TRABUCCHI, Alberto
TRABUCCHI, Alberto. – Nacque a Verona il 26 luglio 1907 da Marco e da Maria Zamboni.
Ebbe tre fratelli, Emilio (v. la voce in questo Dizionario), Giuseppe e Cherubino, e una sorella, Maria. Il padre fu avvocato; il nonno, presidente del tribunale di Verona.
Conseguita la maturità al liceo classico Scipione Maffei di Verona, compì gli studi giuridici presso l’Università di Padova, laureandosi con lode nel luglio del 1928 (suo relatore fu Francesco Carnelutti, sotto la cui guida preparò e discusse una tesi in tema di contratto collettivo). Dopo un periodo di perfezionamento trascorso in Germania, dedicato soprattutto allo studio della storia del diritto, nel 1929 fu nominato assistente presso l’istituto di filosofia del diritto dell’Università di Padova, divenendo così collaboratore di Adolfo Ravà, il cui rigore metodologico, insieme con il vasto orizzonte di idee di Carnelutti, contribuì in maniera decisiva, come egli stesso osservò, alla sua formazione di giurista (di Ravà curò i volumi III e IV delle Lezioni di filosofia del diritto, Padova 1930). Libero docente di diritto civile nel 1935, nello stesso anno fu incaricato nell’Università di Ferrara (1935-42) e poi presso l’istituto di diritto privato dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (1936-39). Primo ternato, nel 1939, nel concorso per professore di ruolo di diritto privato bandito dall’Università di Cagliari, nel 1941-42 divenne straordinario di diritto civile presso l’Università Ca’ Foscari e indi ordinario nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova dal 1942-43, succedendo così a Francesco Santoro-Passarelli. Qui, dal 1945 – anno delle nozze con Fernanda Nanni Sparavieri, da cui ebbe cinque figli – e fino al collocamento a riposo, fu direttore dell’istituto di diritto privato e tenne l’incarico, a partire dall’anno accademico 1953-54, dell’insegnamento del diritto privato comparato. Nell’Università Ca’ Foscari fu invece professore incaricato di diritto civile (nonché di diritto agrario, romano e istituzioni di diritto privato) dall’anno accademico 1954-55.
Con riferimento al pensiero giuridico del giurista veronese, occorre partire dall’Intervista sul diritto privato raccolta da Natalino Irti nel 1988. È qui che Trabucchi mette bene a fuoco le due linee direttrici lungo le quali condusse l’intero suo itinerario di ricerca della maturità: da un lato, la fedeltà a quel metodo dogmatico che la scienza giuridica, a partire dal diritto romano, ha elaborato nel segno della continuità con il passato; dall’altro, l’attenzione per la dimensione concreta e storica, cioè necessariamente evolutiva, del sistema giuridico quale ordine ordinante. Trabucchi richiama infatti, e in senso adesivo, il ruolo svolto dalla ‘giurisprudenza degli interessi’, attenta alla valutazione di ciò che accade, onde evitare che ciò che appunto accade possa essere forzatamente, e ottusamente, attratto sotto gli schemi concettuali preesistenti (se si procedesse così, tanto la concretezza quanto la storicità del divenire sarebbero largamente trascurate). Pertanto, l’attenzione agli interessi concreti (individuali e sociali), da parte del giurista, svolge, attraverso la dogmatica, un ruolo costruttivo (e come tale concettuale, ma non concettualistico in deterius), perché contribuisce in modo decisivo a quella che Trabucchi chiamò costruzione degli edifici razionalmente compiuta. In tale prospettiva, sia l’esercizio della professione forense, sia, soprattutto, l’intensa attività svolta presso la Corte di giustizia di Lussemburgo influirono nel portare in primo piano (e all’interno di una dimensione non esclusivamente nazionale) quelle ragioni che, pur stando alla base degli interessi individuali e sociali, non sempre sono tenute presenti dal diritto positivo.
L’apprezzamento per la giurisprudenza degli interessi non va inteso quale apertura a metodologie, in senso ampio, storico-sociologiche. È vero il contrario. Se, infatti, professione di fede metodologica vi è in Trabucchi (e innegabilmente vi è), essa si identifica con la dogmatica e la sistematica: il diritto è un ordine, pur se mobile; dunque, compito precipuo del giurista accademico è la costruzione di tale ordine. Sullo sfondo di questa impostazione metodologica (non rimasta, del resto, mera assunzione ‘teorica’, avendo essa, al contrario, ricevuto plurimi svolgimenti nei tanti lavori dedicati a specifici problemi del diritto privato), deve essere a questo punto richiamata l’influenza che sugli studi giuridici ha esercitato la Costituzione repubblicana del 1948. Anzi, si può forse dire di più: la Costituzione come tale ha inciso sulla dimensione della giuridicità non solo rispetto ai fini (cioè agli obiettivi che l’ordinamento politico-giuridico deve perseguire), ma anche rispetto ai mezzi di tale perseguimento. Trabucchi, ancora in chiave metodologica, si esprime in termini inequivoci: i mutamenti che si sono verificati, soprattutto a partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento, all’interno del metodo giuridico e in relazione ai fatti della storia politica italiana dell’epoca trovano un continuo riscontro proprio nella Costituzione (in quanto testo) e nelle vicende della sua applicazione (in quanto prodotto dell’interpretazione: ed è appunto qui, però, che si annidano i più spinosi problemi, tutt’ora aperti, del resto). Una Costituzione, dunque, che, in quanto fatto storico (e cioè necessità storica), si fa esigenza (o addirittura anticipazione di un’esigenza) di rinnovamento metodologico.
Va però subito precisato che la prospettiva metodologica di Trabucchi, più inquieta di quanto a prima vista possa apparire, non può certo considerarsi pacificata grazie al fenomeno della costituzionalizzazione del diritto privato. E infatti, subito dopo aver registrato il disorientamento quasi generale dei civilisti di fronte alla Costituzione, e soprattutto di fronte agli interventi demolitori della Corte costituzionale, egli si domanda, non retoricamente: «È mai possibile [...] che l’invocazione dei criteri generali, indicati specialmente negli artt. 2 e 3, possa avere l’effetto di sconvolgere tutto il sistema in nome di generici diritti della persona o di un’eguaglianza che viene contrastata dalla realtà delle posizioni nella vita?» (Intervista sul diritto privato, cit., p. 103). La sua risposta è naturalmente improntata alla massima prudenza, nel segno, una volta di più, di una stretta fedeltà alla tradizione. Ma si tratta di una prudenza che non assume (o, quantomeno, si sforza di non assumere) i contorni di un atteggiamento reazionario in chiave metodologica, pur fermo restando che Trabucchi fu un cattolico conservatore – come ha osservato Giorgio Cian – e, per di più, «portato per natura all’autoritarismo», come Trabucchi stesso afferma (p. 100).
Tutto si snoda intorno al ruolo, assiologico e metodologico, che la Costituzione dovrebbe o non dovrebbe svolgere. Ciò che Trabucchi non accetta è l’idea di una ‘Costituzione vivente’, cioè oggetto di scontro tra opzioni politico-ideologiche, poi tradotte dai giuristi (giuristi politicamente impegnati proprio in quanto giuristi) in regole, con il rischio, naturalmente, che la soluzione individuata quale preferibile (e come tale affermatasi) sia bensì il prodotto di uno scontro, appunto, politico-ideologico, ma non già risolto ex ante dal legislatore, quanto, ex post, da dottrina e giurisprudenza, in una continua tensione dialettica tra un diritto che è tale in quanto politica e una politica che, come tale, si fa diritto. Ecco, allora, perché Trabucchi guarda con molta preoccupazione alla doctrine della ‘Costituzione vivente’, considerandola causa del crollo dell’intero sistema giuridico, con pressoché automatiche aperture al diritto libero. Se dunque fosse questo il ruolo da attribuirsi alla Costituzione, non c’è dubbio che la questione dovrebbe essere risolta nel senso di una «chiusura conservatrice [...] per porre un argine contro i pericoli cui appaiono esposti gli stessi principi di base che hanno contribuito ad aprire le vie nuove» (p. 104). Di qui l’alternativa che connota la scelta metodologica di Trabucchi (rilevante altresì sul versante assiologico), e che porta a condividere l’idea (espressa ancora da Cian) secondo la quale questi era animato da un ottimismo giuridico (ovvero apertura alla dimensione della storicità), di fronte alle trasformazioni sociali. Ci si riferisce in particolare all’idea che la Costituzione svolge una funzione che è al contempo assiologica e metodologica: essa, infatti, esprimendo orientamenti generali e obiettivi, si muove sul terreno assiologico (dunque della scelta politica); ma per raggiungere siffatti obiettivi sarà indispensabile l’opera attenta e incalzante del legislatore, perché «il giudice dovrà comunque inchinarsi ad una specifica, concreta volontà legislativa» (Il nuovo diritto onorario, 1959, in Cinquant’anni nell’esperienza giuridica, a cura di G. Cian - R. Pescara, Padova 1988, p. 33), muovendosi questa volta sul terreno metodologico.
Del resto, quando Trabucchi, nel 1975, scrisse Significato e valore del principio di legalità nel moderno diritto civile (in Cinquant’anni nell’esperienza giuridica, cit., pp. 141-168), se non ebbe esitazioni a riconoscere che il sistema giuridico è arricchito «dal potere attribuito in misura più considerevole al giudice per adeguare le decisioni alle esigenze concrete del caso da regolare» (p. 141), fu poi fermissimo nell’affermare che, nello scontro tra il ‘giuridismo’ («accusa modernissima», p. 144), e il ‘politicismo’, il sostituire il secondo al primo «appartiene alla patologia» (p. 142), perché il ‘politicismo’ «non consiste nella richiesta del giurista di partecipare al potere in quanto giurista, ma nel farsi esso stesso integralmente politico nei luoghi dove “si dice” il diritto, nel tribunale e nella scuola» (p. 142 s.). Pertanto, la primazia della Costituzione si giustifica non già perché essa vada intesa quale strumento politico che vive della, e nella, interpretazione giudiziale; al contrario, la Costituzione funziona proprio in quanto possa operare quale baluardo della legalità: una legalità che, se non più coincidente con quell’asfittico concettualismo delle categorie che conduceva alla negazione della realtà (o, e forse peggio, al suo disconoscimento), è però lontanissima da un «generico criterio di giustizia» (p. 148). Trabucchi guarda pertanto alla Costituzione quale misura storicamente fissata «del secolare conflitto tra legislatore e giudice» (p. 147), appunto risolto «subordinando il secondo al primo, e ammettendo per l’attività del primo soltanto certi controlli da effettuare da organi speciali» (p. 147 s.). Con una formula di sintesi, la sua posizione può essere allora espressa in questi termini: la forza espansiva di una ‘Costituzione vivente’ deve cedere alla forza restrittiva della Costituzione vigente.
Questo rilievo consente di toccare, in chiusura, la dimensione europea di Trabucchi, il quale guardò con fiducia all’ordinamento comunitario quale ordine giuridico certamente prevalente sugli ordinamenti giuridici nazionali. Le varie fonti del diritto comunitario sono chiamate a cooperare in vista dell’obiettivo di dar vita a un ordinamento giuridico nuovo, a un nuovo diritto (L’Europa e l’unità del diritto, in Cinquant’anni nell’esperienza giuridica, cit., p. 98): «Perché l’unità sia concreta e garantita, si postula l’esistenza di un diritto unico, di una interpretazione unica, di un valore preminente del diritto comune sopra i diritti nazionali» (p. 99).
Ecco, allora, che ritorna quel dualismo non oppositivo tra assiologia e metodologia di un’ideale Costituzione europea. Scrive infatti Trabucchi che il diritto comunitario (da intendersi soprattutto quale diritto comune di un’Europa unita) richiede tanto l’opera del politico (rilevante con riguardo agli obiettivi) quanto quella del giurista (rilevante con riguardo ai mezzi): «[S]e l’opera dei politici è necessaria per la strategia che guida alle conquiste, l’opera dei giuristi si avvicina all’azione delle fanterie che devono occupare a palmo a palmo, ma saldamente, il terreno conquistato dalle avanguardie» (p. 101). Politica e diritto sono necessariamente intrecciati, ma debbono rimanere distinti.
Nel corso della sua carriera Trabucchi fu cofondatore e codirettore della Rivista di diritto civile e codirettore della Giurisprudenza italiana. Giudice della Corte di giustizia delle Comunità europee dall’8 marzo 1962 al 12 dicembre 1972, divenne poi avvocato generale presso la stessa Corte dal 9 gennaio 1973 al 6 ottobre 1976. Fu altresì membro effettivo della Corte arbitrale dell’Associazione tra la Comunità europea e gli Stati africani; membro onorario dello World peace through law center e membro del Comité consultatif de l’Institut d’études des éuropéennes di Bruxelles. Fece inoltre parte di diverse istituzioni culturali: dell’Accademia dei Lincei (socio corrispondente, dal 2 agosto 1978; socio nazionale, dal 25 novembre 1989); dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti; dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona; dell’Accademia delle scienze di Ferrara. Dottore honoris causa e professore onorario dell’Università di Recife (Brasile), nonché professore onorario dell’Università di Innsbruck, conseguì numerose onorificenze: medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte della Repubblica italiana; grand’ufficiale al merito della Repubblica; cavaliere di gran croce; Großes Verdienstkreuz mit Stern und Schulterband (Repubblica federale tedesca); grand-croix de l’ordre de Mérite (Granducato di Lussemburgo).
Collocato a riposo nel 1982, l’anno successivo gli fu conferito il titolo di professore emerito.
Morì a Padova il 18 aprile 1998 e fu sepolto a Illasi (Verona), paese del quale fu sindaco dal 1952 al 1993, dedicando particolare attenzione alla salvaguardia del territorio.
Opere. Fra le opere vanno in primo luogo ricordate le due monografie: Il matrimonio putativo. Parte prima. Lineamenti di una teoria civilistica dell’istituto (Padova 1936), e soprattutto Il dolo nella teoria dei vizi del volere (Padova 1937, Camerino 1978), oltre naturalmente alle ormai classiche Istituzioni di diritto civile (Padova 1943; il volume è tuttora ristampato e la 40ª edizione – Padova 2001 –, la prima apparsa dopo la morte dell’autore, raccoglie significativi stralci dalle premesse alle precedenti edizioni, sì da ben rappresentare un ottimo compendio metodologico circa le prospettive culturali perseguite da Trabucchi, anche sul versante didattico). Occorre poi segnalare: il Commentario al Trattato istitutivo della Comunità economica europea (Milano 1965) e il Commentario al Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Milano 1970), entrambi diretti unitamente a Riccardo Monaco e Rolando Quadri; il Commentario alla riforma del diritto di famiglia (Padova 1977), diretto unitamente a Luigi Carraro e Giorgio Oppo; con Cian, il Commentario breve al codice civile (Padova 1981, poi ininterrottamente aggiornato) nonché il Commentario al diritto italiano della famiglia (Padova 1992), diretto unitamente a Cian e Oppo. Gli scritti minori sono raccolti nel già citato volume Cinquant’anni nell’esperienza giuridica.
Fonti e Bibl.: E. Simonetto, A. T., in Padova e la sua provincia, XIII (1967), 10, pp. 1-7 dell’estratto; T. A., in Novissimo digesto italiano, XIX, Torino 1973, p. 443; Intervista sul diritto privato, a cura di N. Irti, Padova 1988, pp. 99-109; La civilistica italiana dagli anni ’50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative. Congresso dei civilisti italiani, Venezia, ... 1989, Padova 1991 (in partic. G. Oppo, Saluto e dedica del Congresso ad A. T., pp. 5-8); E. Capuzzo, T. A., in Enciclopedia Italiana, V Appendice, Roma 1995, p. 533; P. Grossi, Omaggio a un ‘classico’ della didattica giuridica universitaria (a proposito della trentesima sesta edizione delle “Istituzioni di diritto civile” di A. T.), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, XXIV (1995), pp. 477-483; A. T., Omelia pronunciata da mons. Pietro Nonis e parole di ricordo pronunciate alla fine della liturgia eucaristica da G. Zaccaria, A. Burdese, G. Cian, R. Gozzi, G. Oppo, Padova s.d. [ma 1998]; Il genere istituzionale e il diritto oggi. Giornata lincea in onore di A. T., Roma 1998; G. Gandolfi, La vocazione europeistica di A. T. (nel centenario della nascita), in Jus, LIV (2007), 2-3, pp. 439-445; P. Grossi, A. T. civilista europeo, in Id., Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Milano 2008, pp. 713-739; G. Cian, T., A., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1972-1974.