Sordi, Alberto
Storia di un italiano
Tra gli attori cinematografici, Alberto Sordi ha avuto un successo ineguagliabile, nell’arco della seconda metà del Novecento, perché ha saputo rappresentare e ridicolizzare i difetti più comuni degli Italiani. La galleria dei suoi personaggi riassume i diversi volti dell’italiano medio: ora ingenuo e petulante, ora sbruffone e meschino, ora opportunista e a tratti arrogante, ma fondamentalmente insicuro
Alberto Sordi nacque a Roma, nel quartiere Trastevere, cuore popolare della città, nel 1920 e ancora adolescente si avvicinò al teatro di rivista. Nel 1937 ottenne un contratto come doppiatore di Oliver Hardy, inventando quella buffa parlata che da allora ha sempre contrassegnato Ollio (Stanlio e Ollio) in Italia. Dal 1947 poté dimostrare il suo straordinario talento in programmi radiofonici per i quali inventò alcuni esilaranti personaggi precursori di quelli successivamente interpretati nel cinema.
Era proprio quest’ultima, però, la vera passione che egli inseguì caparbiamente: dopo comparsate e ruoli minori esordì come protagonista nel film di Roberto Savarese, Mamma mia, che impressione! (1951), e l’anno successivo ottenne un altro ruolo importante in Lo sceicco bianco diretto da Federico Fellini.
In seguito la fama di Sordi continuò a consolidarsi ininterrottamente, nel corso di una lunghissima carriera nella quale alternò interpretazioni più leggere – Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa, Il marchese del Grillo (1981) di Mario Monicelli – a personaggi più strutturati e complessi, come in Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini o in Una vita difficile (1961) di Dino Risi.
Risale al 1966 la sua prima regia, Fumo di Londra, che avrebbe aperto la seconda fase della carriera, nella quale l’attore si confrontò anche con parti di forte impatto drammatico, come in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy e in Un borghese piccolo piccolo (1977) di Monicelli, dimostrando sempre un’estrema creatività nell’osservare e ricreare le diverse tipologie umane e nel costruire personaggi di sorprendente vitalità.
Il personaggio-Sordi non può prescindere dal suo essere romano: una ‘romanità’ che egli rivendicò sempre con fierezza ma anche con molta ironia. Questa esibita ‘romanità’ gli costò all’inizio anche rifiuti, come quello, ricordato spesso dall’attore, dell’Accademia dei filodrammatici di Milano che lo bocciò per la forte inflessione romanesca che lo avrebbe poi reso celebre in tutto il mondo. Di romanesco nei suoi personaggi non c’è soltanto l’inflessione, ma anche gli atteggiamenti, la mentalità, il tipo di umorismo.
È ben nota la sua aggressività verbale, che talvolta si fa forte delle inflessioni dialettali – «ma ’n ciai ’na casa?» –, e che ostenta una finta sicurezza linguistica, tanto da storpiare l’inglese nel romanesco: «Uotsamerica». Altrettanto celebri certi comportamenti strafottenti, come nella scena di I vitelloni (1953) di Fellini, in cui Sordi, che sta tornando a casa da una gita, prima sfotte un gruppo di sterratori, e poi fugge vigliaccamente di fronte alla loro reazione.
Personaggi come Oreste Jacovacci, il pavido soldato di La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, Guglielmo il Dentone, protagonista dell’omonimo episodio diretto da Luigi Filippo D’Amico facente parte del film collettivo I complessi (1965), e Nando Moriconi di Un americano a Roma (1954) di Steno appartengono ormai stabilmente al nostro immaginario collettivo.
Sebbene i suoi personaggi nascano dalla parodia del romano medio, essi sono al contempo uno specchio in cui si riflettono atteggiamenti, difetti, manie, ma anche valori e sentimenti di tutti gli Italiani, dal Nord al Sud. Sordi, infatti, seppe dare volto e voce alla dimensione tragica e insieme ridicola di un certo tipo di Italia, facile ai compromessi, spesso superficiale e qualunquista, rappresentando senza indulgenza i risvolti negativi dell’arte di arrangiarsi. Nei suoi film si colgono i mille aspetti di un paese fatto di potenti ecclesiastici e preti di provincia, vigili e tassinari, mariti deboli e padri amorevoli, uomini d’affari furbi e cialtroni, impiegati servili e codardi. Egli impersona l’uomo qualunque, senza affidarsi a una comicità esasperata o buffonesca, ma tratteggiando tipi e caratteri con estremo realismo. Alla morte dell’attore, il 25 febbraio 2003, la città di Roma lo ha celebrato con grande onore e ai suoi funerali si è radunata un’immensa folla di ammiratori provenienti da ogni parte d’Italia.