ALBI (A. T., 35-36)
Città della Francia sud-occidentale, capoluogo del dipartimento del Tarn, posta sulla riva sinistra del fiume Tarn, a 174 m. sul mare. La città, dominata dalla bella cattedrale di S. Cecilia, comprende la parte vecchia, con strade strette e tortuose, cinta di mura ora ridotte a boulevards, e la parte nuova che si stende fuori della cinta murata, con vie larghe, belle case e giardini pubblici. La popolazione di Albi era di 25.100 ab. nel 1911 e di 26.628 nel 1921. Dànno oggi vita alla città in prima linea il commercio dei vini, inoltre fabbriche di colori, distillerie, qualche lanificio e cotonificio.
Albi è sede di prefettura, e sede arcivescovile; ha un tribunale di prima istanza e uno di commercio, una ricca biblioteca, un liceo e una scuola normale. Alle comunicazioni serve principalmente un tronco ferroviario che mette capo a Tolosa; altre ferrovie secondarie la uniscono a Castres e a Rodez.
Arte. - Antica piazzaforte costruita in mattoni sulle rive del Tarn, Albi ha conservato le sue strade tortuose, tagliate più tard da alcune vie trasversali, qualche casa medievale e qualche edificio del Rinascimento. Dei monumenti è di grande importanza la cattedrale di S. Cecilia, incominciata nel 1282 dal vescovo Bernard de Castanet e terminata nelle parti essenziali verso il 1390; ma solo tra la fine del sec. XV ed il principio del XVI, per il cospicuo lascito del vescovo Louis d'Amboise, si soprelevò di tre piani il campanile, si fecero il portale a sud, il ponte (jubé) ed il recinto del coro, e si eseguirono quasi tutte le pitture della navata. Nel sec. XIX, infine, si rifece il tetto a due spioventi, e per nasconderlo si rialzarono di 7 metri i muri perimetrali. Esternamente S. Cecilia è una costruzione massiccia in mattoni, tutta unita e serrata come una fortezza, con aperture in alto, coronata di torrette al sommo dei contrafforti quasi interamente incorporati dal muro perimetrale; col campanile sostenuto da quattro enormi blocchi cilindrici, con poche e strette feritoie, come il mastio di un castello. La decorazione esterna si limita al portale, a portichetto quadrato, in pietra bianca, eseguito probabilmente nei primi decennî del'500 in stile "fiammeggiante". All'interno l'edificio è costituito da un'alta e vasta navata larga 19 m., senza navate laterali né transetto, di undici campate rettangolari ed a volte ogivali; e da un'abside a nervature di stile "raggiante" Ma tra i profondi contrafforti, separati da strette e lunghe finestre, sono state costruite 28 cappelle, che nel '500 vennero divise in due piani con grave danno per l'illuminazione; e pure al principio del 500' le pareti delle navate e le vòlte furono dipinte da artisti italiani in uno stile che mal si adatta all'edificio; mentre al muro di ponente si conserva un Giudizio universale di scuola francese della fine del '400. Ma l'interesse maggiore è offerto dal ponte (jubé), il più grande e il più bello di tutta la Francia, a cinque valichi, e che forma, col recinto del coro, ancor più ricco di edicole e di statue, di frange e di trine marmoree, tutto un complesso, eseguito circa il 1500 nel più delicato stile "fiammeggiante" forse da artisti borgognoni, di cui son certo le statue. Il pulpito, invece, in stucchi e marmi, è opera di artisti italiani del '700. Offrono qualche interesse S. Salvi, antica chiesa abbaziale costruita in pietra, con campanile, chiostro e porta romanica a settentrione, ma di cui solo le tre prime campate sono del sec. XII, mentre il resto è del sec. XV; e il vecchio arcivescovado (Palais de la Berbie), bella costruzione feudale, in mattoni, della fine del secolo XIII, ove ha sede il museo di pittura, di scultura e di storia naturale, con un'interessante collezione di pitture, tra le quali una Veduta della Salute e della Giudecca di Fr. Guardi, e specialmente acquerelli, della scuola romantica, e con la galleria Toulouse-Lautrec, che conserva il più cospicuo insieme di dipinti, disegni e cartelloni del pittore impressionista Henry de T.-L. (1864-1901). Nella piazza Lapèrouse è una statua di J, Fr. Lapèrouse, il celebre navigatore originario di Albi, opera del carrarese N. B. Raggi.
Storia. - Nell'antichità, Albigi (Geogr. Rav., IV, 40; urbs Albigensis in Gregorio di Tours) fu il centro principale della tribù gallica degli Albigenses, poi divenne una civitas romana, e, dopo la cristianizzazione, sede di un proprio vescovado, attestato al principio del sec. V. Nel periodo carolingio fu centro di una contea, la quale poi si trasformò in viscontea, feudo dei conti di Tolosa. La città era formata di due parti distinte, la cité e il borgo, l'una sotto il dominio del vescovo, l'altra sotto quello del visconte. Fino dalla prima metà del sec. XI avviene però una certa unificazione di tutto il mondo cittadino, in modo che il regime della città si avvicina alla forma di co-signoria indivisa, colla netta supremazia del vescovo. Quando più tardi, dopo le guerre albigesi, i diritti dei visconti passarono nelle mani dei re di Francia, questi riconobbero lo stato di cose esistente. Secondo una convenzione dell'anno 1264, l'alta giurisdizione apparteneva al vescovo, mentre le giurisdizioni minori spettavano a due baili, uno per il vescovo e uno per il re. Ciò non impedì naturalmente che i re, non come eredi dei diritti dei visconti, ma nella loro qualità di sovrani del regno, si immischiassero nelle faccende di Albi, come in quelle d'altre città, e cercassero, soprattutto dal sec. XIV in poi, di sottomettere al loro controllo e alla loro diretta dipendenza il consolato cittadino. Sotto questo rispetto la storia di Albi, sebbene i vescovi vi conservassero il potere temporale fino alla Rivoluzione, non differisce in nulla da quella di altre città della Francia meridionale.
Prima ancora che sorgesse un'amministrazione autonoma, nella città primeggiava una ristretta aristocrazia di cosiddetti prud'hommes, di cui facevano parte, insieme ad altri possessori di terre e di case, anche i nobili feudatarî della signoria vescovile, che occupavano un intero quartiere della cité (Castelviel). Questi medesimi elementi formano anche il ceto dirigente del comune consolare. Essi esercitano ora in forma più autonoma e più diretta quelle stesse funzioni che già avevano disimpegnato in qualità di consiglieri, di assistenti, di commissarî o di delegati del potere signorile. Del resto, il governo consolare non si rese mai del tutto indipendente dal vescovo e, pure allargando la propria autonomia e usurpando nuovi diritti, non cessò mai di considerarsi come organo del potere signorile.
I consoli erano dodici, due per ogni quartiere (gache) della città. Nel sec. XIII, all'elezione dei consoli partecipava ancora il vescovo, e l'elezione stessa veniva fatta nel parlamento generale dei prud'hommes, cioè in un'assemhlea di poche centinaia di componenti la classe dirigente della città. Nel periodo successivo la formazione del collegio consolare andava concentrandosi sempre più nelle mani dei consoli uscenti, finché si giunse nel sec. XV a una cooptazione vera e propria. Le più cospicue fra le corporazioni di commercio e di mestiere riuscirono nel sec. XIII ad ottenere un modesto posto nel consolato e nei consigli, ma la vecchia aristocrazia mantenne sempre il suo predominio. Nei sec. XIII e XIV vengono ricordati alcuni movimenti popolari, diretti contro il governo oligarchico e provocati soprattutto dalla politica finanziaria dei dirigenti. Ma le ingerenze del potere regio, specialmente frequenti dal sec. XIV in poi, pur sostenendo il governo dell'oligarchia dirigente, andarono incontro ai malumori e ai desiderî delle classi popolari, in quanto costrinsero il consolato ad adottare una più equa politica tributaria, e in genere sottoposero ad un controllo effettivo l'amministrazione finanziaria della città.
Alla fine del sec. XII e al principio del sec. XIII Albi fu uno dei principali focolari di quel movimento eretico che da essa prese il nome (v. albigesi). Dentro le sue mura si tenne anche uno dei più importanti fra i numerosi sinodi locali, che si proponevano di elaborare i mezzi di lotta contro l'eresia. Vi convennero nel 1254 numerosi vescovi e prelati delle provincie di Narbona, di Bourges e di Bordeaux, sotto la presidenza di Zoeno, vescovo di Avignone e legato del pontefice. Furono riconfermate le decisioni prese nei precedenti sinodi francesi, specialmente in quello di Tolosa nel 1229, e venne adottata una serie di nuove deliberazioni assai importanti, in parte rivolte contro l'incuria e il mondanizzarsi del clero, in parte tendenti a migliorare l'educazione religiosa e la disciplina ecclesiastica dei laici.
Bibl.: Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., I, col. 1312; Jolibois, Le livre des consuls de la ville d'Albi, Albi 1863; id., Albi au Moyen âge, Albi 1871; Compayré, Études historiques sur l'Albigeois, Albi 1841; P. Dognon, Les institutions politiques et administratives du pays de Languedoc, Tolosa 1895; Comptes consulaires d'Albi (sec. XIV), pubbl. da A. Vidal, voll. 2, Parigi 1900 e 1911; A. Vidal, L'ancien diocèse d'Albi, d'après les régistres des notaires, Parigi 1913. Cfr. anche Dom Vaissète, Hist. du Languedoc, nuova edizione, Tolosa 1872-1892, IV, pp. 383-652 (di A. Molinier); H. Cozes, Monographie de la cathédrale Sainte Cécile d'A., Tolosa 1873; J. Laran, La cathédrale d'Albi, Parigi 1911; Catalogue de la Galerie Toulouse-Lautrec, 1924.