CAPOBIANCO, Alberto Maria
Al secolo Leonardo Antonio Pasquale, nacque a Brindisi il 13 marzo 1708 da Santoro e da Beatrice Rodriguez. Entrato nell'Ordine dei domenicani l'8 apr. 1723, nel convento della SS. Annunziata di Brindisi, venne ordinato sacerdote il 23 marzo 1732. Durante l'arcivescovato di Antonino Sersale (1743-50), il C. fu confessore nella diocesi di Brindisi e lettore di filosofia, geometria e teologia nel seminario della città; con analoghe funzioni seguì il Sersale prima a Taranto, nel 1750, e poi, nel 1754, a Napoli, ove fu lettore di filosofia e storia ecclesiastica nel seminario arcivescovile e teologo del cardinale arcivescovo. In seguito alla rinuncia di mons. Matteo Gennaro Testa Piccolomini, il C., sostenuto dal segretario di Stato per gli affari ecclesiastici, il regalista Carlo De Marco, venne nominato da Ferdinando IV, il 7 marzo 1767, alla vacante sede arcivescovile di Reggio Calabria. La scelta non trovò accoglienza favorevole presso la Curia romana e presso gli stessi superiori romani del C. (benché non ne nascesse alcun contrasto con Napoli) a causa dei suoi noti legami con gli ambienti regalisti e delle sue tendenze antimoliniste e filoagostiniane in teologia e rigoriste in morale, che destavano sospetti di giansenismo.
In effetti il C., quale revisore ecclesiastico, aveva consentito la stampa di un'opera anticurialista di Stefano Patrizi, consigliere della Real Camera di S. Chiara, corredata delle note di G. A. Serrao, il più noto dei cosiddetti giansenisti napoletani; aveva rigidamente censurato alcuni scritti di Alfonso de' Liguori; e soprattutto aveva autorizzato l'edizione napoletana, terminata nel 1761, della Exposition de la doctrine chrétienne, cioè di quel catechismo dell'appellante francese Philippe Mésenguy che, pubblicato anonimo a Parigi nel 1744e proibito dalla Congregazione dell'Indice nel 1757, costituì l'oggetto di accese controversie tra Roma e il governo napoletano e l'avvio di quella che è stata chiamata la collaborazione tra riformatori della Chiesa filogiansenisti e riformatori politici anticuriali. Infatti, la seconda edizione dell'opera, stampata a Colonia nel 1758, venne fatta tradurre in italiano al canonico toscano D. Cantagalli da mons. G. G. Bottari, che vi appose per parte sua delle correzioni e, pare, anche delle aggiunte, e fatta stampare a Napoli con l'approvazione di due revisori ecclesiastici, uno dei quali era appunto il C., e con l'aperto appoggio del Tanucci, del Fraggianni e del De Marco. Nonostante i tentativi napoletani volti a scongiurare una condanna da parte di Roma e nonostante che il Mésenguy stesso scrivesse al Papa mostrandosi disposto a spiegare e correggere le proposizioni incriminate, Clemente XIII proibì, col breve del 14 giugno 1761, il catechismo e prescrisse con una lettera enciclical'uso del catechismo romano: il governo napoletano rispose non concedendo l'exequatur regio né al breve né all'enciclica e provvedendo ad impedirne la divulgazione nel Regno.
Il C., ottenuta la consacrazione a Roma il 12 apr. 1767, per mano del cardinale Giovanni Francesco Albani, nel giugno successivo fece il suo ingresso nella diocesi reggina; la sua attività pastorale si volse al regolamento del culto, al riordinamento delle parrocchie e soprattutto alla cura della predicazione e dell'insegnamento sia nel seminario arcivescovile sia per mezzo di scuole pubbliche da lui istituite per la formazione dei laici. Assai generosamente si prodigò durante e dopo i terremoti che dal febbraio al marzo del 1783 colpirono disastrosamente la Calabria. Nel periodo reggino ilC. continuò i rapporti epistolari con la Chiesa giansenista e scismatica di Utrecht, rapporti precedentemente avviati tramite il conte Carlo De Gros, attraverso la cui mediazione il C. inviò i suoi voti "alli buoni nostri amici e santi vescovi di Ollandia" e ricevette gli atti del sinodo tenutosi a Utrecht nel 1763. Nel 1785 gli giunse da parte dell'arcivescovo di Utrecht una lettera di solidarietà in seguito ai terremoti della Calabria. Il C. fu anche in corrispondenza con Scipione de' Ricci al quale, avendo ricevuto copia del progetto di riforma ecclesiastica elaborato dal granduca di Toscana, consigliò prudenza e rispetto verso la S. Sede onde mantenere l'unità, respingendo alcuni punti, quali, per esempio, quello relativo alle dispense e quello che prevedeva l'amministrazione dei sacramenti in volgare; ma in generale approvò e sostenne le riforme introdotte dal de' Ricci nella sua diocesi "per ristabilire l'antica venerabile e desiderabile disciplina della Chiesa". Fallito il tentativo ricciano, il C. espresse al vescovo di Prato e Pistoia la propria solidarietà.
All'epoca delle accese polemiche relative alla dichiarazione di nullità del matrimonio del duca di Maddaloni, episodio che costituì uno dei motivi dell'aperta rottura subentrata fra Napoli e la S. Sede nel 1788, il C. si pronunciò a favore delle tesi anticuriali. Nel dicembre del 1789 fu nominato da Ferdinando IV, sempre col sostegno del De Marco, cappellano maggiore del Regno, ma conservò il titolo di arcivescovo di Reggio fino al 1792 e ottenne dal re che fosse sospesa la nomina del successore finché, con le rendite della mensa vescovile, non si fosse proceduto alla ricostruzione del duomo.Il 18 giugno 1792 fu promosso alla chiesa titolare di Colossi; dopo aver ricoperto anche le cariche di prefetto degli studi, di presidente del Tribunale misto, di ministro, ed elemosiniere della Suprema Giunta degli abusi, di capo della Giunta dell'albergo dei poveri, nel 1797 rinunciò alla carica di cappellano maggiore.
Il C. morì a Napoli il 7 febbr. 1798 e trovò sepoltura nella chiesa di S. Domenico.
Fonti e Bibl.: Per la biografia del C. è fondamentale lo studio di P. Sposato, Perla storia del giansenismo nell'Italia meridionale. Amici e corrispondenti di A. C. arcivescovo di Reggio Calabria..., Roma 1966, ricco di docum. d'archivio. Cenni più brevi in: G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XXI, Venezia 1870, p. 163;D. Spanò-Bolani, Storia di Reggio di Calabria..., Reggio di Calabria 1891, II, pp. 180, 204, 398 s.; M.Schipa, Storia dell'università di Napoli, Napoli 1924, p. 464;B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1927, II, pp. 135 s. (ove però, in relazione all'episodio della pubblicaz. napoletana del catechismo del Mésenguy, il C. viene chiamato Cobianchi); P. Savio, Devozione di mons. Adeodato Turchi alla S. Sede, Roma 1938, pp. 12, 14;G. Cacciatore, S. Alfonso de' Liguori e il giansenismo..., Firenze 1944, pp. 186 s., 205, 210;E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 349-51;R. Telleria, S.Alfonso M.a de Ligorio, Madrid 1950-51, I, pp. 538, 642-44; II, pp. 149 s.; P. F. Russo, Storia dell'archidiocesi di Reggio Calabria, III, Napoli 1965, pp. 221 s.; M. Caffiero, Lettere da Roma alla Chiesa di Utrecht, Roma 1971, p. 53;R. De Maio, Società e vita religiosa a Napoli nell'età moderna, Napoli 1971, ad Indicem; G. Moroni, Dizionario di erudiz. storico-ecclesiastica…, IV, p. 30; LVII, p. 33;R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica..., VI, Patavii 1958, pp. 174, 356.