MORAVIA, Alberto (App. I, p. 874)
Scrittore. Durante la guerra M. (che nel 1941 sposa Elsa Morante, da cui si separerà ventuno anni dopo) è tentato - ma non senza cedere qualche volta al richiamo della prosa d'arte - dal racconto satirico e surrealista, come mostrano le raccolte de I sogni del pigro (1940) e de L'epidemia (1944), mentre nel 1941 pubblica anche La mascherata, definito da lui stesso "satira di un'immaginaria dittatura in un immaginario paese centroamericano" (il romanzo fu sequestrato alla 2ª edizione). Nel 1944 vede la luce Agostino, storia del conflitto e dei turbamenti di un adolescente, che, per certi aspetti, esaurisce felicemente la prima fase della narrativa moraviana. I più maturi mezzi espressivi del narratore s'incontrano, in questi anni e in quelli immediatamente seguenti, con le sollecitazioni di idee e teorie (la psicanalisi, l'esistenzialismo e, in parte, lo stesso marxismo) già operanti, ma che nel secondo dopoguerra in Italia vengono più adeguatamente divulgate e discusse. La romana (1947) si può considerare l'inizio di una nuova fase di Moravia. Per la prima volta, nell'assumere a protagonista una popolana, ricorre anche al discorso in prima persona che, come sosterrà egli stesso in uno scritto inserito ne L'uomo come fine (1962), può scomporre e analizzare l'oggetto, e persino farne a meno (una posizione antinaturalistica in cui è viva la lezione del Dostoevskij di Ricordi dal sottosuolo). Tale aspetto accentuerà la vocazione intellettualistica e illuministica ricorrente nella narrativa moraviana e di cui un sintomo è certamente la presenza di personaggi intellettuali in diversi romanzi. Una vocazione che deriva in gran gran parte a M., sin dalla sua prima formazione, dall'influsso della letteratura di costume del Settecento francese. Della componente saggistica si deve tener conto per giudicare soprattutto il M. maturo. Comincia da qui una ricerca non sempre lineare e sicura (come si deduce, tra l'altro, dalla diversità dei temi affrontati), ma che tuttavia testimonia la ricchezza dei fermenti e dei problemi che d'ora in poi coinvolgono lo scrittore: dall'esuberante vitalità e inappagata, istintiva sete, alla fine delusa, di esperienze umane e sentimentali de La romana alla ripresa, ne La disubbidienza (1948), del tema dell'educazione sentimentale già trattato in Agostino; dal neorealismo a tinte dialettali (anche se la tendenza saggistica, nell'accezione moraviana, evita il gusto documentario) di Racconti romani (1954) e di Nuovi racconti romani (1959) a La ciociara (1957), nelle cui pagine più sofferte M. recupera la sua prima vocazione moralistica, a contatto con la realtà della guerra; e ancora: dalla tematica più chiaramente politica de Il conformista (1951), un romanzo ispirato al delitto Rosselli, alla rappresentazione, ne Il disprezzo (1954), di una crisi coniugale in un mondo di valori sempre più mercificati. Alcune delle opere ricordate, a cominciare proprio da Il disprezzo, presentano pagine in cui più marcatamente la ricerca di una tesi precostituita, anche contro la stessa volontà dell'autore, si rivela come un modo estremo d'intendere il romanzo-saggio: La noia (1960), L'attenzione (1965) o il recente Io e lui (1971) sono orientati in questa direzione, mentre l'ultimo romanzo, La vita interiore (1978), riprende, in un'ampia struttura narrativa, i motivi consueti dell'esasperazione sessuale e del ripudio della famiglia da parte d'una giovane.
Proprio negli anni Sessanta prevalgono nello scrittore interessi critici e ideologici: da una parte sono da segnalare alcune discutibili note di critica letteraria (ma in realtà riflessi della poetica moraviana), dall'altra alcune importanti polemiche culturali: basti pensare alla tesi (espressa in alcuni drammi teatrali, ma in modo più convincente ne Il mondo è quello che è, pubblicato in volume nel 1966 insieme con L'intervista) di una parola inadeguata a descrivere la crisi del mondo contemporaneo, oppure alla convinzione che il destino dello scrittore sia quello di riflettere sino in fondo, quasi passivamente, la crisi e l'alienazione (termine quest'ultimo che nel linguaggio moraviano può essere tradotto anche con "indifferenza", "disubbidienza", "disprezzo", "noia") del tempo storico in cui gli è toccato vivere. Di M. ricordiamo ancora: le raccolte di racconti L'amante infelice (1943), Due cortigiane - Serata di Don Giovanni (1945), L'amore coniugale e altri racconti (1949; ma il primo racconto è in realtà un romanzo breve), L'automa (1962), Una cosa è una cosa (1967), Il Paradiso (1970), Un'altra vita (1973), Boh! (1976); le opere teatrali: La mascherata e Beatrice Cenci (1958), Il dio Kurt (1968) e La vita è gioco (1969), nonché il saggio La speranza, ossia cristianesimo e comunismo (1944) e i resoconti di viaggio Un mese in URSS (1958), Una idea dell'India (1962), La rivoluzione culturale in Cina (1967), A quale tribù appartieni? (1972). M. ha svolto e svolge anche un'intensa attività giornalistica (articoli, racconti, note di viaggio), ora sul Corriere della sera. Critico cinematografico del settimanale L'Espresso, M. è anche condirettore di Nuovi argomenti.
Bibl.: E. Falqui, in Prosatori e narratori del Novecento italiano, Torino 1950; E. Cecchi, in Di giorno in giorno, Milano 1954; E. De Michelis, Introduzione a Moravia, Firenze 1954; E. Sanguineti, Alberto Moravia, Milano 1962; R. Barilli, in La barriera del naturalismo, ivi 1964; G. Bàrberi Squarotti, in La narrativa italiana del dopoguerra, Bologna 1965; C. Salinari, in Preludio e fine del realismo in Italia, Napoli 1967; F. Longobardi, Moravia, Firenze 1969; G. Manacorda, in Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1975), Roma 1977; N. Ajello, Moravia. Intervista sullo scrittore scomodo, Bari 1978.