RIVA, Alberto
RIVA, Alberto. – Nacque il 17 maggio 1848 a Casnate (Como), ultimo di tre figli, da Giacomo e da Luigia Perlasca, in una famiglia di agiati proprietari fondiari.
Nel 1857 venne mandato al collegio Longone, uno dei due pubblici collegi di Milano, dove rimase otto anni, frequentando prima il corso ginnasiale e in seguito il liceo di Porta Nuova. Qui fu allievo di Luigi Magrini (1802-1869), la figura di maggior spicco del corpo docente di una scuola dove la componente scientifica era ben rappresentata, risentendosi ancora l’orientamento della legislazione napoleonica che aveva inteso fare dei licei un luogo di formazione delle nuove élites tecniche e professionali.
Per influsso dell’insegnamento ricevuto, o forse nella prospettiva di doversi occupare dell’amministrazione dei beni di famiglia, si orientò verso la professione di ingegnere iscrivendosi nel 1865 alla facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali dell’Università di Pavia, dove seguì il biennio propedeutico di studi fisico-matematici. Qui ebbe come compagni di corso alcuni dei futuri protagonisti della storia dell’industria italiana: Bartolomeo Cabella, Angelo Salmoiraghi, Pio Borghi e Giovanni Battista Pirelli, a cui sarebbe rimasto legato da amicizia tutta la vita; una nuova generazione di ingegneri che si veniva formando sotto la guida di Giuseppe Colombo, più anziano di una decina d’anni, avendo come comune riferimento quella che alcuni anni prima Carlo Cattaneo aveva chiamato l’«Europa vivente» e che si era mostrata in tutta la sua potenza nell’Esposizione universale di Londra del 1862.
A guidare le scelte di questo piccolo gruppo, che una volta terminato il biennio propedeutico avrebbe optato per il nuovo indirizzo di ingegneria industriale presso l’Istituto tecnico superiore di Milano (il futuro Politecnico), era l’ambizione di battere strade diverse da quelle tradizionali: non l’agricoltura o i lavori di costruzione, ma l’industria sarebbe stato il loro orizzonte. Dopo la laurea alcuni avrebbero fatto gli imprenditori creando imprese nuove (Pirelli) o lavorando in quella di famiglia (Borghi), altri avrebbero puntato sulla vendita di macchinari e sulla progettazione di impianti (Riva), altri ancora avrebbero svolto un’azione di promozione e diffusione della cultura industriale, tutti egualmente consapevoli di partecipare all’ardua sfida di fare della giovane nazione un Paese industriale.
Il periodo pavese rappresentò un momento chiave nella formazione di questa generazione anche per un aspetto non legato in senso stretto alla formazione tecnica. Nei decenni precedenti l’Università di Pavia si era distinta per la vivace partecipazione di docenti e studenti alle lotte risorgimentali. Intensa e capillare era stata la circolazione di idee e materiali di ispirazione mazziniana e anche dopo l’Unità, quando ormai molti, a partire proprio da due figure eminenti come quelle di Francesco Brioschi e Colombo, erano approdati a posizioni liberali e sostanzialmente filosabaude, in università aleggiava ancora lo spirito della democrazia risorgimentale. A fare da collante fra le generazioni e le diverse posizioni era un forte senso di identificazione nazionale, che ebbe modo di manifestarsi nel 1866, allo scoppio della terza guerra di indipendenza. Animati dal pensiero della «liberazione della patria dallo straniero», a Pavia come a Milano, molti studenti, seguendo l’esempio del loro maestro Colombo, caporale nel corpo della guardia nazionale di Valtellina, andarono a combattere. Anche Riva si arruolò nel corpo dei volontari garibaldini, prendendo parte alle operazioni militari nelle vallate tra Bresciano e Trentino e al combattimento del monte Suello (3 luglio 1866) e quindi alla sfortunata battaglia di Mentana (3 novembre 1867; Ucelli, 1961, p. 12).
Rientrato a Milano per proseguire gli studi al Politecnico, si iscrisse al nuovo corso di ingegneria industriale. Nel novembre del 1870, dopo aver consegnato la sua «relazione e stima del progetto d’esame», si mise in viaggio desideroso di «completare e perfezionare» (Bigatti, 2013, p. 165), nel confronto con l’esperienza diretta, gli studi teorico-pratici appena conclusi.
La consapevolezza dell’aprirsi di una nuova traiettoria tecnologica e la volontà di cogliere le occasioni che sembravano profilarsi all’orizzonte erano accompagnate in questi uomini dall’intuizione che le nuove dimensioni delle imprese e la complessità dei processi produttivi richiedevano un nuovo tipo di imprenditore, capace di combinare i fattori della produzione, di leggere un bilancio, di interpretare l’evoluzione della domanda, ma soprattutto di creare un ambiente favorevole all’innovazione. All’ingegnere non si chiedeva più di essere soltanto un tecnico in grado di risolvere i problemi di adattamento e montaggio dei macchinari fatti arrivare dall’estero, ma anche di riunire le qualità del tecnico, del progettista, del direttore di fabbrica e dell’imprenditore.
Mosso dal desiderio di un tirocinio propedeutico all’avvio di un’attività di tessitura meccanica di articoli di seta nella natia Como, protrasse di mese in mese il suo vagabondare per i distretti tessili dell’Europa centrale. Si era messo in viaggio con una chiara previsione del suo futuro, ma strada facendo venne colto da dubbi sempre più forti sino ad abbandonare l’idea iniziale. I mesi di quello che avrebbe dovuto essere il suo apprendistato imprenditoriale, anziché rafforzare la sua vocazione industriale, finirono per metterla in discussione.
Rientrato a Milano, lasciato cadere l’originario disegno, avviò nel 1872 uno studio di ingegneria e di «commercio di commissione in macchine». Punto di forza della ditta era la rappresentanza, in esclusiva per l’Italia, delle trebbiatrici a vapore della «rinomata» casa Marshall & Sons di Gainsborough e quella delle turbine della Socin & Wick di Basilea.
Dopo un avvio difficile, all’inizio degli anni Ottanta gli affari cominciarono a girare. Nella speranza di un ulteriore rapido sviluppo, Riva associò alla ditta l’ingegnere Anselmo Cerimedo, gerente dell’Elvetica, una delle prime grandi imprese milanesi (antecedente diretta della Breda). La combinazione non ebbe vita lunga, ma lo mise in contatto con i fratelli Carlo ed Edoardo Amman, industriali cotonieri e banchieri privati di primissimo rango, che gli assicurarono appoggi finanziari ed entrature nella comunità d’affari milanese. Sei anni più tardi, nel 1889, nel frattempo associatosi con l’ingegnere Ugo Monneret du Villard (1851-1925), cui era delegata la conduzione tecnica delle rappresentanze industriali, Riva diede una svolta ai propri affari: rilevò un’azienda in liquidazione, la Galimberti e C., che aveva da poco avviato nei modesti locali di via Savona l’esercizio di fonderia e la produzione di turbine idrauliche, integrando così con quella di costruttore la precedente attività di importatore di macchine e progettista di impianti industriali.
Grazie agli utili accumulati con il commercio di macchine agrarie, forte del sostegno degli Amman e coadiuvato dal cogerente Monneret, Riva ampliò la dotazione della vecchia officina. Nel giro di pochi anni, anche in seguito alla contrazione del commercio di macchine agricole per effetto prima della crisi agraria e poi della concorrenza di nuovi produttori nazionali, l’impresa progressivamente si identificò nella produzione di turbine idrauliche.
La felice combinazione fra le doti imprenditoriali e organizzative di Riva e il dischiudersi di inattese prospettive di mercato per le turbine grazie alle sempre più numerose centrali idroelettriche assicurarono il successo dell’impresa, scandito da ripetuti aumenti di capitale richiesti dagli sviluppi degli affari e, quindi, degli impianti.
Nel 1895 la Riva si aggiudicò la fornitura alla Siemens & Halske di Berlino di turbine per le centrali idroelettriche di Castellamonte e Bussoleno. Si trattava di una sfida impegnativa per un’impresa di dimensioni ancora modeste, trattandosi di mettere in produzione dieci turbine simultaneamente, sei delle quali della potenza di 750 HP ciascuna, ma nonostante l’insufficiente dotazione tecnica e manageriale la Riva portò a termine i lavori nei termini previsti dal contratto. Sulla scia della brillante riuscita della fornitura alla Siemens, e grazie all’appoggio di Colombo, un anno più tardi riuscì ad aggiudicarsi la fornitura alla Edison di quattro turbine da 2160 HP ciascuna per la centrale di Paderno sull’Adda, la più grande in Europa. Nessuno in Italia prima di allora si era cimentato con la costruzione di turbine di quelle dimensioni e da quel momento molti dei maggiori impianti idroelettrici del Paese utilizzarono turbine prodotte nelle officine di via Savona. Un successo confermato anche dalle prime ordinazioni dall’estero, come la commessa di due turbine Francis da 3000 HP per l’impianto della Cataract Power di Hamilton sulle cascate del Niagara.
Nel 1914, al culmine di un decennio di ininterrotta crescita e dopo il ritiro a vita privata del cogerente Monneret, Riva volle assicurare alla sua azienda un più stabile assetto. Senza snaturare l’originario carattere di impresa familiare, trasformò la ditta in Società anonima costruzioni meccaniche Riva, facendovi però partecipare esclusivamente i soci della vecchia accomandita. Restava tuttavia impregiudicato il problema della successione. Infatti dal suo matrimonio con Maddalena Grandi (1852-1945) erano nati cinque figli, ma i due maschi erano morti in giovanissima età. Ormai prossimo ai settant’anni, Riva trovò un degno continuatore nell’ingegnere Guido Ucelli. Questi, dopo essersi allontanato dall’azienda in cui era entrato nel 1909 fresco di laurea, vi fece ritorno nel 1918, rilevando le quote azionarie dello stesso Riva e acquisendone così il controllo. Da quel momento Riva ridusse progressivamente il suo impegno diretto, pur continuando a sovrintendere all’amministrazione della società.
Stimato per la competenza amministrativa e finanziaria, nel corso della sua vita fece parte del consiglio di amministrazione di numerose società ed enti bancari, dalla Miani e Silvestri al Credito italiano, dalla Società italiana del linoleum alla Banca d’Italia, del cui consiglio di reggenza era ascoltato membro. In parallelo all’affermazione economica il suo nome è presente in molte associazioni e sodalizi cittadini, dal Circolo industriale e commerciale alla Camera di commercio, per conto della quale curò la pubblicazione di una Statistica al 30 giugno 1891 delle caldaie a vapore, dei motori a vapore, a gas, elettrici ed idraulici del distretto camerale di Milano (Milano 1891), all’Associazione fra gli industriali d’Italia per prevenire gli infortuni del lavoro. Fu anche consigliere comunale dal 1905 al 1907. Cavaliere del lavoro (1910) e commendatore della Corona (1914), Riva fu tra i fondatori della sezione milanese del Club alpino italiano e successivamente del Touring Club (di cui fu vicepresidente dal 1895 al 1906).
Morì a Milano il 10 maggio 1924.
Fonti e Bibl.: In seguito alla cessazione delle attività della Riva, l’archivio storico è disperso in varie sedi e di non agevole consultazione: i libri sociali sono conservati presso la Intek S.p.A. di Milano, mentre l’archivio tecnico e quello commerciale si trovano presso la Voith Riva Hydro S.p.A., a Cinisello Balsamo; uno spezzone dell’archivio è poi presso la Fondazione ISEC di Sesto San Giovanni. Per una ricostruzione della vicenda umana e professionale di Alberto Riva, intrecciata alla storia della sua impresa si vedano: G. Ucelli, La Riva in cento anni di lavoro. 1861-1961, Milano 1961; C. Sicola, 125 anni per l’energia, Milano 1988; G. Bigatti, A. R. e la Milano industriale del suo tempo, con un saggio di S. Rebora, Milano 2013.