GIANNINI, Alberto
Nacque a Napoli il 22 marzo 1885 da Achille e da Eugenia Pietroni. Dopo un accidentato percorso di studi, appena ventenne cominciò il proprio apprendistato come cronista.
Divenuto giornalista, prima della Grande Guerra lavorò alla redazione romana del Messaggero. Massone, il G. militò nel Partito socialista italiano (PSI) fino alla fine del 1914, quando, abbracciata la scelta interventista, partì volontario per il fronte. Al termine della ferma militare si riavvicinò al partito; continuava frattanto a scrivere sulle colonne del Messaggero, che abbandonò nel 1921 per fondare un proprio quotidiano, Il Paese, schierato su posizioni chiaramente antifasciste. In occasione della marcia su Roma la sede del quotidiano fu attaccata dalle camicie nere e, in poco più di due settimane, esso venne soppresso. Il G. fondò poi, nel gennaio 1924, il settimanale di satira Il Becco giallo, cui collaboravano C. Alvaro, A. Tilgher e i vignettisti A. Galantara e G. Russo. La rivista subì numerosi sequestri, fino alla soppressione, nel gennaio 1926, in seguito alle leggi speciali sulla stampa.
Tentò quindi di fondare un nuovo periodico, L'Attaccabottoni, ma fu costretto ad abbandonare l'Italia, avendo subito, in contumacia, una condanna dal tribunale di Roma a cinque anni di confino per attività antifascista. Riparato in Francia, proclamandosi ancora socialista (nell'autobiografia, Memorie di un fesso, pp. 11-15, avrebbe raccontato in termini velenosi l'incontro, dopo l'espatrio, con F. Turati), dal 1° ag. 1927 al 1931 il G. diede vita a una nuova serie del Becco giallo, con la condirezione di A. Cianca, e, probabilmente, con i finanziamenti di F.S. Nitti (Tobia, p. 62).
È peraltro accertato (ibid., pp. 62 s.) che lo stesso Turati, nel 1929, si era prodigato affinché in quell'anno, a sostegno dell'attività politica dei fuorusciti, giungessero 10.000 franchi di finanziamento al Becco giallo. Queste le parole contenute nell'editoriale del 1° ag. 1927: "Il Becco giallo è destinato alla diffusione in Italia. Le sue caratteristiche tipografiche, la cernita del notiziario politico, il tono delle sue rubriche sono stati fissati a questo fine. La funzione cui è destinato gli impone quindi di mutare il suo carattere di giornale essenzialmente satirico e di intonarsi alla gravità dell'ora attuale".
Nel mondo del fuoruscitismo il G. aveva una posizione di un certo rilievo: fra il 1927 e il 1928, per conto della Concentrazione antifascista, fu incaricato di condurre inchieste su personaggi indiziati di doppiogiochismo contro il fronte antifascista.
Nel 1927, insieme con C. Berneri, istituì una sorta di servizio di controspionaggio: grazie alla collaborazione di compagni d'esilio, il G. e Berneri riuscirono a procurarsi lettere di fuorusciti e confidenti infiltrati, smascherando agenti dell'Opera vigilanza repressione antifascista (OVRA) come A. Savorelli e G. Serracchioli, sedicenti esuli repubblicani. Le inchieste del G., comunque, non sempre ebbero successo perché in più occasioni il materiale da lui intercettato riguardava documentazioni già inquinate dall'OVRA stessa per confondere le acque. Tale contributo "spionistico" garantì, tuttavia, alla sua rivista sicuri contributi economici da parte della Concentrazione antifascista, tramite l'intervento di Turati e di T. Di Tella.
Nel 1930 il G. si allontanò dai socialisti e si avvicinò a Giustizia e libertà che, dal 1° marzo 1931 (Tobia, p. 90; ma v. anche Il Becco giallo…, 1972, pp. 16 s.), subentrò nel finanziamento al Becco giallo.
L'appoggio a Giustizia e libertà fu forse strumentale, poiché la rivista del G. si trovava nell'urgente necessità di reperire fondi, in quanto, nel frattempo, il sostegno di Turati veniva scemando: a causa delle crescenti necessità economiche della stampa antifascista all'estero, Di Tella, all'epoca finanziatore delle principali iniziative turatiane, aveva proposto il trasferimento a Buenos Aires del Becco giallo (e quindi dello stesso G., cui era stata offerta anche la direzione di un quotidiano argentino: cfr. il carteggio Turati - Di Tella, 9 apr. 1928, in Tobia, p. 138); di fronte a questa scomoda opportunità al G. giunse, quindi, bene accetto l'aiuto economico di Giustizia e libertà. Probabilmente i successivi dissidi con l'organizzazione e con i Rosselli prosciugarono rapidamente anche questa fonte di finanziamento, obbligandolo, nel 1931, alla chiusura del periodico.
Sconfortato dalle difficoltà della condizione di esule e privo di risorse economiche, il G. divenne allora facile preda per gli agenti dell'OVRA che operavano fra i fuorusciti. Nel marzo 1933 gli fu offerto del denaro, da parte del governo italiano, perché pubblicasse le proprie memorie di antifascista deluso (Memorie di un fesso, Paris 1934; 2ª edizione accresciuta, Milano 1941).
Nel libro il G. derideva se stesso per aver sprecato il proprio tempo in una causa persa, quale quella dell'antifascismo in esilio; ma il vero bersaglio polemico del suo livore, nonché principale obiettivo dei suoi finanziatori occulti, era l'ambiente del fuoruscitismo antifascista. Le Memorie di un fesso, uscite per la prima volta in Italia su disposizione della Direzione generale di Pubblica Sicurezza, ebbero ben tre successive edizioni in una versione ampliata rispetto all'edizione francese (cfr. Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggi riservati, b. 51, dove è contenuta una copia delle bozze di stampa del libro).
Il coinvolgimento del G. con il regime e la sua rottura con il fronte antifascista all'estero divennero palesi con l'uscita, nel luglio 1934, sempre grazie a sovvenzioni governative, di un'altra rivista, Il Merlo (sottotitolo "Fischia e se ne infischia una volta la settimana"), il cui scopo principale era denigrare i membri della Concentrazione antifascista attraverso la pubblicazione di documenti scandalistici, apocrifi e false corrispondenze.
A fornire le direttive da Roma era il fiduciario del regime L. Bini, che indirizzava di fatto la linea del periodico. Obiettivo della rivista, cui collaboravano pubblicisti legati direttamente ai servizi segreti (come l'ex dirigente veneto del Partito socialista unitario S. Barro e il repubblicano C. Puglionisi), era soprattutto quello di infrangere la coesione della Concentrazione all'estero, calunniandone i membri e accusandoli di essere manovrati e pagati dal regime. Come rileva M. Franzinelli (p. 300), "per un tipico meccanismo di empatia il giornalista rovesciava sugli avversari accuse ed epiteti che gli si sarebbero bene adattati: camaleontismo, tradimento, utilizzo di fondi neri, ecc.". Fra i collaboratori, dal 1936, figurò anche l'ex sindacalista rivoluzionario A. Labriola.
Il Merlo chiuse i battenti nel 1937, perché l'attività del G. come agente provocatore stava diventando troppo scoperta. Che l'obiettivo della sua attività giornalistica fosse la diffusione di notizie tendenziose apparve evidente nel 1937, in occasione dell'omicidio di Carlo e Nello Rosselli.
Il G. diede subito una versione manipolata dell'evento, presentandolo prima come una vendetta comunista causata da dissidi con i membri di Giustizia e libertà in Spagna, poi come un regolamento di conti fra i due fratelli e alcuni contrabbandieri di armi. Tentò, infine, di accreditare una terza tesi che negava, comunque, qualunque coinvolgimento italiano, e segnatamente del regime, nella vicenda.
La stampa del fuoruscitismo (Nuovo Avanti, Giustizia e libertà) lo accusò di fare opera di disinformazione per conto dell'OVRA; il G. respinse le accuse sulle pagine della Tribuna d'Italia (18 sett. 1938), il nuovo settimanale che era riuscito a fondare, con l'aiuto di sussidi governativi, all'inizio del 1938.
Che i finanziamenti provenissero da Mussolini allo scopo dichiarato di favorire i rapporti italo-francesi, lo scrisse lo stesso G. nel fondo del primo numero, il 2 genn. 1938, schierandosi così ufficialmente con il regime fascista.
La vita del periodico, tuttavia, fu breve: il G., espulso dalla Francia il 18 luglio 1938 perché pericoloso per la sicurezza pubblica, emigrò in Belgio e Lussemburgo, ove continuò a dirigere la rivista, che chiuse, infine, nel settembre dello stesso anno. Rientrato in patria nel dicembre successivo e protetto da R. Farinacci, dopo aver chiesto invano (1940) la tessera del Partito nazionale fascista, collaborò, dal 1941, al periodico Regime fascista con lo pseudonimo di Elio Brando; lavorò, poi, per il ministero della Cultura popolare all'allestimento di programmi radiofonici, curando nel 1942-43, per l'Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR), la trasmissione dal titolo "I cinque minuti del signor X".
Tale attività di propaganda radiofonica si interruppe solo con il 25 luglio 1943, quando, dando prova di notevole tempismo politico, tentò di riciclarsi: prima, per breve tempo, come antifascista badogliano, poi progettando la formazione di un movimento socialriformista. Contemporaneamente manteneva, comunque, il ruolo di confidente della polizia. Arrestato per collaborazionismo il 27 luglio 1944 dalle forze militari alleate, fu rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, quindi internato nel campo di concentramento della certosa di Padula; riacquistò la libertà il 15 ag. 1945.
Per discolparsi dalle accuse mossegli e giustificare quell'ennesimo ambiguo episodio della propria biografia, il G. scrisse un volume di memorie (Io spia dell'OVRA… Romanzo politico dal taccuino di un fesso, Roma 1946, v. in partic. le pp. 149 ss.), operazione editoriale che fu, commenta Franzinelli, un "azzardato e fortunato tentativo di depotenziamento - mediante un gioco d'anticipo - delle rivelazioni dei legami finanziari e informativi intrattenuti occultamente con apparati riservati del regime" (p. 430).
Nel dopoguerra fu su posizioni di destra; il 2 apr. 1946 fondò una nuova rivista, vicina ai monarchici, Il Merlo giallo, che già nel titolo rivendicava come un merito il passato del suo direttore e che gli sopravvisse (fu pubblicata fino al 22 genn. 1957).
Sotto il logo di "Merlo giallo" pubblicò il volume La terza posizione. Messa a punto del "Merlo giallo" sull'attuale situazione politica (Roma s.d.), con cui si inseriva nel dibattito politico, a sostegno della tesi, caratteristica di alcuni settori della Destra, che rivendicava l'adesione a una terza via tra i due blocchi contrapposti nella guerra fredda.
Il G. morì a Roma il 9 apr. 1952.
Fonti e bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2393, f. personale; Ministero dell'Interno, Direz. gen. Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, 1928, b. 156 (C.2), f. Concentrazione antifascista - Affari generali; Ibid., 1929, b. 8, sez. I, f. Concentrazione antifascista, J4-1, Affari generali; Ibid., Divisione Polizia politica, b. 91, f. Complotto Cianca-Lattullo; b. 60, f. Complotto Miglioli-Menapace-Giannini; b.17, f. Belgio - Fuorusciti e sovversivi; G. Leto, OVRA. Fascismo-antifascismo, Bologna 1951, p. 42; A. Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari 1953, ad indicem; Esilio e morte di F. Turati (1926-1932), a cura di A. Schiavi, Roma 1956, p. 59; R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano 1962, p. 53; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino 1965, p. 125; E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma 1967, I, p. 506; II, p. 181; Il Becco giallo. Dinamico di opinione pubblica (1924-1931), a cura di O. Del Buono - L. Tornabuoni, Milano 1972; C. Puglionisi, Sciacalli! Storia dei fuorusciti, Milano 1972, p. 149; S. Fedele, Storia della Concentrazione antifascista, 1927-1934, Milano 1976, pp. 38, 56; N. Tranfaglia - P. Murialdi - M. Legnani, La stampa italiana nell'età fascista, Bari-Roma 1980, pp. 282 s., 292; B. Tobia, Scrivere contro. Ortodossi ed eretici nella stampa antifascista dell'esilio, 1926-1934, Roma 1993, pp. 62, 72, 91, 99, 138; M. Franzinelli, I tentacoli dell'OVRA, Torino 1999, ad indicem.