ZIVERI, Alberto
Nacque a Roma il 2 dicembre 1908, primogenito di Carlo, originario della provincia di Parma e conduttore di wagon-lits, e di Giovanna Ciotola, romana (Costantini, 1985). Ebbe due fratelli: Ernesto, che, nato nel 1911 e morto all’età di ventuno anni, durante l’adolescenza fu il suo migliore amico e il protagonista di numerosi ritratti; e Vittorio, nato nel 1914. La famiglia abitava al quarto piano di uno stabile al n. 31 di via Conte Verde, presso piazza Vittorio, nel nuovo quartiere umbertino, che divenne il soggetto privilegiato di tante opere di Alberto.
Nel 1921, tredicenne, ebbe il permesso dai genitori di frequentare la scuola serale di arti e mestieri di via S. Giacomo, dove seguì le lezioni del pittore e decoratore reatino Antonino Calcagnadoro, frequentate anche da Mario Mafai, più grande di Ziveri di sei anni. La pittura di Mafai, già molto personale nel modo di accostare i colori, rappresentò per il giovane un’autentica rivelazione.
Mentre ancora seguiva la scuola di arti e mestieri, nel 1924, sedicenne, entrò nello studio del pittore e decoratore toscano Giulio Bargellini, figura di spicco nel panorama del liberty romano. Bargellini assunse il giovane come «schiaccia-colori» in seguito alla raccomandazione dell’architetto Marcello Piacentini, che il padre di Ziveri, grazie al suo lavoro, aveva conosciuto in treno. Nello studio di Bargellini Alberto incontrò Guglielmo Janni, col quale strinse una duratura amicizia. Janni, pittore raffinato e di vasta cultura umanistica (era pronipote di Giuseppe Gioachino Belli), più anziano di Ziveri di ben sedici anni, esercitò un ruolo importante nell’indirizzare gli interessi del giovane. Altri allievi di Bargellini coi quali fece amicizia furono Silvio Canevari, Giuseppe Moroni e Antonio Maraini, futuro direttore della Biennale di Venezia.
Nel 1926 s’iscrisse al liceo artistico, diplomandosi nel 1929, ma, insofferente alla disciplina, non fu uno studente modello. Negli anni formativi si interessò soprattutto ai pittori moderni attivi a Roma, e tra Armando Spadini e Ferruccio Ferrazzi, allora i due artisti più seguiti dai giovani, affermò di sentirsi più vicino al secondo. Guardò inoltre a Felice Casorati, Ardengo Soffici e Giorgio Morandi. Rimangono di questa produzione iniziale alcuni paesaggi e ritratti, tra cui quello del fratello Ernesto con manichino (1927), un’opera di sapore metafisico, che risente ancora del clima del realismo magico (cfr. Fagiolo dell’Arco, 1988, fig. 2).
Nella primavera del 1928 fece il suo esordio pubblico presentando alcuni disegni alla XCIV Esposizione di belle arti della Società amatori e cultori. Lo stesso anno ricevette in dono da Janni una copia della monografia scritta da Roberto Longhi su Piero della Francesca, uscita nel 1927 per le edizioni di Valori Plastici e divenuta ben presto una sorta di testo sacro per molti giovani artisti. La lezione di Piero fu essenziale nel condurre Ziveri verso la pittura tonale. Importanti in questi anni furono anche i soggiorni nel parmense, presso i parenti del padre, a Madregolo, vicino Parma, città in cui studiò le opere di Parmigianino e Correggio.
Nel marzo del 1929, ventenne, partecipò alla I Mostra del Sindacato laziale fascista degli artisti, manifestazione alla quale tornò a esporre con regolarità. In questa edizione presentò due opere: in una sala accanto a Janni espose uno studio di ritratto, mentre Case (1929), una pacata veduta di tetti ripresi dalla sua cameretta (Fagiolo dell’Arco, 1988, fig. 21), fu collocata in un’altra sala, vicino alle opere di Gino Bonichi (Scipione), Mafai e Antonietta Raphaël, per i quali, proprio in questa occasione, Longhi, coniò la celebre definizione di «scuola di via Cavour» (R. Longhi, Alle Belle Arti. La mostra romana degli artisti sindacati. Clima e opere degli irrealisti, in L’Italia Letteraria, I, n. 2, 14 aprile 1929, p. 4).
Al termine del liceo artistico iniziò a frequentare la Scuola libera del nudo, dove, tra il 1929 e il 1930, conobbe lo scultore marchigiano Pericle Fazzini, appena giunto a Roma da Grottammare (Ascoli Piceno). Tra i due giovani (Fazzini aveva cinque anni di meno) nacque un sodalizio artistico e umano destinato a durare tutta la vita.
Nel corso degli anni Trenta l’attività espositiva si fece sempre più intensa. Nel 1930 trascorse alcuni mesi a Milano per assolvere il servizio di leva, che prestò nel corpo dei bersaglieri; circa dieci anni più tardi, ritraendosi nei suoi quadri, sarebbe tornato a indossare quella divisa. Nonostante il servizio militare riuscì comunque a esporre in diverse mostre collettive, tra cui l’Esposizione d’arte sacra di Padova, dove ottenne un premio.
Alla I Quadriennale d’arte nazionale di Roma, inaugurata nel gennaio 1931, presentò Studio all’aperto (1930), un autoritratto dipinto en plein air, per il quale Scipione lo rimproverò di guardare ancora all’impressionismo (Fagiolo dell’Arco, 1988, p. 200, fig. 14). Lo stesso anno conseguì l’abilitazione all’insegnamento del Disegno.
Nel gennaio 1933 espose alla galleria di Dario Sabatello, in una stessa sala con Fazzini, e insieme al più anziano e affermato pittore romano Giuseppe Grassi, presente in un’altra. Non fu, perciò, una personale vera e propria, ma attirò l’attenzione della critica. Ziveri presentò oltre trenta opere, tra dipinti e disegni, per lo più paesaggi già pienamente tonali, che gli valsero l’apprezzamento di Corrado Cagli, il quale su Il Tevere del 13 gennaio 1933 giudicò la sua pittura «rasserenante».
Qualche tempo dopo la mostra, prese un piccolo studio al n. 48 di via Margutta con la pittrice Caterina (Katy) Castellucci, alla quale intanto si era legato sentimentalmente. La pittrice e la sua famiglia furono ritratti numerose volte in questi anni. In Composizione (1933), un’opera significativa della sua meditazione sul colore-luce di Piero della Francesca, Katy è ritratta in tre pose diverse (Fagiolo dell’Arco, 1988, fig. 25).
La tragedia della scomparsa di suo fratello Ernesto, avvenuta nel 1932, fu rielaborata da Ziveri nel dipinto intitolato Morte di un giovane (1933-34, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), una scena di compianto dal sapore arcaico, ambientata in un paesaggio desolato, nel quale un ragazzo nudo impersona le varie espressioni di dolore e stupore di fronte alla morte. In un’intervista rilasciata nel 1984 l’autore avrebbe dichiarato: «Tra i quadri dipinti in quegli anni è uno dei più riusciti, e bada che io sono molto severo verso la mia pittura prima del 1938» (Ziveri, 1984, p. 25). L’opera, vicina alla visione mitica e primordiale teorizzata da Cagli, fu esposta nel febbraio 1935 alla Exhibition of Contemporary Italian Painting, organizzata dal gallerista Sabatello a San Francisco e poi itinerante tra i musei di Los Angeles, Seattle e Portland.
Sempre in febbraio Ziveri espose alla II Quadriennale di Roma tre opere, tutte realizzate nel corso del 1934, sistemate significativamente nella sala XXIX tra quelle di Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli, due dei protagonisti del tonalismo romano. Composizione e Famiglia (La famiglia Castellucci) rivelano, per l’atmosfera trasognata e il cromatismo vivace, anche una prossimità con la pittura di Mafai (cfr. Fagiolo dell’Arco, 1988, figg. 37, 32). Il terzo dipinto, un rarefatto Paesaggio, fu acquistato in mostra dal Governatorato di Roma (Roma, Galleria comunale d’arte moderna).
Nell’anno scolastico 1935-36 prese servizio come docente di disegno e decorazione pittorica al Regio Museo artistico industriale di Roma, poi divenuto Istituto Statale d’arte, dove insegnò poi fino al 1963.
Tenne la sua prima mostra personale nel febbraio 1936 alla galleria della Cometa, aperta l’anno prima dalla contessa Mimì Pecci Blunt, coadiuvata da Cagli e da Libero de Libero. Presentato dal pittore e critico Roberto Melli, teorico del tonalismo, espose, tra le altre opere, la già citata Morte di un giovane (1933-34) e I birilli (1934, Milano, collezione Giuseppe Iannaccone; cfr. Salvadori - Paterlini, 2016, pp. 328 s., fig. 93). Lo stesso anno intervenne alla XX Biennale di Venezia insieme al gruppo dei giovani pittori romani. Fu questa la prima partecipazione alla biennale, manifestazione alla quale d’ora in poi fu presente con continuità.
Nel 1937 si recò per la prima volta all’estero per visitare con Janni l’Esposizione internazionale di Parigi, dove lo impressionò Guernica di Picasso. Nella capitale francese visitò inoltre un’importante mostra del Greco, il Louvre e i mercati delle Halles; proseguì quindi il suo viaggio di studio in Belgio e Olanda, forse spinto dai racconti appassionati su Rembrandt e Vermeer dell’amico Giuseppe Ungaretti. Visitando i musei di questi paesi fu colpito dai maestri del Seicento olandese e fiammingo, dal romanticismo e dal realismo francese dell’Ottocento, dalla «maniera nera» di Goya e dalla vena grottesca di Ensor. Al ritorno, la sua pittura subì una svolta sostanziale e definitiva: i delicati accordi tonali cedettero il passo a opere più ricche di impasto, caratterizzate da una materia grassa e da un robusto chiaroscuro, accentuato per dare maggiore evidenza plastica alle figure, con soggetti spesso ispirati a un crudo realismo. Questa nuova produzione fu presentata per la prima volta al pubblico, che rimase piuttosto disorientato, nel giugno 1938 in occasione della XXI Biennale di Venezia, in una sala insieme a Mafai. Tra le undici opere esposte, sono particolarmente significative del nuovo indirizzo pittorico l’aneddotico e sensuale Riposo (Donna che si trucca) del 1938, memore degli interni olandesi, e l’ammiccante Autoritratto come bersagliere (1937), quasi un omaggio a Courbet (cfr. Fagiolo dell’Arco, 1988, figg. 60, 64).
Nel febbraio 1939 partecipò alla III Quadriennale di Roma con tre opere recenti. Lo stesso anno presentò al Concorso internazionale di pittura «Stefano Ussi» di Firenze La rissa(1938; Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), un dipinto emblematico del suo particolare realismo, in grado di superare la realtà fenomenica (una rissa vista al mercato di piazza Vittorio) per mettere a nudo, attraverso la lezione dei maestri del passato, l’essenza della natura umana.
Sempre nel 1939 prese uno studio all’ultimo piano di uno stabile al n. 59 di via Santa Maria dell’Anima, adiacente a piazza Navona, dove lavorò per il resto della sua vita.
Nel gennaio 1940 espose alla Galleria di Roma con Renato Guttuso, Virgilio Guzzi, Luigi Montanarini, Orfeo Tamburi e Fazzini. La collettiva, presentata da Guzzi, il più anziano e autorevole del gruppo, rese evidente il diffondersi, tra i giovani artisti della Scuola romana, di una nuova tendenza pittorica, romantica e realista.
Nel 1942 conobbe Nelda (Nella) Riva, sua futura moglie. La giovane, appena giunta dal Friuli, posava in Accademia, e quando Ziveri la vide riconobbe subito in lei la modella ideale per il personaggio di Giuditta, la protagonista di un tenebroso quadro di soggetto biblico cui stava lavorando da tempo.
Nel maggio 1943 espose nove opere alla IV Quadriennale d’arte di Roma e ottenne con Giuditta e Oloferne (1940-43) il terzo premio per la pittura (Fagiolo dell’Arco, 1988, fig. 88). La vasta tela s’impresse nella memoria del giovane Renzo Vespignani, in visita con la scuola. In quel medesimo anno fu richiamato alle armi.
Concluso il conflitto bellico, riprese l’insegnamento, intensificò l’attività espositiva, sia in Italia che all’estero, e ottenne numerosi premi. Tuttavia nell’acceso dibattito che, fino alla fine degli anni Cinquanta, contrappose in Italia astrattisti e figurativi, Ziveri, fautore di un realismo non ideologico, quasi provocatorio nella sua prosaica quotidianità, si trovò isolato.
Nel 1946 tenne una personale alla Galleria di Roma, dove espose ventisette dipinti e sedici incisioni. Il lavoro di incisore, appreso da autodidatta, si accompagnava come un diario intimo a quello di pittore fin dagli anni Venti, ma dal dopoguerra Ziveri iniziò a presentarlo nelle maggiori rassegne. Tra i dipinti, tutti recenti, spiccavano quelli sul tema del pugilato, nei quali l’artista indagava la resa pittorica della luce artificiale, una ricerca che proseguì con gli interni d’autobus degli anni Sessanta, e Postribolo (1945), tra i suoi capolavori del dopoguerra (Milano, collezione Giuseppe Iannaccone; cfr. Salvadori - Paterlini, 2016, pp. 334 s., fig. 96). L’ambiente, saturo di una greve carnalità, è tuttavia una messa in scena, perché fu Nelda a posare per tutte le figure femminili. Stilisticamente, il dipinto segnò invece un’ulteriore evoluzione, il passaggio a una pittura più chiara che, da questo momento in poi, ebbe in Vermeer il referente principale.
L’anno dopo Ziveri tenne una personale alla galleria Il Milione di Milano e nel 1948 fu presente alla XXIV Biennale di Venezia, manifestazione alla quale tornò a esporre con continuità nelle edizioni successive.
Nel 1949 fece un viaggio in Spagna, dove poté approfondire la conoscenza del Greco, di Velázquez e di Goya.
Il 28 luglio 1951 sposò a Roma Nelda (Majano 1915 - San Daniele del Friuli 2013). Il paese d’origine della moglie divenne meta dei soggiorni estivi della coppia, e per oltre trent’anni Ziveri raffigurò il paesaggio friulano con ciclica regolarità; nel 1984 Majano gli conferì la cittadinanza onoraria.
Nel giugno 1952 l’editore romano De Luca pubblicò la prima monografia sull’artista, introdotta da Leonardo Sinisgalli, con una nota di Romeo Lucchese e alcuni scritti sull’arte dello stesso Ziveri.
Negli anni Cinquanta espose in mostre collettive di arte italiana ad Atene nel 1953, in Giappone nel 1954, a Boston nel 1955, a Istanbul, a Monaco, in Russia e a Lubiana nel 1957.
Nel 1956 fu invitato con una sala personale alla XXVIII Biennale di Venezia, presentato da Guzzi, che parlò per la sua arte di un realismo senza retorica.
Nel 1959 fu inserito nella mostra Sguardo alla giovane scuola romana dal 1930 al 1945, organizzata da Giorgio Castelfranco e Dario Durbé in occasione della VIII Quadriennale di Roma (1959-60), che segnò una tappa importante nel processo di storicizzazione di questi artisti.
Negli anni Sessanta si affermò definitivamente come uno dei grandi maestri del realismo e, sul piano della docenza, passò a insegnare nelle accademie, realizzandosi nel rapporto con gli allievi, che esortava a disegnare sempre dal vero. Dal 1963 al 1966 insegnò Decorazione all’Accademia di belle arti di Napoli, nel 1967 vinse la cattedra di Pittura a Palermo e dal 1969 al 1979, anno del pensionamento, fu titolare di Pittura all’Accademia di Roma.
Nel marzo 1960, presentato da Guzzi, espose a Roma alla galleria La Nuova Pesa una quarantina di opere. Nel 1963 fu eletto accademico di S. Luca e l’anno successivo, in aprile, Roberto Longhi, che seguiva con interesse l’artista fin dagli anni Cinquanta, presentò la sua antologica di opere recenti alla Nuova Pesa. La mostra rafforzò la sua immagine di maggior pittore italiano della realtà.
Nel 1967 fu inserito nella grande rassegna Arte Moderna in Italia, 1915-1935, curata da Carlo Ludovico Ragghianti e Raffaele Monti a Palazzo Strozzi a Firenze, presentato in catalogo da una breve nota critica di Antonello Trombadori.
Negli anni Settanta godette di una fama ormai consolidata; nel 1978 fu eletto accademico dell’Accademia pontificia dei Virtuosi al Pantheon e dell’Accademia del disegno di Firenze. Tenne numerose personali, tra le più significative quelle presso la galleria Il Fante di Spade a Roma nel 1971, nel 1976 (presentato da Vespignani) e nel 1978; la galleria Sangallo a Firenze (1972) e la Ca’ d’Oro a Roma (1980).
La definitiva consacrazione di Ziveri si ebbe nel corso degli anni Ottanta. Nel 1983 uscì il catalogo generale delle incisioni su iniziativa dell’Archivio della Scuola romana di Netta Vespignani, e con il patrocinio dell’Accademia di S. Luca, che espose gran parte del suo lavoro di incisore. L’anno dopo la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma gli dedicò una grande antologica, che si tenne in parallelo con quella del suo amico Fazzini.
Negli ultimi anni Ziveri si dedicò soprattutto a riordinare i propri scritti.
Nel 1988 uscì presso Fabbri la monografia di Maurizio Fagiolo dell’Arco. L’anno successivo vinse il Premio Viareggio-Rèpaci e nell’occasione gli fu dedicata un’ampia antologica.
Morì a Roma il 1° febbraio 1990 in seguito a un ictus cerebrale.
Roma, Archivio della Scuola Romana (Casino dei Principi di Villa Torlonia), Fondo A. Z. Corrado Cagli, Sculture di Fazzini e pitture di Ziveri alla galleria Sabatello, in Il Tevere, 13 gennaio 1933; L. Sinisgalli, A. Z., con una nota di R. Lucchese e testi di A. Ziveri, Roma 1952; La Scuola Romana dal 1930 al 1945 (catal.), a cura di G. Castelfranco - D. Durbé, Roma 1960, pp. 48 s., 66; Ziveri (catal.), con presentazione di R. Longhi, Roma 1964; D. Durbé - M. Fagiolo dell’Arco - V. Rivosecchi, Ziveri, le incisioni: catalogo generale, Roma 1983; Ziveri (catal., Roma), a cura di D. Durbé - M. Fagiolo dell’Arco - V. Rivosecchi, Milano 1984; C. Costantini, E Mazzacurati prese a botte Mafai, in Il Messaggero, 20 gennaio 1985; M. Fagiolo dell’Arco, A. Z., Milano 1988; Ziveri. Premio Viareggio-Rèpaci 1989 (catal., Viareggio), a cura di M. Fagiolo - F.R. Morelli, Firenze 1989; A. Z. Taccuini di viaggio (catal.), a cura di V. Rivosecchi, Roma 1990; A. Z. «Elogio dell’ombra» (catal.), a cura di V. Rivosecchi, Roma 1990; A. Z. (catal., Modena), a cura di F. D’Amico - W. Guadagnini, Bologna 1992; Guttuso Pirandello Ziveri. Realismo a Roma, 1938-1943 (catal.), a cura di F. D’Amico - F.R. Morelli, Roma 1995; A. Z.: postriboli romani (catal., Spoleto), a cura di V. Sgarbi, Siena 2009; A. Z. maestro del Novecento (catal., Majano - Udine), a cura di G. Macovez, Udine 2010; Collezione Giuseppe Iannaccone, a cura di A. Salvadori - R. Paterlini, I, Milano 2016, pp. 328-335.