torino 1882, p. 536.