GONDI, Alberto
Nacque a Firenze il 4 nov. 1522, secondo figlio di Guidobaldo (detto Antonio) e di Marie-Catherine de Pierrevive.
Il padre proveniva da una famiglia di mercanti fiorentini e aveva fatto la sua fortuna in Francia, a Lione e a Parigi. La madre, di famiglia originaria di Chieri, in Piemonte, era figlia di un appaltatore delle imposte a Lione.
La sua giovinezza resta poco conosciuta. Visse prevalentemente in Francia e, secondo alcuni biografi, studiò al collegio di Lisieux (Parigi) insieme con il fratello Pietro, futuro cardinale e vescovo di Parigi. Non sembra invece che abbia alcun fondamento la notizia, riferita da alcuni contemporanei, secondo cui in gioventù avrebbe sofferto dure privazioni a causa delle difficoltà economiche del padre.
Negli anni Quaranta del Cinquecento la famiglia del G. cominciò a stringere solidi legami con la Corona francese. Mentre il padre del G. si inseriva vantaggiosamente nel sistema degli appalti, la madre entrò nelle grazie di Caterina de' Medici, sposa del delfino di Francia, il duca Enrico di Orléans, futuro Enrico II, e si trasferì a Parigi, dove più tardi fu raggiunta dal marito. Anche il G. fu così accolto negli ambienti di corte. Nel 1547 assistette all'incoronazione di Enrico II, poi, dopo aver lavorato per qualche tempo come scrittore della Camera dei conti, intraprese la carriera delle armi. Nel 1551 era commissario dei viveri al campo d'Amiens. In seguito, accompagnò Enrico II in Germania e partecipò alla battaglia di Renty (1554), poi all'assedio di Volpiano e alla presa di Vercelli (1555) e infine alla sfortunata battaglia di San Quintino (1557). Nel 1554 aveva inoltre assunto la carica di gentiluomo di camera di Carlo-Massimiliano, duca d'Orléans e futuro Carlo IX di Francia, una carica puramente onorifica, che tuttavia rappresentava quanto meno il riconoscimento di un legame di fedeltà tra i Gondi e la casa reale.
Nel 1559 l'accidentale morte di Enrico II aprì per la Francia un periodo di turbolenze politiche. Il nuovo sovrano, il giovane Francesco II, era dominato dalla fazione cattolica intransigente dei Guisa, mentre la regina madre, Caterina de' Medici, poteva esercitare solo una limitata influenza, barcamenandosi tra le fazioni che facevano capo ai principi di sangue, i Borbone, i Guisa e i Montmorency. Nel dicembre 1560 Francesco II morì e Caterina poté recuperare potere, grazie all'influenza che esercitava sul nuovo sovrano, il giovane Carlo IX, un adolescente malaticcio e volubile. Sostanzialmente malvista dagli esponenti dei principali clan nobiliari, la regina madre tendeva ad appoggiarsi sui numerosi fuorusciti e uomini d'affari italiani che si erano stabiliti in Francia, i Birago, gli Strozzi e, appunto, i Gondi. In tal modo, anche il G. poté approfittare largamente del favore reale, iniziando un'ascesa sociale che già ai suoi contemporanei apparve vertiginosa.
Nel 1564 il G. partecipò al lungo viaggio compiuto dal re e dalla regina madre per tutta la Francia, prendendo parte a diversi tornei. Il 4 sett. 1565 sposò una delle più brillanti dame della corte, Claude-Catherine de Clermont-Tallart (1543-1603), vedova di Jean d'Annebaut, conte di Retz, che gli diede dieci figli: Carlo (1569-96), Claude-Marguerite (1570-1650), Enrico (1572-1622), canonico parigino, Filippo Emanuele (1581-1662), Giovanfrancesco (1584-1654), arcivescovo di Parigi, Françoise, Gabrielle, Hippolyte, Louise e Jeanne. L'unione suscitò un certo sconcerto, a causa del basso rango del G., e la stessa madre della sposa cercò di opporvisi con tutti i mezzi, ma senza successo. Per il G. il matrimonio rappresentò un'altra straordinaria occasione di ascesa sociale. La dote della moglie comprendeva infatti numerosi feudi e proprietà terriere, tra cui la contea di Retz, che consentirono al G. di accedere ai ranghi più alti della nobiltà francese. Inoltre, Claude-Catherine de Clermont-Tallart, donna di notevole intelligenza e raffinata cultura, fu un aiuto prezioso alla carriera del marito, che, da parte sua, le consentì sempre di condurre una vita molto indipendente, anche sul piano sentimentale.
Nella seconda metà degli anni Sessanta il G. era ormai un personaggio di rilievo alla corte francese. Gran maestro delle acque e foreste dal 1562, capitano di un vascello e due galere, governatore di Nantes dal 1568, primo gentiluomo di camera dal 1566, egli era soprattutto l'uomo di fiducia di Caterina de' Medici, che lo utilizzò come consigliere e uomo di fiducia per delicate missioni diplomatiche. La pamphlettistica politica coeva, spesso venata da un deciso antitalianismo, attribuì talora al G. un inconfessabile legame amoroso con la regina madre. In realtà, le ragioni del favore accordatogli da Caterina de' Medici erano altre: innanzi tutto, la lunga consuetudine che l'aveva unita a Marie-Catherine de Pierrevive, poi la disponibilità dei Gondi a finanziare le esauste casse della monarchia francese, infine le innegabili doti del G., sempre efficiente e pronto a disimpegnare compiti delicatissimi con discrezione e cautela. Anche i rappresentanti diplomatici furono colpiti dalla cautela del Gondi. L'agente toscano Vincenzo Alamanni, per esempio, rilevò con un certo disappunto che era estremamente difficile entrare in confidenza con il G. e ottenere il suo appoggio presso la regina.
Nel ristretto cerchio dei collaboratori della regina madre il G. acquisì un ruolo di primissimo piano e già nel 1565 fu posto a fianco del giovane Carlo IX come consigliere e tutore politico. Molti contemporanei giudicarono deleterio il suo influsso: l'abile e insinuante cortigiano italiano avrebbe finito per guastare il carattere del sovrano, abituandolo alla menzogna e all'intrigo. In realtà, anche in questo caso il G. si dimostrò soprattutto un fedele esecutore delle istruzioni di Caterina e utilizzò la sua influenza su Carlo IX per coinvolgere il giovane sovrano nella politica di pacificazione e di rafforzamento dell'autorità monarchica perseguita dalla regina madre. Carlo IX si dimostrò spesso insofferente della tutela materna e della costante presenza del G., ma non perse mai confidenza nell'efficiente cortigiano. Anche il presunto filospagnolismo del G. deve essere ridimensionato. Certamente, il G. non provava alcuna simpatia per gli ugonotti e manteneva rapporti cordiali con l'ambasciatore spagnolo a Parigi, ma rimase sempre fedele alla monarchia francese, limitandosi a perseguire una politica di stabilizzazione del quadro politico internazionale, anche al prezzo di rinunciare a una politica aggressiva nei confronti della Spagna.
Gli anni dell'affermazione politica del G. coincisero con una ripresa delle guerre di religione, a cui egli partecipò direttamente, prendendo parte ad alcuni combattimenti militari, a Jarnac, a Poitiers e poi a Montcour (1569), dove le truppe regie comandate dal fratello minore del re, Enrico duca d'Angiò, sbaragliarono gli ugonotti. L'8 ag. 1570 l'editto di Saint-Germain, che concedeva una limitata tolleranza religiosa ai protestanti, segnò una pace provvisoria e il G. riprese la sua attività a corte.
Con la fine della guerra, Caterina de' Medici poté riprendere una politica estera ambiziosa, che mirava ad assicurare prestigiosi matrimoni ai suoi figli e a contenere la pressione spagnola alle frontiere. Tra i numerosi inviati francesi che in quel giro di anni percorsero incessantemente le corti europee il G. assunse immediatamente un ruolo di spicco. Nell'ottobre 1570 la regina lo scelse per presiedere la missione inviata per condurre dalla Germania in Francia la promessa sposa di Carlo IX, Elisabetta d'Austria; la designazione suscitò qualche perplessità nella corte austriaca, che manifestò più volte il desiderio che il corteo fosse guidato da un personaggio di rango più elevato. Nel corso della missione, il G. allacciò trattative con l'elettore palatino e con altri principi protestanti tedeschi, per coinvolgerli in un'alleanza difensiva in funzione antispagnola. Le trattative ebbero un certo successo, ma il G. non poté offrire ai principi tedeschi alcuna reale garanzia sul trattamento degli ugonotti.
La missione tedesca sancì la definitiva affermazione del G., che era ormai uno degli uomini più potenti del Regno. Ma la sua posizione era minacciata dal rapido mutare degli equilibri di potere interni alla corte. Dopo l'editto di Saint-Germain, Carlo IX cercò di attuare una politica di pacificazione, dando benevolo ascolto ai suggerimenti del più autorevole tra i capi protestanti francesi, Gaspard de Châtillon, ammiraglio di Coligny, che propugnava una ripresa delle ostilità con la Spagna, duramente impegnata nella repressione della rivolta dei Paesi Bassi. Questa svolta nella politica francese suscitava forti riserve in Caterina de' Medici e nel G., velatamente filospagnolo e intimamente convinto della necessità di riportare la Francia all'unità religiosa. Anche se rimase sempre piuttosto defilato, il G. si trovò, così, implicato nelle trame ordite dal nunzio A.M. Salviati per sventare l'ipotesi di un intervento francese a favore degli Olandesi ribelli contro la Spagna.
Il 30 nov. 1571 il G. fu nominato governatore di Metz, ma rimase a corte. Vi si trovava ancora l'anno successivo quando una serie di drammatici avvenimenti riaprirono la guerra civile. Il 22 ag. 1572 Coligny, che era a Parigi per partecipare alle nozze del calvinista Enrico di Navarra con la sorella del re, Margherita di Valois, fu ferito in un attentato organizzato, sembra, dai Guisa. Nella notte tra il 23 e il 24, festa di S. Bartolomeo, Carlo IX, temendo la reazione dei protestanti, ordinò di eliminare Coligny e alcuni dei principali capi protestanti, ma la situazione ben presto sfuggì di mano alle truppe regie e il popolo di Parigi fece una strage di ugonotti ben maggiore di quanto inizialmente auspicato. Nelle settimane successive, poi, in tutte le principali città si verificarono uccisioni in massa di ugonotti, mentre la guerra civile riprendeva in tutto il paese.
Una parte consistente dell'ampia produzione memorialistica e pamphlettistica relativa alla notte di S. Bartolomeo tende ad attribuire al G. gravi responsabilità nella progettazione del massacro. Secondo la versione più accreditata nelle fonti filoprotestanti, la decisione di uccidere Coligny e un numero limitato di capi ugonotti sarebbe stata presa nel pomeriggio del 23 ag. 1572 nell'ambito di una riunione tra Caterina de' Medici e i suoi collaboratori italiani, Renato Birago, Luigi Gonzaga-Nevers e, appunto, il Gondi. Poi, verso sera, quest'ultimo si sarebbe recato dal re Carlo IX per convincerlo dell'esistenza di una congiura protestante diretta contro la monarchia e della necessità di dare l'assenso alla strage. L'unico testo che esclude esplicitamente la responsabilità del G. è il cosiddetto Discours du roy Henri III… (Paris 1623), secondo il quale i responsabili della strage sarebbero stati Caterina de' Medici ed Enrico duca d'Angiò, il futuro Enrico III, mentre il G. vi si sarebbe risolutamente opposto. Si tratta però di un testo di scarsa attendibilità, elaborato nell'ambiente dei Gondi all'inizio del Seicento allo scopo di ripulire la storia familiare da quella che ormai appariva una grave macchia.
In realtà, l'unico dato certo è la partecipazione del G. ai consigli che si tennero alla presenza del re tra il pomeriggio e la sera del 23 agosto, insieme con la regina madre, Birago, Gonzaga, Enrico d'Angiò, il maresciallo Gaspar de Tavannes e pochi altri. Il contenuto delle discussioni tenute in questa occasione resta avvolto nel mistero e pertanto non è possibile conoscere con certezza quale fu la posizione del Gondi. Poiché era risolutamente antiugonotto e favorevole al mantenimento di buoni rapporti con la Spagna, è senz'altro verosimile che egli abbia dato il suo assenso alla decisione di uccidere un numero limitato di capi protestanti. Allo stesso tempo, è abbastanza certo che l'iniziativa non partì da lui, ma più probabilmente dalla regina madre e dal duca d'Angiò, preoccupati dell'ascendente esercitato da Coligny su Carlo IX e dalla prospettiva, tutt'altro che remota, che il re decidesse di intervenire nelle Fiandre.
Il massacro di S. Bartolomeo produsse gravi conseguenze politiche. La guerra civile riprese in tutto il paese, mentre Elisabetta d'Inghilterra e i protestanti tedeschi ruppero bruscamente le trattative per un'alleanza con la Francia. In questa delicata fase il G. dispiegò una febbrile attività politica e militare. Tra il novembre e il dicembre 1572 si recò nel suo governatorato di Metz, dove esisteva una forte minoranza ugonotta, e vi condusse una politica di restaurazione cattolica piuttosto duttile e non particolarmente violenta. Riprese, inoltre, le trattative con l'elettore palatino, cercando di convincerlo che l'assassinio di Coligny era stato un evento tutto sommato episodico e non doveva pregiudicare i buoni rapporti della Francia con i protestanti tedeschi. Le abili argomentazioni del G. non potevano però occultare le motivazioni religiose della nuova guerra civile e le trattative segnarono il passo, anche se l'elettore si disse disposto a mantenere in piedi una qualche forma di alleanza antispagnola.
Dopo essere tornato per qualche tempo a Parigi, nella primavera-estate del 1573 il G. partecipò allo sfortunato assedio della piazzaforte ugonotta di La Rochelle, nel corso del quale fu gravemente ferito. Nello stesso periodo il suo feudo di Belle-Isle veniva conquistato da una flotta anglo-ugonotta, che in tal modo riuscì a portare decisivi soccorsi agli assediati di La Rochelle. Anche se il G. non ebbe responsabilità dirette in questa débacle militare, la trascuratezza con cui aveva provveduto alla difesa del suo feudo fu aspramente biasimata negli ambienti di corte.
Rimessosi dalle ferite, il G. riprese la sua attività diplomatica e già nel settembre 1573 fu inviato come ambasciatore straordinario in Inghilterra. Ufficialmente l'oggetto del negoziato era la conclusione di un matrimonio tra Francesco duca d'Alençon, il più giovane tra i figli di Caterina de' Medici, e la regina Elisabetta I. In realtà, si voleva soprattutto arrivare a una qualche forma di alleanza con l'Inghilterra. L'ambasciata fu fastosa e la regina apprezzò la finezza e l'intelligenza del cortigiano italiano, che cercò di dimostrarle che la strage di S. Bartolomeo non era stata motivata da odio religioso, ma dalla necessità di prevenire una congiura antimonarchica. Il matrimonio, come era già più volte accaduto, fu rimandato alle calende greche, ma la missione rappresentò comunque un successo, perché servì a ricucire, sempre in funzione antispagnola, i rapporti tra la Francia e l'Inghilterra, che si impegnò a non sovvenzionare militarmente gli ugonotti francesi.
La Corona non mancò di riconoscere i meriti del G., che il 10 luglio 1573 successe a Gaspar de Tavannes nella prestigiosissima carica di maresciallo di Francia. Poco dopo, nel dicembre 1573, fu inviato in Polonia al seguito di Enrico d'Angiò, che era stato appena eletto sovrano del paese. Oltre a coadiuvare il giovane re nei suoi rapporti con gli irrequieti sudditi polacchi, il G. doveva riprendere i contatti con i principi protestanti tedeschi, che, dopo la notte di S. Bartolomeo, guardavano con diffidenza e ostilità la monarchia francese. Il soggiorno polacco fu però molto più breve del previsto a causa dell'evoluzione della situazione politica francese.
Nell'aprile 1574 fu scoperta una congiura filoprotestante capeggiata dal figlio minore di Caterina de' Medici, Francesco d'Alençon. Al termine di una rapida inchiesta, furono condannati a morte i due principali responsabili, Joseph-Boniface de La Mole e Annibale Coconas, due avventurieri legati da ambigui rapporti con la moglie del Gondi. Poco dopo, Carlo IX moriva (30 maggio 1574). Mentre Enrico d'Angiò tornava in patria attraverso l'Italia settentrionale per assumere la corona, il G. raggiunse la Francia attraverso la Germania, correndo più volte il rischio di cadere negli agguati tesigli da alcuni principi protestanti.
In Francia la crisi dell'autorità monarchica aveva favorito il riaccendersi degli scontri tra cattolici e ugonotti e ridato fiato alle pretese dei grandi clan feudali cattolici dei Guisa e dei Montmorency, ostili tra di loro, ma uniti nella diffidenza verso la regina madre e i suoi servitori italiani. Nella nuova fase di crisi politica il G. ricevette l'incarico di recarsi nel suo governo di Provenza, che aveva ottenuto nel luglio 1573, e di pacificare la Francia meridionale. Dopo pochi mesi, però, tornò a corte e il 13 febbr. 1575 partecipò alla cerimonia di incoronazione di Enrico III, svolgendo l'importante ufficio di gran conestabile.
Durante il regno di Enrico III l'influenza politica del G. si ridusse. Egli rimaneva soprattutto l'uomo di fiducia della regina madre, ma il nuovo sovrano preferiva al G. altri, più giovani consiglieri; lo costrinse a dividere la carica di primo gentiluomo di camera del re con René de Villequier e poi a cederla al suo favorito, Anne duca di Joyeuse (1581). Il G. si piegò di buon grado al ridimensionamento del suo ruolo politico e venne ricompensato con l'elevazione a ducato e pairie della sua contea di Retz. Anche in questo periodo, comunque, il G. continuò ad accumulare cariche e proprietà terriere e a esercitare lucrose attività finanziarie (prestiti alla Corona, appalti ecc.), spesso in collaborazione con il cugino Girolamo. Oltre al ducato di Retz, egli possedeva i marchesati di Belle-Isle, in Bretagna, e di Îles-d'Or, in Provenza, e numerosissime proprietà in Île-de-France, tra cui i castelli di Bailly, Marly, Noisy e Versailles. Né gli mancava il successo mondano, soprattutto grazie all'azione della moglie.
Oltre a conoscere il latino e il greco, e a parlare correntemente diverse lingue moderne, Claude-Catherine de Clermont-Tallart si dilettava di poesia e negli anni Settanta fondò un vero e proprio circolo letterario, che annoverava tra i suoi membri i più importanti poeti francesi, da Amadis Jamyn, a Rémi Belleau, a Pontus de Tyard a Jean-Antoine de Baïf, e giocò un ruolo non secondario nella promozione di un revival petrarchista nella poesia francese. Quando poi Enrico III istituì un'accademia di palazzo, la duchessa di Retz vi partecipò attivamente, al contrario del marito, che non sembra aver avuto reali interessi culturali.
Negli stessi anni anche altri membri della famiglia Gondi avevano ormai acquisito una posizione di altissimo rilievo nella società francese: dal 1569 Pietro, fratello minore del G., era divenuto vescovo di Parigi e già si muoveva per ottenere il cardinalato, che gli fu concesso nel 1587, mentre un cugino del G., Girolamo, aveva ottenuto la carica di "introducteur" degli ambasciatori. Un'ascesa sociale vertiginosa, che fu definita dal cronista parigino Pierre de l'Estoile come "un des miracles ou des jouets de fortune de notre temps" (Registre-journal du règne de Henri III, I, p. 63).
Per tutti gli anni Settanta il G. continuò a svolgere importanti missioni politiche e militari. Nell'ottobre 1575 partecipò a una vittoriosa campagna militare, guidata dal duca Enrico (I) di Guisa, contro i mercenari protestanti che tentavano di penetrare dalla Germania in Francia. La vittoria militare finì però per rivelarsi inutile dal punto di vista politico, a causa delle divisioni interne nel campo cattolico e la Corona dovette accettare il disastroso trattato di Beaulieu (maggio 1576), con cui veniva riconosciuto agli ugonotti il possesso di una serie di piazzeforti a garanzia della tregua raggiunta.
Nel 1576 il G. fu di nuovo inviato in Provenza, in una situazione di tensione tra la monarchia e il nunzio A.M. Salviati, che pretendeva la restituzione di alcuni centri del Contado Venassino passati al protestantesimo. Anche in questa occasione egli diede prova della consueta abilità diplomatica e riuscì a promuovere una mediazione tra i clan ugonotti di Henri de Montmorency, duca di Damville, e quelli cattolici di Jean de Pontevès, duca di Carcès. Nel dicembre 1576 si recò negli Stati del duca Emanuele Filiberto di Savoia, per trattare il matrimonio della principessa Cristina di Lorena, nipote di Caterina de' Medici, con il principe di Piemonte Carlo Emanuele. Durante il viaggio il G. cadde malamente da cavallo, restando per qualche tempo semiparalizzato. Decise allora di concedersi un periodo di riposo e si recò per alcuni mesi a Lucca e a Firenze, dove fu accolto trionfalmente. Nell'estate del 1577 fece ritorno in una Provenza ancora insanguinata dagli scontri tra cattolici e protestanti, che riuscì a sedare solo con molta difficoltà.
Nell'estate del 1580 il G. fu incaricato di una nuova importante missione diplomatica in Piemonte, dove gli interessi francesi erano in pericolo sin dal 1574, quando Enrico III aveva assurdamente abbandonato a Emanuele Filiberto le piazzeforti di Pinerolo e Savigliano, riducendo la presenza francese al solo marchesato di Saluzzo.
Nel 1579 Roger de Saint-Lairy, signore di Bellegarde, a seguito di contrasti con il governatore Carlo Birago, occupò il marchesato, fidando nell'appoggio di Emanuele Filiberto di Savoia. Per chiudere rapidamente questo focolaio di tensione, Caterina de' Medici si piegò a nominare il Bellegarde governatore di Saluzzo. Nel dicembre 1579, abbastanza inaspettatamente, il Bellegarde morì e, dopo una serie di complotti, suo figlio César e il suo luogotenente Pierre Anselme si impadronirono del marchesato, rifiutando di consegnarlo all'inviato del re, Bernard de la Vallette. La situazione, poi, si ingarbugliò ulteriormente, quando il Bellegarde e il La Vallette si riappacificarono e assediarono l'Anselme a Centale. Il 30 ag. 1580 morì il duca Emanuele Filiberto e il G. fu inviato in Piemonte per presentare le condoglianze al suo successore, Carlo Emanuele I, e negoziare la restaurazione dell'autorità reale a Saluzzo. Le trattative furono particolarmente difficili, a causa degli intrighi del duca di Savoia, che si muoveva in stretta intesa con Filippo II di Spagna, ma, dopo una serie di colpi di mano, il G. ottenne la restituzione delle piazzeforti. In cambio, l'Anselme, che aveva ormai accettato il partito dell'ordine, ebbe il governo di Tarascona.
Dopo la missione a Saluzzo, il G. si ritirò per qualche tempo nel suo castello di Noisy, facendo ritorno a corte solo nel novembre 1581. Nonostante il felice successo della missione piemontese, egli non era visto con particolare simpatia da Enrico III, che lo considerava come una sorta di tutore messogli accanto dalla regina madre. Abile come sempre a cogliere lo spirare del vento, il G. accettò di buon grado la nuova situazione e si limitò a partecipare agli eventi cerimoniali della vita di corte e a svolgere alcuni incarichi militari. Come generale delle galere, partecipò alla preparazione di una sfortunata spedizione della flotta francese contro le Azzorre spagnole (1582). Nell'estate del 1584 fu invece inviato in Piccardia, alla frontiera tra i Paesi Bassi spagnoli e la Francia, con il compito di porre termine ai continui sconfinamenti delle truppe spagnole, che intendevano così reagire alla recente annessione di Cambrai alla Francia. Unendo abilmente contromisure militari e trattative diplomatiche il G. ottenne dal comandante spagnolo, Alessandro Farnese, la cessazione delle scorrerie.
Nel frattempo, però, la stabilità della monarchia francese fu definitivamente scossa dall'improvvisa morte di Francesco d'Alençon, avvenuta nel 1584. Sebbene visto con sospetto da cattolici e ugonotti, e dalla stessa Caterina de' Medici, l'Alençon era, insieme con il re Enrico III, l'ultimo esponente maschio della case reale. Con la sua morte l'ugonotto Enrico di Navarra diventava il primo candidato alla successione al trono, in caso di morte senza discendenti del re. Ciò provocò immediatamente la formazione di un partito armato cattolico, la Lega, capeggiato dal duca Enrico di Guisa, ben deciso a evitare la prospettiva della successione al trono di un eretico, anche a costo di scontrarsi con Enrico III e la regina madre.
Alcuni biografi del G. gli hanno attribuito forti simpatie leghiste. In realtà, pur se risolutamente ostile agli ugonotti, egli rimase anche in questa fase un fedele servitore di Caterina de' Medici. Si può semmai rilevare come la sua fedeltà alla monarchia fosse condizionata dal desiderio di assicurarsi una sopravvivenza politica anche nel caso di una vittoria dei Guisa. Una duplicità colta molto bene dall'agente toscano, Filippo Cavriana, che rilevò acutamente: "Retz giuoca ambedue le parti, e si crede ch'egli sia più guisardo che regio; pure non si scuopre del tutto, temendo che i fatti suoi non vadin bene" (Négociacions diplomatiques de la France avec la Toscane, IV, p. 697). è comunque indubbio che anche in questa fase il G. non perse la fiducia di Enrico III e fu utilizzato in missioni estremamente delicate. Per esempio, nella primavera del 1585, quando i Guisa iniziarono una serie di manovre militari, egli fu coinvolto nelle trattative per riavvicinarli alla monarchia. In questo caso, però, la sua abilità diplomatica non poté influire gran che sui reali rapporti di forza e i Guisa accettarono la pacificazione solo a condizioni esorbitanti, che prefiguravano una vera e propria cessione di sovranità da parte della monarchia.
Negli ultimi anni del regno di Enrico III, il G. decise di mantenere una posizione defilata. In attesa di una prevedibile crisi politico-dinastica, rimase legato alla regina madre e cercò di barcamenarsi tra i partiti, svolgendo qualche incarico militare, come nel 1587, quando comandò le truppe incaricate di proteggere Parigi dall'ennesima invasione di mercenari protestanti.
Nel 1588 la situazione giunse a un punto di rottura ed Enrico III decise di reagire alle continue provocazioni dei Guisa. La mattina del 23 dic. 1588 si tenne la seduta di un consiglio del re, cui partecipavano le principali cariche del Regno, compresi il G. e suo fratello Pietro. Durante il consiglio, Enrico di Guisa fu chiamato per un colloquio privato nelle stanze del re e qui venne massacrato dalla guardia reale. Suo fratello, il cardinale Luigi di Guisa e l'arcivescovo di Lione, Pierre de l'Épinac, tentarono di fuggire, ma furono bloccati dal G. e dal maresciallo d'Aumont, che impedirono con le armi ai membri del consiglio di abbandonare il palazzo reale. Alcuni giorni dopo, anche il cardinale di Guisa fu ucciso per ordine del re.
Partecipando a questo coup de majesté, il G. si alienò le simpatie del partito cattolico e compì una definitiva scelta di campo a favore di Enrico III e Caterina de' Medici. Il potere reale era però ormai in decomposizione. Il 5 genn. 1589 Caterina moriva, mentre Parigi si rivoltava al re, che fu costretto alla fuga, e passava sotto il controllo degli esponenti del partito cattolico. Anche il G. abbandonò la città e i ribelli dovettero limitarsi a infierire contro il suo palazzo.
Nella guerra civile tra truppe regie e truppe della Lega cattolica il G. giocò un ruolo tutto sommato minore. Accusato di aver provocato la caduta di Orléans nelle mani dei ribelli (febbraio 1589) e apertamente sconfessato da Enrico III, decise di lasciare la corte e trasferirsi in Italia per curare la sua malandata salute. Quello della malattia non era un semplice pretesto. Già da alcuni anni il G. era assai malato, tanto da riuscire a montare a cavallo solo con difficoltà. Tuttavia, è indubbio che in questa fase il viaggio in Italia rappresentava sicuramente una fuga, una presa di distanze dalle traballanti sorti della monarchia.
Il viaggio verso l'Italia fu più difficile del previsto. Tra Bourges e Moulins il G. fu fatto prigioniero da Carlo di Lorena, duca del Maine e acceso leghista, che solo dopo molte difficoltà acconsentì a liberarlo. Giunto a Firenze, il G. vi rimase fino al 1593, ma non cessò di interessarsi agli avvenimenti francesi. Nella guerra civile che seguì la morte di Enrico III (1589) il G. rifiutò di aderire alla Lega cattolica e si schierò apertamente a favore del calvinista Enrico di Navarra. La decisione del G. può apparire per molti versi sorprendente, data la sua partecipazione alla notte di S. Bartolomeo e alle guerre antiugonotte dei decenni precedenti. In realtà, si trattò di una scelta di campo ben meditata, motivata da un'intelligente valutazione delle forze in campo e da una sostanziale fedeltà al principio dinastico e alle indicazioni lasciate da Enrico III e Caterina de' Medici. Del resto, anche il fratello Pietro, vescovo di Parigi, mantenne una posizione di equidistanza tra i partiti e si adoperò attivamente per ottenere la conversione di Enrico IV e il suo riconoscimento come sovrano legittimo, rifiutando al contempo ogni compromissione con i leghisti. Invece, il primogenito del G., Carlo, duca di Belle-Isle, aderì alla Lega, non è chiaro se all'insaputa del padre, e morì combattendo contro le truppe regie nel 1596.
Dall'Italia il G. svolse una discreta ed efficace azione di sostegno in favore di Enrico IV, operando sul mercato italiano per reperire denaro in suo favore e sostenendo discretamente l'azione degli agenti francesi che premevano sul papa perché concedesse l'assoluzione al sovrano. Inoltre, sebbene fosse ormai molto malato, compì diverse missioni per arruolare truppe da inviare in Francia
Nell'estate del 1593 il G. si trasferì così per qualche tempo in Svizzera, dove arruolò alcune compagnie di mercenari per conto di Enrico IV. Alla fine dell'anno le condusse in Francia e si ricongiunse all'esercito reale, che stava ormai ottenendo decisivi successi contro i leghisti. Nel febbraio 1594, quando Enrico IV entrò a Parigi, comandò l'attacco contro la Bastiglia.
Con la fine della guerre di religione il G. riprese il suo ruolo a corte e, ormai anziano, rallentò le sue attività politico-militari. Del resto, Enrico IV, pur stimando le sue capacità, non aveva certo dimenticato la notte di S. Bartolomeo e tendeva a preferirgli altri collaboratori. Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento, dunque, il G. mantenne le sue prestigiose cariche, ma si limitò a partecipare ad alcune piccole azioni militari e a svolgere qualche missione politica di limitata importanza, come un tentativo di mediazione tra il Parlamento di Rouen e il governatore della città (1595). Nel 1598-99 fu inoltre chiamato a testimoniare della nullità del matrimonio tra Enrico IV e Margherita di Valois e nel 1600 partecipò all'organizzazione dei festeggiamenti per l'arrivo in Francia della nuova regina, Maria de' Medici. Dopo questa data si ritirò a vita privata, rilasciando alla moglie una procura per amministrare tutte le sue proprietà, che avevano raggiunto dimensioni veramente ragguardevoli: nel 1603 la fortuna mobiliare e immobiliare dei coniugi Retz era stimata ben 5.289.700 lire tornesi. Gli ultimi anni del G. trascorsero tra pratiche di pietà.
Il G. morì di cancro il 12 apr. 1602 e, per speciale privilegio, fu seppellito a Parigi nella cattedrale di Notre-Dame il 23 aprile dello stesso anno.
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