TENENTI, Alberto
– Nacque a Viareggio, il 5 giugno 1924, da Adorno e Clelia Batori.
La famiglia paterna emigrò quasi tutta in America, tranne uno zio che fu nume tutelare e punto di riferimento costante nella vita del giovane Alberto. Nel 1935 si trasferì ad Alessandria dove, in un collegio privato, ottenne la licenza ginnasiale. Nel 1939 iniziò gli studi superiori al liceo classico G. Carducci di Viareggio, conseguendo la maturità nel 1942. Il medesimo anno si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pisa, riuscendo poi ad accedere alla Scuola normale superiore.
Gli anni della Normale a Pisa furono caratterizzati dall’insegnamento del suo primo e unico maestro italiano, Delio Cantimori. Laureatosi nel 1947 con il massimo dei voti, nell’autunno dello stesso anno ottenne una borsa di studio con la quale si trasferì in Francia, dapprima a Parigi, dove prese contatti con Lucien Febvre e Fernand Braudel, e quindi a Besançon dove lavorò con mansioni di docenza presso quella sede universitaria.
Arrivò a Parigi con un ‘posto di scambio’ per studiare, in prima intenzione, Denis Diderot e l’Illuminismo francese, ma fu proprio Febvre – probabilmente con la mediazione di Braudel – a indirizzare la sua ricerca verso la storia dei sentimenti nei confronti della morte, tematica in quel momento piuttosto lontana dai suoi primitivi interessi e alla quale, sempre sotto consiglio di Febvre, affiancò gli studi iconografici. Ottenuto un primo insegnamento Oltralpe nel secondo trimestre del 1948, per i quattro anni universitari successivi, dal 1949 al 1953, beneficiò di una allocation al Centre national de la recherche scientifique (CNRS) di Parigi, stringendo fraterna amicizia con un altro storico italiano, Ruggiero Romano, e in seguito con Ugo Tucci e Corrado Vivanti.
Furono intensi anni di riflessione storiografica che portarono alla pubblicazione di una prima monografia: La vie et la mort à travers l’art du XVe siècle (Paris 1952). L’opera venne accolta in Italia con una certa diffidenza, mentre Tenenti stringeva legami sempre più forti con l’ambiente che faceva capo alla sezione di scienze economiche e sociali della École pratique des hautes études di Parigi. Sotto richiesta della redazione della rivista Les Annales, pubblicò una lunga recensione all’opera di Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, intitolata Héretiques italiens et réformes européennes (VII (1952), 2, pp. 191-198) proponendosi dunque come trait d’union tra due scuole storiografiche.
Agli inizi degli anni Cinquanta Tenenti vinse un concorso come dirigente presso gli Archivi di Stato, e soggiornò dapprima a Venezia e poi a Brescia tra il 1953 e il 1957. Venne allora a crearsi nello studioso quella dicotomia d’interessi che manteneva da un lato la sua discendenza prettamente febvriana, con gli studi sulla sensibilità, sull’outillage mental o sulla storia della cultura, e dall’altro la sua più stretta militanza al fianco di Braudel, specializzandosi negli studi legati alla città di Venezia e al suo sviluppo storico sul versante delle attività marinare.
Alla fine degli anni Cinquanta uscirono quindi, quasi in contemporanea, in Italia Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento (Francia e Italia) (Torino 1957) e in Francia Naufrages, corsaires et assurances maritimes à Venise 1592-1609 (Paris 1959), seguito poi da Cristoforo da Canal. La marine vénitienne avant Lépante (Paris 1962).
Negli stessi anni Tenenti venne chiamato da Braudel come chef des travaux presso la sezione Sciences économiques et sociales dell’École pratique des hautes études.
Il successo in Italia del volume sul Senso della morte e in Francia dei non meno importanti Cristoforo da Canal e Naufrages, corsaires, testimonia della dialettica ancora assai forte tra un polo storiografico italiano, che possiamo definire di ‘storia della cultura’, e il metodo interdisciplinare francese, che gli permetteva di esplorare campi e interi settori della storia europea rinascimentale sino ad allora pressoché sconosciuti.
Il legame con l’Italia non venne mai meno, anche se una frattura con il mondo accademico arrivò nel 1962, quando partecipò al concorso per professore straordinario indetto dall’Università di Urbino. Un concorso ‘storico’, e per il quale la commissione (composta da Ernesto Pontieri, Cantimori, Ernesto Sestan, Franco Venturi e Francesco Giunta) unitariamente si disse «lieta di poter constatare l’alto livello dei lavori presentati dai candidati e l’ampiezza d’interessi che la giovane storiografia italiana va dimostrando». Tuttavia Tenenti non risultò tra i vincitori e da quel momento la sua carriera universitaria si rivolse esclusivamente alla Francia.
Già residente a Parigi dal 1957, e distaccatosi dall’Università italiana, decise di restare nel suo Paese d’adozione, accanto a colui – Braudel – che considerò incontestabilmente il suo vero maestro, pur senza però mai prendere la cittadinanza francese. Continuò dunque a lavorare in stretta collaborazione con Romano, Tucci e Vivanti, non senza rammarico per gli esiti concorsuali. In quegli anni vide la luce il grande volume pubblicato in collaborazione proprio con Romano, il fortunatissimo Alle origini del mondo moderno. 1350-1550 (Milano 1967), un vero e proprio caso editoriale per le svariate traduzioni e le numerose edizioni, che uscì contemporaneamente in Italia e in Germania. Nel 1965 – a quarantuno anni – diventò directeur d’études emancipandosi dalla cattedra di Braudel con la quale aveva sino ad allora collaborato, e nell’anno accademico 1966-67 iniziò un proprio corso autonomo con un insegnamento dall’ampia denominazione di histoire sociale des cultures européennes, titolo che non modificò più nei lunghi anni passati all’École. Analizzò a fondo il mondo dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano, soprattutto veneziano, avendo come punto di riferimento l’esperienza storica acquisita attraverso la frequentazione dei temi e dei testi braudeliani.
Tenenti è stato senza alcun dubbio un vero – e forse il più stretto – allievo italiano di Braudel («mon fils spirituel», come lo chiamava lo storico francese), conoscitore profondo delle sue idee e amministratore colto della sua opera. Un legame spirituale e un’affinità intellettuale che venivano mediati dall’intenso rapporto che i due, insieme, tessevano tra l’Italia e la Francia. Quando Braudel accettò di dirigere l’Istituto internazionale di storia economica F. Datini di Prato, chiamò a collaborarvi proprio Tenenti che, nella I Settimana di studi (Prato, 10-15 settembre 1969), partecipò al convegno con una relazione dal titolo Il vocabolario politico di Machiavelli.
Un rinnovato incontro con l’Italia fu rinvigorito da un incarico presso l’Università degli studi di Venezia, favorito da Gino Benzoni, e da un certo allontanamento, a partire dagli inizi degli anni Settanta, dal gruppo di Annales. A scorrere la corposa bibliografia appaiono evidenti due aspetti peculiari della sua produzione: quello di instancabile recensore di studi, saggi e ricerche altrui, e quello di creatore di opere di divulgazione.
Dei circa 400 titoli pubblicati a sua firma, oltre 40 sono recensioni apparse nelle più importanti riviste italiane ed estere. Il bisogno di leggere e rileggere testi, inserire il proprio pensiero all’interno della produzione scientifica contemporanea e aggiornarsi continuamente si coniugava con la volontà di raggiungere un livello di scrittura semplice e lineare, con la trasmissione di un sapere accessibile e completo. Se si leggono i titoli dei corsi che egli diede presso l’École pratique des hautes études tra il 1965 e il 1980, si possono ravvisare tutti i temi poi sviluppati in saggi di grande finezza e acutezza nel ventennio successivo: il senso dello Stato, l’utopia nel Rinascimento, l’universo politico e mentale di Niccolò Machiavelli, il senso del tempo, le scienze dell’uomo in epoca rinascimentale, il capitale e il traffico marittimo, la magia e l’astrologia nel Rinascimento, l’outillage mental européen, l’architettura e l’urbanizzazione italiane, la città europea dal XVI al XVIII secolo, la corte. Furono stimolanti suggestioni per gli studenti e fecondi percorsi di ricerca.
Alla fine degli anni Sessanta Tenenti si era imposto in Francia con Florence à l’époque des Médicis, de la cité à l’État (Paris 1968) e in Italia con la celebre edizione dei Libri della famiglia di Leon Battista Alberti (Torino 1969), opera che, pubblicata assieme a Ruggiero Romano, inaugurò un suo personale filone di studi.
In quell’epoca fu impegnato, altresì, in ricerche di archivio a Venezia, Ragusa e Malta, senza per altro dimenticare la storia culturale e delle mentalità, con i grandi temi legati al senso della morte, dello spazio, del tempo. Ma ancora due aspetti caratterizzarono quegli anni: la pubblicazione di due raccolte presso Il Mulino di Bologna (Credenze, ideologie, libertinismi tra Medioevo ed Età moderna, del 1978, e Stato: un’idea, una logica. Dal comune italiano all’assolutismo francese, del 1987), nonché la ristampa nei Reprints einaudiani, nel 1977, del Senso della morte.
Le due raccolte costituivano un vero e proprio momento di riflessione generale sulla sua opera, e permettevano al lettore di verificare quanto unitario, logico e coerente fosse stato il suo procedere negli studi e nelle ricerche in quel ventennio. La credenza, le proiezioni di sopravvivenza, il significato del macabro, l’attesa del giudizio individuale, l’eresia, la religione: temi perseguiti sin dalla fine degli anni Cinquanta e che convergevano con quelli aventi per oggetto la ragion di Stato, Jean Bodin, Machiavelli, Francesco Guicciardini e il senso dello Stato. Due percorsi che si intrecciavano e che favorivano la descrizione di un’epoca a tutto tondo, in maniera organica e puntuale.
Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, accanto alle ricerche sullo Stato e agli interventi in merito alla storia veneziana rinascimentale, Tenenti incominciò a dedicarsi alla storia dell’architettura, dall’immagine della città ideale alle trasformazioni urbanistiche delle città italiane in età moderna.
Era stato un filone di studi che lo aveva attirato assai precocemente, nato al seguito della pubblicazione dei Libri della famiglia di Leon Battista Alberti, e al quale, già negli anni 1968-69, 1971-72 e 1975-76, aveva dedicato corsi universitari. Il suo interesse si era appuntato sul rapporto tra pensiero utopico e immagine delle città, senza però trascurare lo studio di aspetti architettonici peculiari e specifici – come la percezione della casa nel Rinascimento – giungendo a concepire affreschi a carattere generale, come l’architettura e l’urbanizzazione delle città italiane tra il XIII e il XVIII secolo. Si trattava di saggi che partivano da un lato dall’immagine ideale della città, ma si confrontavano poi con lo studio dell’uso dello spazio pubblico, e con l’immaginario della città, nel rapporto costante tra utopia e realtà. E proprio all’utopia furono dedicate le sue ultime lezioni.
Con la partecipazione alla monumentale Storia di Venezia si chiudeva dunque, negli anni Novanta, una stagione eccezionale di ricerche e realizzazioni editoriali. Storico membro della British Academy e della Real Académia de la Historia di Madrid, già membro del citato Istituto Datini di Prato e del Centro studi intitolato a Leon Battista Alberti di Mantova, Tenenti venne chiamato nel 1997, all’Accademia dei Lincei di Roma.
I rapporti con la capitale e l’Italia centromeridionale s’erano andati, nel corso del tempo, sempre più intensificando: e ciò non soltanto per i diversi seminari dati nella sede dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e dell’Istituto italiano di studi storici di Napoli, né per le ormai consuete frequentazioni estive della spiaggia di Sperlonga, ma soprattutto per la direzione della rivista Civiltà del Rinascimento, la cui redazione si trovava proprio a Roma. Fu l’ultimo impegno di Alberto Tenenti, che ogni mese, per circa due anni, si riuniva con la redazione dopo aver vagliato i diversi articoli in scaletta e scelto con i redattori l’apparato iconografico più appropriato a ogni singolo numero.
Morì a Parigi il 12 novembre 2002 e la rivista che dirigeva fermò le pubblicazioni il mese dopo la morte del suo direttore.
Fonti e Bibl.: Necrologi: U. Munzi - J. Le Goff, Addio a T., ci insegnò lo stile toscano, in Corriere della sera, 14 novembre 2002; F. Cardini, A. T. Un ricordo, in Intersezioni, XXIII (2002), pp. n.n.; L. Perini, Un normalista fuori d’Italia: A. T., in Normale. Bollettino dell’Associazione normalisti, 2002, vol. 2 (dicembre), pp. 29-35. Inoltre: Entrevista con A. T., in Revista de la Asociación española de neuropsiquiatría, salud mental y cultura, 1995, vol. 15, n. 53, pp. 121-133; P. Scaramella, Il senso della storia: un profilo bio-bibliografico di A. T., in Studi storici, II (2003), pp. 333-346; Id., Bibliografia di A. T. (1951-2003), ibid., pp. 347-371; A. T. Scritti in memoria, a cura di P. Scaramella, Napoli 2005; La Renaissance d’A. T. (1924-2002): portrait intellectuel d’un historien franco-italien. Actes du Colloque international..., 2012, a cura di M. Aymard - F. Dupuigrenet Desroussilles - C. Ossola, in Studi veneziani, n.s., LXXII (2015), pp. 15-192 (in partic. M. Aymard, A. T. entre l’Italie et la France (1947-1964), pp. 21-61).