LOLLIO, Alberto (Flavio)
Nacque il 18 maggio 1508 da Francesco e Caterina Ferrari a Firenze, dove il padre svolgeva incarichi diplomatici per i duchi di Ferrara. Trasferitosi a Ferrara con la famiglia all'età di tre anni, il L. ebbe come precettori C. Calcagnini e M.A. Antimaco, per poi proseguire gli studi di greco con P. Medoni, di filosofia con G. Cantalupo e, con maggiore continuità, di eloquenza con D. Cillenio.
Il 26 genn. 1537 sposò la figlia del celebre medico Sigismondo Nigrisoli, Elisabetta, dalla quale ebbe sei figli, seppure solo quattro, Francesco, Alessandro, Lucrezia (che sposò il conte B. Manfredi) e Claudia (unitasi ad A. Perondoli) varcarono la soglia della giovinezza. Dopo la morte di Elisabetta nel 1544, il L. si unì in seconde nozze nel 1546 con I. Bruturi.
L'attività intellettuale del L. è legata alla fondazione, il 1° maggio 1540, dell'Accademia degli Elevati, che si riuniva in casa dello stesso L. e che vide coinvolti in prima istanza Calcagnini e Antimaco, eletto dittatore il 5 luglio di quell'anno: in suo onore il L. pronunciò l'orazione Della elezione del dittatore ai signori Academici Elevati (Firenze, L. Torrentino, 1552; confluita poi con lievi varianti in Delle orationi, Ferrara, V. Panizza, 1563).
L'accolita degli Elevati rappresenta, pur nella breve vita che la caratterizzò (si estinse, probabilmente in seguito a frizioni interne, nell'aprile 1541, alla morte di Calcagnini), un momento importante per la maturazione del L., non soltanto per la qualità delle persone coinvolte (B. Ferrino, L.G. Giraldi, G.B. Giraldi Cinzio, E. Bentivoglio, I. Sellaio), ma anche per la rilevanza assegnata alla prosa toscana e per l'indirizzo insieme culturale e politico che le fu impresso. Già l'impresa, Ercole che solleva e soffoca Anteo accompagnata dal motto "Supera tellus sidera donat", esprime l'aspirazione a costituire un ceto intellettuale che affiancasse il potere politico e mettesse al servizio del bene pubblico il sapere acquisito.
Sull'impulso di tale sodalizio, il L. si applicò alla stesura delle sue prime opere: la Lettera nella quale rispondendo ad una di m. Hercole Perinato, egli celebra la villa, et lauda molto l'agricoltura (Venezia, G. Giolito, 1544), in cui prende corpo l'ideale di un'esistenza appartata e bucolica; l'Oratione consolatoria nella morte dello illustre signor Marco Pio alla honorata et vertuosissima signora, la signora Lucrezia Roverella sua consorte (ibid. 1545), in cui si intravede la volontà di sperimentare, al di là del dato occasionale, le potenzialità del genere oratorio ispirato al modello dello stoicismo senecano; e infine l'Oratione nella morte del gentilissimo giovane m. Bartolomeo Ferrinoal molto reverendo Gregorio Lilio Giraldi (ibid. 1547, ma databile al 1545). Tali orazioni furono poi raccolte nel Delle orationi del 1563.
Frattanto il L. orientò i suoi interessi su questioni più propriamente linguistiche e di traduzione; le prime prove in tal senso sono le due versioni dal latino uscite presso Giolito nel 1548: i Prudentissimi et gravi documenti circa la elettion della moglie…, ossia il De re uxoria di Francesco Barbaro, dedicati a F. Badoer, e la traduzione del Moretum di Virgilio, in onore del conte E. Bevilacqua. Di tale interesse del L. resta testimonianza negli appunti manoscritti conservati presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara: alcune note sull'amministrazione dei beni familiari, uno spoglio linguistico con i corrispondenti latini di voci estratte dalla Historia vinitiana di P. Bembo, le Brevi regole sopra la volgar lingua del L. e una copia autografa delle Osservazioni sopra la lingua volgare di G. Costantino (Mss., cl. I, 319); un incompiuto Compendio di alcune voci proprie della lingua toscana e provenzale (cl. I, 338). Questi interessi furono inquadrati nella direzione di una più consapevole presa di posizione a favore della lingua volgare, che animò l'Accademia dei Filareti.
Fondata nel 1554, essa rappresenta un'ideale continuazione di quella degli Elevati con cui condivise numerose personalità: oltre al presidente V. Maggi, F. Porto, B. Ricci, Galeazzo Gonzaga, O. Maleguzzi, G.B. Pigna, A. e T. Calcagnini, M.A. Mureto, G. Falletti, L. Frizolio, P. Magno, anche G. Bentivoglio, Giraldi Cinzio); il L. ne redasse lo statuto (Compendio delle leggi dell'Accademia dei signori Filareti, ibid., cl. I, nn. 280 e 366) e l'orazione inaugurale In laude della concordia a i signori Academici Filareti (in Due orationi…, Venetia, S. Bordogna, 1555; poi in Delle orationi, cc. 177r-190r). Promotore e ospite delle riunioni fu Alfonso Calcagnini; al centro degli interessi dell'Accademia fu non soltanto l'ideale di un sodalizio, come già il precedente, che riproducesse l'armonia fra virtù civili e culto delle lettere, ma anche l'interesse per la lingua volgare, degnamente rappresentato dall'orazione Della eccellenza e dignità della lingua toscana, recitata dal L. l'11 febbr. 1554 (in Due orationi…; poi in Delle orationi, cc. 190v-209v).
La posizione del L. quale emerge da questi scritti è chiaramente quella di chi, aderendo alla lezione di C. Tolomei, si sottrae al purismo fiorentino di Bembo e d'altra parte non cede alle ragioni del toscano parlato, preferendo aderire al canone della lingua letteraria. Semmai, a marcare le scelte del L. è la strenua battaglia condotta a favore della prosa, rispetto alla poesia. Non è un caso infatti che egli si astenne dal pubblicare la sua, peraltro modesta, produzione lirica (Ferrara, Biblioteca Ariostea, Mss., cl. I, 68: due madrigali, Voto alle Muse e Consiglio di viver lieto; 341: rime funebri; 342: componimenti letti nell'Accademia degli Elevati; Milano, Biblioteca Braidense, Mss., A.C.XIII.6; Piacenza, Biblioteca comunale, Pallastrelli, 154). Anche quando interpretò la tradizione comica ferrarese si preoccupò di giustificare teoricamente l'eventuale adozione della prosa al posto del verso, come testimonia il frammento manoscritto del prologo per una commedia (ora in D. Bartoli - F. Testi - A. Lollio, Scritti inediti, a cura di G. Negrini, Ferrara 1838, pp. 41-45), forse la traduzione degli Adelphoe terenziani, andata a stampa nel 1554 (Venezia, G. Giolito e fratelli).
È nel settore teatrale che il L. operò con maggiore incisività, inserendosi da subito in un filone, quello pastorale, che dal Sacrificio di A. Beccari (anch'esso del 1554), avrebbe condotto allo Sfortunato di A. Argenti (1567), all'Aminta tassiana e al Pastor fido di B. Guarini. Nel 1563 venne rappresentata, a spese degli studenti di diritto, a palazzo Schifanoia e alla presenza del duca, l'Aretusa del L., con le musiche di A. Della Viola e le scene di R. Costabili: a caldeggiare la composizione del testo era stata Laura Eustochia Dianti, già amante del defunto duca Alfonso I, cui il L. dedicò la stampa dell'anno successivo (Ferrara, V. Panizza). Analoga destinazione dovette avere la Galatea, di cui resta il canovaccio autografo (Ferrara, Biblioteca Ariostea, Mss., cl. I, 68). Sembra infatti trattarsi di un canovaccio destinato a una recita all'improvviso, piuttosto che di un abbozzo incompiuto: verso tale ipotesi fanno propendere, infatti, i lazzi tipici della commedia dell'arte, nonché l'alternanza tra parti in prosa e parti cantate e alcuni tecnicismi che in sé presuppongono un lettore-attore professionista.
L'edizione delle dodici orazioni del L. (in Delle orationi), strategicamente dedicata al duca Cosimo I de' Medici, e introdotta da una lettera di Giraldi Cinzio, gli aprì le porte nel 1567 dell'Accademia Toscana (per la quale compose l'Orazione quanto amabile e onorata sia la gratitudine, Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., A.LXVII, cc. 40r-54v), nonché della bresciana Accademia degli Occulti, in cui fu accolto con il nome di Arcano e il motto Taciturnior a corona di un'impresa raffigurante un tordo. La scelta dell'uccello sacro al dio del silenzio è spiegata dall'anonimo estensore del discorso Sopra l'impresa del signor Alberto Lollio, detto l'Arcano con la decisa avversione del L. nei confronti dell'esercizio gratuito della letteratura (cfr. Rime de gli Academici Occulti con le loro imprese e discorsi, Brescia, V. Sabbio, 1568, cc. 19r-22v, in cui si menziona anche una altrimenti ignota ecloga del L., La pastorella). Per l'Accademia bresciana il L. compose l'Oratione in biasimo dell'ozio (Venezia, s.n.t., 1567), una sull'emulazione e probabilmente un'invettiva contro i tarocchi (entrambe non identificate).
Il L., sofferente di sciatica, fu stroncato dalla febbre a Ferrara il 15 nov. 1569, dopo aver disposto che, in caso di estinzione della linea ereditaria, i beni familiari andassero a favore di un collegio per dodici scolari ferraresi (artisti e legisti) da istituirsi presso la sua casa in rione Malborghetto.
Oltre alle opere citate, del L. restano alcune lettere manoscritte: quelle latine conservate a Ferrara, Biblioteca Ariostea, Mss., cl. I, 145 (di cui una a Giraldi Cinzio, edita in G.B. Giraldi, Carteggio, a cura di S. Villari, Messina 1996, pp. 397 s.); sparse testimonianze a Modena, Biblioteca Estense, Est. ital., 834; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds ital., 931 (Lettera sull'agricoltura alla duchessa di Ferrara); Londra, British Library, Add. Mss., 10277, c. 76 (una lettera a Pietro Vettori). Al L. sono attribuiti una traduzione della Rhetorica di Aristotele (Modena, Biblioteca Estense, Est. lat., 409), una del Della calunnia di Luciano (Ferrara, Biblioteca Ariostea, Mss., cl. II, 124) e un Discorso intorno all'amore e all'immortalità dell'anima (Ibid., Antolini, 90). In copia autografa, infine, la Genealogia dei marchesi d'Este è conservata nell'Archivio di Stato di Modena, Mss., 127. Appartenne al L. il volume miscellaneo di commedie del primo Cinquecento (contenente I tre tiranni di A. Ricchi, Lo sponsalitio di B. Guarini, El pedante e El beco di F. Belo) della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova (Rossa, sup., H.5.31.a-d); e quello di epigrammi manoscritti di Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. XII, 248 (=10625). Una Orazione a papa Paolo III è edita nelle Orazioni politiche del Cinquecento, a cura di M. Fancelli, Bologna 1941, pp. 69-87; quella Dell'eccellenza e dignità della lingua toscana, a cura di D. Gibert, in Aevum, LXIII (1989), pp. 501-530. La Galatea è pubblicata a cura di A. Solerti in Il Propugnatore, n.s., IV (1891), 2, pp. 199-212; l'Aretusa in Aretusa, commedia pastorale di m. Alberto Lollio, pubblicata secondo l'autografo [Ferrara, Biblioteca Ariostea, Mss., cl. I, 82], a cura di A.F. Pavanello, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria ferrarese, XIII (1901), pp. 29-130, e secondo il testo della princeps in A. Beccari - A. Lollio - A. Argenti, Favole, a cura di F. Pevere, Torino 1999, pp. 131-199.
Fonti e Bibl.: M. Maylander, Storia delle Accademie d'Italia, II, Bologna 1927, pp. 260 s., 369-372; IV, ibid. 1929, pp. 87-91; D. Gibert, L'orazione "Dell'eccellenza e dignità della lingua toscana" di A. L. (1508-1569), in A. Lollio, Dell'eccellenza e dignità della lingua toscana (ed. 1989), cit., pp. 501-530; R. Bruscagli, Ancora sulle pastorali ferraresi del Cinquecento: la parte di L., in Sviluppi della drammaturgia pastorale del Cinque-Seicento. Atti del Convegno di studi, Roma… 1990, a cura di M. Chiabò - F. Doglio, Viterbo 1992, pp. 29-43.