SCOTTI, Alberto.
– Nacque verosimilmente a Piacenza o nel suo territorio, da Giovanni Scotti e da Mabilia Fontana (così Racine, 1981, p. 144, che poté consultare l’archivio Scotti Anguissola), attorno alla metà del Duecento, forse poco prima, essendo politicamente attivo dall’inizio degli anni Settanta.
La data, non implausibile, proposta dalla tradizione storiografica è il 1252. Una cronaca coeva (Guerino) lo dice ottuagenario nel 1313, rinviando dunque al 1233, ma sono state sollevate obiezioni (ibid., p. 144).
Scotti e Fontana erano tra le massime famiglie della città, tra loro spesso in contrasto. I Fontana, di orientamento guelfo, erano leader dello schieramento aristocratico. Nel 1260 gli Scotti ostacolarono il tentativo di Alberto Fontana di insignorirsi di Piacenza (Annales Placentini, a cura di G.H. Pertz, 1863: «multa enim bona in expelendo dictum Albertum fecerunt Scoti», p. 513); ambizione ancora coltivata nel 1271 quando solo per opportunismo politico gli Scotti sostennero il passaggio della città di Carlo I d’Angiò («maior pars sicut sunt Scoti et ceteri mercatores et paratici affectant dominium regis ut evictent dominium Alberti de Fontana et ceterorum scelus», p. 551). Gli Scotti, di tradizione mercantile, furono da sempre schierati in prima linea nella politica popolare.
Rinaldo I Scotti fu console dei mercanti nel 1184 (Il «Registrum magnum»..., a cura di E. Falconi - R. Piveri, 1984, 30, p. 52), mentre Lanfranco faceva parte della societas populi nel 1221. La stirpe appoggiò il governo filopopolare di Antonio Saviagatta nel 1250, mentre lo zio di Scotti, Rinaldo II, fu capitano del Popolo nel 1260, a seguito dello sventato tentativo di signoria di Alberto Fontana. Proprio da Rinaldo prese le mosse l’ascesa degli Scotti alla guida della città, che avvenne grazie alla leadership del movimento popolare, ma che si giovò anche del sostegno ricevuto dall’adesione all’asse filopapale e angioino. Nel 1267, Rinaldo II, «cittadino di Piacenza e mercante» (Annales Placentini, cit., p. 521) fu infatti scelto dai legati di papa Clemente IV in Lombardia come podestà di Cremona: la decisione provocò lo scontento dei magnati piacentini, che videro nella sua nomina un successo del Popolo della loro città. Rinaldo fu anche tra gli ideatori pochi anni dopo della sottomissione di Piacenza a Carlo I d’Angiò, voluta dai mercanti e dai paratici urbani, che in tal modo intendevano sfuggire al dominio dei Landi: egli condusse nel maggio del 1271, in veste di sindaco del Comune, le trattative di alleanza con l’emissario del re di Sicilia, Roberto de Laveno. Quest’ultimo, pochi mesi dopo vendette il castello di Gravago, nei pressi di Bardi, appena recuperato dal Comune, allo stesso Rinaldo, che lo acquistò a titolo personale per 3000 lire di denari piacentini. La convergenza di interessi fra gli Scotti e gli Angiò potrebbe essere confermata dalla folgorante carriera al servizio dei re di Sicilia di un ancora non meglio identificato Giovanni Scotti, giustiziere in Abruzzo negli anni 1277-79, capitano in Albania fra il 1279 e il 1281 e poi siniscalco di Provenza nel 1288 (Pécout, 2016, p. 180).
Rinaldo II morì poco prima del 31 maggio 1280. Sua figlia Marsignina sposò poco dopo Galvano figlio di Ubertino Landi (che Carlo d’Angiò aveva tenuto in carcere, da parecchi anni, e che – in tale data liberato – rientrò a Piacenza, ben accolto dal padre): un matrimonio che, considerate le circostanze della liberazione di Landi, sembra inteso a raggiungere un primo riassorbimento del conflitto con il partito di tale famiglia.
Alberto Scotti compare per la prima volta nella documentazione il 14 marzo 1271, affiancando il padre Giovanni nell’acquisto del castello di Casaliggio dal monastero cistercense di Quartazzola, in Val Trebbia (Racine, 1981, p. 150). Alberto agì invece da solo il 9 febbraio 1277 – poco tempo dopo la morte del padre, documentato ancora in vita il 15 dicembre 1274 – quando procedette alla divisione dei beni con Giannino Scotti (ibid.).
Bisogna attendere qualche anno per avere la prima traccia della sua attività politica, che si inserisce nel solco della militanza popolare e filoguelfa già segnato da Rinaldo e che sfrutta la posizione di leadership politica raggiunta dalla stirpe durante la decennale signoria angioina sulla città. Se infatti non vi sono conferme della tradizione che ne fa il promotore del Palazzo Gotico di Piacenza (Cerri, 1912, p. 5; Nasalli Rocca, 1950, p. 267; Racine, 1981, p. 166; Piccinini, 1998, pp. 22-28), la cui costruzione fu avviata nel marzo 1281, il 16 giugno di quell’anno Scotti partecipò con altri dieci testimoni scelti fra i cittadini eminenti alla lettura, nel consiglio generale del Comune, delle missive dirette agli ufficiali angioini da Carlo I con cui si pose fine alla signoria del re di Sicilia (Il «Registrum magnum»..., cit., 1988, nn. 808-809, pp. 367-372). Nel dicembre del 1283, egli fu uno degli arbitri nominati dal Comune per addivenire a una pacificazione con Ubertino Landi. È comunque ragionevole ritenere che Scotti si fosse imposto come leader politico a seguito della scomparsa dello zio Rinaldo, di cui ereditò il ruolo.
Almeno fino al conseguimento della signoria sulla città, le notizie che riguardano Scotti in questi anni sono relativamente scarne. Egli appare impegnato prevalentemente nella gestione del patrimonio familiare e, naturalmente, della compagnia mercantile di famiglia – attiva in Francia, Inghilterra e a Genova (Racine, 1981); – di cui era socio almeno dal 1282 e della quale prese le redini entro il 1290: ne risultano confermate le enormi risorse finanziarie del personaggio, ma anche uno stile di vita cavalleresco, poiché si ricorda la presenza di uno scudiero che dimorava presso la sua abitazione, un certo Giannino de Vianino (Archivio di Stato di Piacenza [d’ora in poi ASPc], Fondo Scotti Douglas di Fombio e Sarmato, Pergamene, ms. 1, n. 40, 23 febbraio 1282).
Scotti divenne signore di Piacenza nel giugno del 1290, grazie a un colpo di mano del Popolo dai chiari connotati antimagnatizi.
L’esercito piacentino era appena tornato in città assieme agli alleati cremonesi dopo un insuccesso militare contro Pavia e il marchese di Monferrato e Scotti riversò la colpa sui magnati, in particolare i Pallastrelli, i Rusticacci e i Cario, che furono banditi da Piacenza. Da quel momento, cominciò a governare con il titolo di «Anziano, protettore e difensore del comune, della società dei mercanti e dei paratici e di tutto il Popolo» o, secondo una formula più stringata che pure compare in alcuni documenti, di «anziano, protettore e difensore della città di Piacenza» (Il «Registrum magnum»..., cit., III, doc. 764, p. 201).
Appena divenuto signore, Scotti avviò iniziative che riguardavano innanzitutto la repressione degli oppositori politici e il controllo del territorio in funzione antipavese. Si fece assegnare dal consiglio della Società dei mercanti la discrezionalità sui beni dei fuoriusciti per reati politici (Racine, 1981, p. 171), bandendo poi (1291) l’antico oppositore Alberto Fontana (Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, a cura di L.A. Muratori, 1730, col. 483). Stabilì inoltre la fondazione, sempre nel 1290, del borgo nuovo di Castel San Giovanni (ibid.; Pietro da Ripalta, Chronica Placentina..., a cura di M. Fillia - C. Binello, 1996, p. 89), dove, come ricorda una cronaca dei vescovi di Pavia, fu fatta confluire a forza la popolazione di alcune località del distretto di quella città («constricti sunt ad standum ad castrum Sancti Iohannis de districtu Placentino»: Cronica episcoporum Papiensium, in P. Maiocchi, Pavia città regia, 2008, p. 244; sulla fondazione, si veda Settia, 1990). Scotti si preoccupò dunque di mettere in sicurezza il contado; era stata del resto una disfatta militare contro Pavia e il Monferrato che l’aveva portato al potere.
Di rado intervenne in prima persona nella documentazione pubblica. Furono i consueti organismi istituzionali del Comune a garantire la legittimità dei processi politici: il podestà, il capitano della Società dei mercanti e dei paratici, il Consiglio generale. Ma l’autorità di Scotti era indiscutibile. Il 14 febbraio 1291 egli compare in prima posizione tra i testimoni, unico a essere qualificato con il titolo di dominus, all’atto, stipulato a Piacenza, con cui il vescovo di Bobbio investì il Comune del castello di Zavattarello, nell’Oltrepò pavese (Il «Registrum magnum»..., cit., III, n. 891, p. 590). Nel 1295, negli accordi tra Piacenza e gli uomini di Ruino si prevede esplicitamente che questi ultimi non potessero recare offesa al Comune e a Scotti.
La cronaca di Guerino racconta nel dettaglio, non senza acredine, le decisioni prese da Scotti come signore di Piacenza. A partire dal 1294, secondo il cronista, obbligò i podestà a imprigionare o ad assolvere a suo piacimento le persone. In quegli anni, Scotti ordinò la pena capitale per diverse persone accusate di crimini politici, tra cui, nell’aprile del 1296, quella di un monaco cistercense, Belengerio di Canneta, accusato di avere consegnato Fiorenzuola ai Fulgosi, e, il mese seguente, quelle di diversi artigiani e mercanti, sospettati di sedizione (Chronica tria Placentina..., a cura di B. Pallastrelli, 1859, pp. 353 s.).
In questi anni inasprì dunque i tratti autocratici del suo dominio, entrando in collisione con le classi popolari della cittadinanza che pure ne avevano favorito l’ascesa nel 1290. Non si trattò tuttavia di una rottura completa. Sul piano del controllo del territorio, egli proseguì in buona misura le politiche del Comune di Popolo, intrecciando sempre più, tuttavia, gli interessi personali con le iniziative pubbliche finanziate dalle casse comunali. Nel 1299, Scotti ricevette in investitura dal Comune la località di Fombio, a una decina di chilometri di distanza dalla città, appena oltre il Po, già oggetto di un primo tentativo di disboscamento nel 1291, promettendo di bonificare il luogo e di costruirvi a proprie spese una fortificazione (Il «Registrum magnum»..., cit., III, doc. 881, pp. 552-561; Racine, 1981, p. 182; Id., 1984, p. 338). L’operazione ingrossava senz’altro il patrimonio del signore, in un’area peraltro dove gli Scotti avevano già beni almeno dal 1290 (ASPc, Fondo Scotti Douglas di Fombio e Sarmato, ms. 1, Pergamene, n. 41), ma si inseriva nel solco delle politiche di aumento delle disponibilità annonarie e di controllo del territorio già care al Popolo.
Con la stessa chiave di lettura potrebbe essere interpretata un’annotazione di Guerino, secondo cui nel 1302 Scotti sottrasse 6000 lire dalle casse pubbliche per completare una permuta di beni a Castel San Giovanni con il vescovo: al di là del ritorno personale, Scotti consolidò i diritti comunali sull’area del borgo nuovo istituito nel 1290 (Chronica tria Placentina..., cit., p. 355). Nel 1303 intervenne in un’ulteriore permuta fra il vescovo e Giovanni Scotti, che ottenne il castello di Varsi, nell’Appennino, in cambio di beni a Sant’Imento, appena fuori della città, a lui venduti per 2500 lire dalla compagnia Scotti da Alberto (P.M. Campi, Dell’historia..., 1662, p. 33). Nel 1302, Scotti acquistò inoltre beni nel Lodigiano (ASPc, Fondo Scotti Douglas di Fombio e Sarmato, ms. 1, Pergamene, n. 45, 16 febbraio 1302) e in maniera analoga anche l’irrobustimento dei diritti familiari su Zavattarello, acquisito, come si è visto, dal Comune nel 1291, ma poi confluito nel suo patrimonio personale, conferma la difficile definizione di uno spartiacque fra beni pubblici e beni personali del signore. In particolare, il 2 maggio 1300, nella sua abitazione in Piacenza, Scotti fu investito da Guglielmo Lazzarello dei diritti di decima su tale località, alla presenza e con il consenso del vescovo di Bobbio (ibid., n. 39).
Insomma, una parte consistente dei castelli piacentini, con un ruolo rilevante nel presidio del distretto cittadino, era nelle mani di Scotti o dei suoi consanguinei, a partire dal già menzionato castello di Gravago, gestito da Giannino Scotti a nome di Alberto e del Comune (ASPc, Notarile di Piacenza, ms. 1, cc. 12, 15, 16, 31). Al figlio Nicola, emancipato nel 1296, cedette il castello di Casaliggio, poco fuori dalla città, oltre il Trebbia, nel 1297. Tale politica fiduciaria a favore degli Scotti non era priva di rischi per il Comune, come divenne chiaro nel gennaio del 1304, quando Giannino si rifiutò di consegnare i castelli di Gravago e Varsi alle autorità municipali (Archivio Doria LandiPamphilj..., a cura di R. Vignodelli Rubrichi, 1984, reg. 1533, p. 388). In città svolse, per ruolo politico e riconosciuto prestigio, anche la funzione di pacificatore: nel 1297 fu chiamato a dirimere le liti fra i lignaggi dei Rocca e dei Landi (ASPc, Notarile di Piacenza, ms. 1, cc. 51-52, 56-58). Si occupò anche della gestione degli immobili e degli affari della compagnia degli Scotti (ibid., cc. 31-32, 61, 89-90, 99; Fondo Scotti di Vigoleno, ms. 1, 26 marzo 1297).
Per quanto riguarda invece la politica extracittadina, sul finire del Duecento Scotti fu alleato di Matteo Visconti. Assieme a lui e a diverse città emiliane, nel 1296 diede vita a un’alleanza contro il marchese d’Este, e sempre con Visconti, nel novembre del 1297, fu nominato arbitro per la pace fra gli intrinseci e gli estrinseci di Parma (Annales Parmenses maiores, a cura di G.H. Pertz, 1863, pp. 719, 722). L’asse tra i due si incrinò tuttavia con il matrimonio avvenuto a Milano nel 1300 fra il figlio di Visconti e Beatrice d’Este, che Scotti avrebbe voluto invece come moglie per il figlio Francesco (Ferreti Vicentini Historia..., in Le opere di Ferreto, a cura di C. Cipolla, 1908, pp. 193 s.). Alleandosi con la lega guelfa e divenendone di fatto la guida, Scotti riuscì tuttavia ad avere la sua rivincita. Nel 1302 guidò infatti le operazioni contro Milano: uscito a maggio da Piacenza alla guida dell’esercito, raggiunse Lodi e quindi il Milanese (Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, cit., col. 484), ove Visconti timoroso di una rivolta gli lasciò il potere senza combattere. Scotti istituì come podestà della metropoli ambrosiana un suo consanguineo, Bernardo Scotti, e il 12 luglio 1302, nel contesto delle clausole della pace fra della Torre e Visconti, fu nominato signore di Milano, anche se il suo dominio rimase poco più che formale. Nello stesso mese Scotti ospitò a Piacenza il Parlamento delle città guelfe, che gli affidò il compito di provvedere al rientro degli esuli guelfi nelle città da cui erano stati banditi; assoldò anche Castruccio Castracani, a cui attribuì il cingolo della milizia; nell’agosto del 1302, fece sposare una nipote con Guido della Torre. Era dunque in questo momento all’apice della potenza.
Tuttavia non solo il dominio su Milano durò poco, ma anche quello su Piacenza, ove pure Scotti aveva cercato di instaurare un principio di dinastizzazione della signoria, facendo sì che l’8 ottobre 1303 il Consiglio comunale concedesse al figlio gli stessi poteri e le stesse cariche da lui esercitati, in caso di sua assenza dalla città (P.M. Campi, Dell’historia ecclesiastica di Piacenza, 1662, pp. 33 s.). Nel luglio del 1304, i magnati piacentini, guidati dai Confalonieri e dai Visconti, provarono una sommossa contro Scotti, scendendo in piazza – come ricordano gli Annali parmensi – «con armi e cavalli», al grido di «pace, pace». Scotti riuscì a resistere, grazie anche alle sue milizie mercenarie, uccidendo alcuni rivoltosi e bandendo i rimanenti dalla città; ma le basi del suo potere erano tuttavia incrinate.
Gli era venuto a mancare il consenso popolare, e inoltre le aristocrazie – a lui sfavorevoli – alimentavano rivolte nelle campagne; già nel settembre del 1304, Scotti dovette affrontare la rivolta di Visconte Pallavicino per le località di Pellegrino, Bardi e Belvedere, appoggiata dal signore di Parma Giberto da Correggio e sedata grazie all’intervento del figlio Francesco, alla guida dell’esercito piacentino. Sul piano regionale Scotti si era nel frattempo riavvicinato ai Visconti, uscendo nell’ottobre del 1303, assieme agli Alessandrini e ai Tortonesi, dalla lega guelfa, ma doveva fronteggiare l’alleanza dei Langosco di Pavia, dei marchesi di Monferrato, dei della Torre di Milano, e di Bergamo, Como, Lodi, Cremona, Crema, Novara e Vercelli, che tale alleanza costituivano (Annales Parmenses maiores, cit., p. 729). Fra settembre e novembre 1304 la lega guelfa attaccò a più riprese il Piacentino, giungendo anche a impadronirsi dei maggiori centri della valle del Trebbia, Rivergaro e Bobbio. A questo punto, nel novembre del 1304, una sommossa popolare pose fine alla signoria di Scotti, impedendo anche a Giberto da Correggio di prenderne il posto e favorendo il rientro dei fuoriusciti.
Scotti e i suoi figli furono banditi e costretti a lasciare la città; le loro case furono confiscate e distrutte, e il sito ove sorgevano fu da quel momento indicato come «contrada del guasto» (Racine, 1984, p. 341). In un primo momento, Alberto, il figlio Francesco e il genero, Pietro Mancassola, furono accolti a Parma, nel monastero di S. Giovanni. Gli altri figli trovarono invece rifugio nel castello di Zavattarello, nell’Oltrepò pavese (Annales Parmenses maiores, cit., pp. 732 s.). Nell’ottobre del 1306 Scotti, ancora fuoriuscito, tentò un colpo di mano per prendere Vigoleno, fallito tuttavia di fronte all’intervento dell’esercito piacentino e parmense (ibid., p. 737). L’anno seguente, il 24 luglio 1307, dapprima fu accolto a Castell’Arquato, che si era ribellato al Comune piacentino, quindi riuscì a entrare in Piacenza, riprendendo il potere, mentre gli ufficiali cittadini fuggivano a Bobbio (ibid., p. 740; Pietro da Ripalta, Chronica Placentina..., cit., p. 91). La nuova signoria ebbe però breve durata, perché il 13 dicembre 1307 Scotti, a capo dell’esercito piacentino, subì una dura sconfitta presso Pigazzano dai fuoriusciti ghibellini guidati dai Landi, dai Pellavicino e dai Cario: nella disfatta furono fatti prigionieri anche alcuni suoi consanguinei, tra cui Giannino Scotti il Ricco e Giovanni Scotti (Chronica tria Placentina..., cit., p. 357).
Il 6 maggio 1308, mentre la città si trovava sotto l’egemonia guelfa dei Della Torre di Milano, Scotti, assieme a diversi magnati piacentini guelfi, giurò la pace con i magnati ghibellini. L’anno seguente, la notte del 5 maggio 1309, riuscì tuttavia con un colpo di mano a cacciare i Della Torre, rimanendo nuovamente signore della città, mentre i Landi e gli altri magnati ghibellini prendevano la via della fuga (ibid., pp. 359 s.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 1978, I, p. 588).
Fu decisivo, per il felice esito dell’impresa, il sostegno ricevuto dall’esercito di Parma, il cui podestà era allora il genero Pietro Mancassola, che morì a Piacenza durante gli scontri, il 22 maggio (Annales Parmenses maiores, cit., pp. 750 s.).
Scotti restò signore della città fino al 18 agosto 1310, quando siglò una pace con i nobili estrinseci e con il Popolo di Piacenza, concordando la nomina di Arnolfo e Bassiano Fissiraga rispettivamente come podestà e capitano della città. Il giorno successivo, a seguito di una rissa tra le fazioni, lo stesso Scotti si recò in piazza chiamando alle armi le sue clientele, mentre il podestà fece fortificare la piazza del Comune. Al termine di una giornata di scontri, Alberto preferì fuggire, ritirandosi a Castell’Arquato (Chronica tria Placentina..., cit., pp. 362 s.), da cui nei mesi seguenti e fino all’inizio del 1312 compì diverse scorribande contro la città.
Secondo Guerino, nel novembre 1311 Scotti avrebbe fatto fallire le trattative per rientrare in città, mediate dai guelfi Filippo di Langosco di Pavia e Giberto di Correggio di Parma. Soltanto nel febbraio del 1312, con l’intercessione di un legato di Enrico VII re dei Romani, Scotti accettò una pacificazione con i ghibellini, a cui nei mesi seguenti si appoggiò contro i magnati guelfi (Chronica tria Placentina..., cit., pp. 366 s.). La concordia con i ghibellini durò pochi mesi, poiché il 10 settembre 1312 Scotti rinnegò gli accordi con Ubertino Landi, che fu costretto a fuggire in Val Trebbia, a Rivergaro.
Durante questa nuova signoria sulla città (la quarta!), Alberto risulta ancora coadiuvato dal figlio Francesco, che il 31 ottobre di quell’anno compì anche una fortunata spedizione nelle valli Trebbia e Tidone. Guerino, che come si è visto è fonte non favorevole a Scotti, condannò, della signoria di Alberto e Francesco in questo periodo, l’esercizio arbitrario della giustizia e la distruzione, avvenuta l’11 dicembre 1312, di un portico nella piazza del Comune.
Il 18 marzo 1313, Scotti (che risiedeva a Piacenza presso la casa di un privato: ASPc, Fondo Scotti Douglas di Fombio e Sarmato, ms. 1, Pergamene, nn. 44), sposò la figlia ventitreenne del notaio Rozzone, Sibilla o Sibillina. Sul finire dello stesso mese, arrivò a Piacenza il fratello di Enrico VII, l’arcivescovo di Treviri Balduino, per trattare una nuova pace; il 18 maggio fu nominato vicario imperiale Galeazzo Visconti che di lì a poco (17 luglio) convocò il Consiglio dei sapienti e imprigionò diversi magnati guelfi e ghibellini, tra cui Alberto e il figlio Francesco.
Condotto a Milano, secondo gli Annales Mediolanenses (a cura di L.A. Muratori, 1730, col. 694), Scotti non sarebbe più tornato a Piacenza, ma da alcuni passaggi di Guerino e di Giovanni Mussi sembra che si sia allontanato dalla città lombarda e si sia rifugiato nelle sue roccaforti del Piacentino: già nell’agosto 1313 è ricordato a Fombio (Chronica tria Placentina..., cit., p. 373), e nel 1315 a Castell’Arquato (Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, cit., col. 490). A ogni modo, negli anni seguenti il partito di Scotti continuò a opporsi a Visconti, resistendo nei castelli del contado, in particolare a Fiorenzuola e Castell’Arquato, e partecipando alle spedizioni militari guidate dagli Angiò. Assieme all’esercito dei re di Sicilia nell’agosto 1314 giunse ad assediare, senza successo, la città (Chronica tria Placentina..., cit., p. 386).
Ma la parabola di questo grande avventuriero della politica, svoltasi tutta nella transizione tra Comune e Signoria, volgeva ormai al termine. Nell’aprile del 1317 Galeazzo Visconti riuscì a prendere Castell’Arquato e in quell’occasione, secondo Mussi, Scotti fu fatto prigioniero (Chronica tria Placentina..., cit., p. 404; Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, cit., col. 492) e confinato a Crema, ove il 21 settembre «sano di mente e di corpo» dettò testamento nella casa di un maggiorente cremasco, Lantelmo Passaguerra, dove abitava (Nasalli Rocca, 1950, pp. 275-279).
Il legato testamentario mette in luce la numerosa parentela e l’ampio patrimonio di Alberto, che istituì come eredi, oltre ai due figli maschi, i sei nipoti maschi, nati dai figli premorti Pietro e Nicola (il testamento di quest’ultimo è del 18 gennaio 1315, conservato in ASPc, Fondo Scotti Douglas di Fombio e Sarmato, ms. 1), le due figlie femmine, Mabellina e Giovanna, oltre alle cinque nipoti. Fra i beneficiari figurano innanzitutto i figli Francesco – già associato al potere da Alberto, di cui avrebbe anche proseguito le aspirazioni politiche, divenendo signore di Piacenza tra il 25 luglio 1335 e il 15 dicembre 1336 (Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, 1926, pp. 30 s.; Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, cit., coll. 496 s.) – e Giacomo, a cui furono assegnati, con divieto di alienazione, i beni a Croara, Zavattarello, Valverde e Ruino. I figli, assieme ai nipoti maschi, ricevettero il rimanente del patrimonio fondiario, tra cui il castello di Fombio. Un lascito fu previsto per il recupero della dote da parte della moglie Sibillina. Il testamento è chiuso da un legato a favore del convento dei frati predicatori di Piacenza, dove fu forse sepolto (Nasalli Rocca, 1950, pp. 273 s.).
Scotti morì recluso a Crema nel gennaio 1318, il 13 del mese secondo Guerino, il 22 per Mussi (Chronica tria Placentina..., cit., p. 406; Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, cit., col. 492).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Piacenza, Fondo Scotti Douglas di Fombio e Sarmato, mss. 1 e 4; Fondo Scotti di Vigoleno, ms. 1; Notarile di Piacenza, ms. 1; P.M. Campi, Dell’historia ecclesiastica di Piacenza, III, Piacenza 1662; Johannis de Mussis Chronicon Placentinum, a cura di L.A. Muratori, in RIS, XVI, Milano 1730, coll. 441-634; Annales Mediolanenses ab anno MCCXXX usque ad annum MCCCCII, ibid., coll. 635-839; Chronica tria Placentina a Johanne Codagnello ab anonimo et a Guerino conscripta, a cura di B. Pallastrelli, Parma 1859; G. Agazzari, Chronica, in Chronica civitatis Placentie Johannis Agazzari et Antonii Francisci Villa, Parma 1862, pp. 1-76; Annales Placentini, in MGH, Scriptores, XVIII, a cura di G.H. Pertz, Hannover 1863, pp. 403-581; Annales Parmenses maiores, ibid., pp. 664-790; Ferreti Vicentini Historia rerum in Italia gestarum ab anno MCCL ad annum usque MCCCXVIII, in Le opere di Ferreto de’ Ferreti Vicentino, a cura di C. Cipolla, Roma 1908; Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, in RIS, XVI, 4, Bologna 1926; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I-II, Torino 1978; Archivio Doria Landi Pamphilj: fondo della famiglia Landi. Regesti delle pergamene: 865-1625, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1984; Il «Registrum magnum» del Comune di Piacenza, a cura di E. Falconi - R. Piveri, I, Milano 1984, III, 1986; Pietro da Ripalta, Chronica Placentina nella trascrizione di Iacopo Mori (ms. Pallastrelli 6), a cura di M. Fillia - C. Binello, Piacenza 1996; Cronica episcoporum Papiensium, in P. Majocchi, Pavia città regia, Roma 2008, pp. 240-245.
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