GERARDI, Alberto
Nacque a Roma il 18 ag. 1889 da Antonio e da Adelaide Lilli. Sin da giovanissimo apprese la lavorazione dei metalli nella bottega paterna, erede di una attività condotta da varie generazioni. La sua naturale inclinazione per l'arte favorì l'iscrizione ai corsi di disegno e di plastica presso la scuola serale di via S. Giacomo, quindi a quelli di plastica e di architettura al Museo artistico industriale di Roma, ove fu allievo di D. Cambellotti. Nel 1912 iniziò a insegnare arti applicate all'istituto dei fratelli delle scuole cristiane di Roma.
Il suo attento studio del passato è provato, tra l'altro, dall'intervento compiuto nel 1920 nei sotterranei della basilica Ulpia dove ricostruì, con materiali vari, un ambiente romano dedicato a Dioniso.
Il lavoro venne definito Una meravigliosa riproduzione di storia e di arte nel titolo dell'articolo apparso su La Tribuna dell'8 dic. 1920. Questo scritto (non firmato) fornisce anche una descrizione analitica dell'intervento e segnala che, su disegno del G., i mobili vennero realizzati dalla ditta Negrini-De Nicola e le ceramiche da Vittorio Saltelli. Dalla medesima fonte si sa che all'epoca il G. era apprezzato quale "un vero genio del ferro battuto" ed era noto, in particolare, per leggii francescani e medicei, per candelabri e lampadari, connotati da elementi floreali e zoomorfi, con un andamento lineare fluido di ascendenza liberty ma privo di sofisticati virtuosismi.
Contemporaneamente il G. eseguì bassorilievi a sbalzo in lamina di ferro o rame dal modellato morbido, memore di M. Rosso, e dai volumi ritmicamente composti e luministicamente articolati, come si nota nel Ritratto del poeta e nel Ritratto di Lucio, entrambi del 1920, conservati in collezione privata a Roma e presenti nello studio monografico di Maltese del 1964 (al quale si rimanda per le riproduzioni della maggior parte delle opere). Dopo aver partecipato nello stesso anno alla Mostra di arte sacra al palazzo reale di Venezia, nel 1921 fu invitato alla I Biennale romana e alla Mostra antologica d'arte italiana alla galleria Pesaro di Milano. In quel periodo realizzò oggetti per la Società arte italiana moderna voluta da Maria Monaci Gallenga. Nel 1923 fu chiamato a insegnare arte del metallo al Museo artistico industriale di Roma, per il quale svolse negli anni un lavoro di grande rilievo.
Il G. fu impegnato sia come collaboratore del presidente Luigi Serra nel riordino delle collezioni del Museo in via Conte Verde (1934) sia, soprattutto, come direttore dei corsi professionali (dal 1932) e, quindi, come direttore dell'istituto stesso - divenuto, nel frattempo, istituto statale d'arte - che lasciò nel 1959 per raggiunti limiti d'età. Tramite un'intelligente e avveduta azione, egli, con il suo alto magistero, non solo seppe trasmettere la sua sapienza tecnica e la sua sensibilità formale ad allievi quali L. Guerrini e C. Lorenzetti, ma, con un'oculata gestione amministrativa, riuscì a convogliare nella scuola illustri artisti, storici dell'arte e docenti vari.
Il 1923 è un anno cruciale nel percorso espositivo e critico del Gerardi. Alla galleria Pesaro di Milano presentò Ferri battuti e ferri sbalzati, come recita il titolo della personale presentata da un testo di G.U. Arata: espose una lampada da tavolo, un lampadario con motivi a rami d'ulivo e vetri di Murano, arnesi per camino, un portafiori con elementi desunti dal caprifico e altro ancora.
Significativo è il giudizio espresso nella recensione di C. Tridenti (1923) che rileva il "valore intrinseco, di contenuta poesia, di osservazione, di aderenza alle necessità della materia e alla sostanza della vita" di queste opere apparentemente umili, vicine a "quelle create dagli antichi artefici del ferro" e a "quanto di meglio i moderni hanno prodotto nel campo dell'arte pura, separata oggi, per un'assurda distinzione di categoria, dall'arte decorativa o applicata".
Il G. operò in un contesto storico alimentato dal dibattito critico sul rapporto tra arte pura e arte applicata, sull'opportunità di una sinergia tra ideazione ed esecuzione che evidenzia, tra l'altro, l'esigenza di una riforma dell'istruzione artistica finalizzata a una diversa qualificazione estetico-funzionale della realtà culturale e produttiva e a stimolare doti creative congiuntamente alla conoscenza dei materiali e all'abilità fabrile. Il G., artiere e artista, compenetrando proficuamente pratica, creatività e didattica, sviluppò una positiva interazione tra arte pura e arte applicata al di là di qualsiasi concezione discriminatoria con una ricerca tesa "a dissolvere la materia nella luce" (Maltese, 1964, p. 8).
Quasi per ribadire e corroborare la necessità di una maggiore connessione tra invenzione e produzione e di un rapporto più efficiente tra i diversi settori dell'arte, il G., insieme con altri artisti, espose le proprie opere accanto a quelle delle botteghe del cuoio, degli "artieri tessili" nella sezione dedicata all'artigianato, allestita nel 1928 a Roma nell'ambito della XCIV Esposizione della Società degli amatori e cultori di belle arti.
Intenso fu, nel frattempo, l'iter espositivo del G.: fu presente alla I Biennale internazionale d'arte decorativa di Monza del 1923, nella sezione romana, con un lampadario e torciere in ferro battuto e alcuni sbalzi in rame e in ferro, ancora con assonanze liberty: C. Carrà (1923) ne evidenziò il singolare equilibrio tra referenzialità naturalistica e sua trascendenza, l'organica corrispondenza tra idea e realizzazione. Negli anni 1925, 1927 e 1930 partecipò nuovamente alle esposizioni di Monza. Aderì alle iniziative dell'Ente nazionale artigianato e piccole industrie (ENAPI). Fu invitato nel 1926 alla Exhibition of modern art, mostra inaugurata a New York, quindi itinerante negli Stati Uniti. Nel 1933 alla Triennale di Milano ricevette il gran premio della giuria internazionale.
In occasione dell'incarico affidato nel 1925 a Cambellotti di decorare il villino Pallottelli a via Nomentana a Roma, il G. eseguì i ferri battuti (cancellata, cancello, ringhiera della scala interna, lampade: De Guttry - Maino - Quesada, ripr. p. 120) progettati dal maestro, che incise fortemente sulla sua formazione. Da Cambellotti il G. assunse, tra l'altro, l'imprescindibile compenetrazione di funzione e ornamento, l'inderogabile aderenza alla specificità delle singole materie, il rigoroso possesso delle relative tecniche di lavorazione e la propensione a un fare sintetico e in qualche modo astrattizzante.
Nell'ambito della dominante corrente novecentista e del realismo magico, il G. elabora un suo linguaggio, permeato di riferimenti colti, teso a essenzializzare le forme, a semplificare i volumi con accenti di contenuto arcaismo e con una diffusa vibrazione luministica. La Cista in rame battuto a martello (1928), il Candelabro (1928) e la scultura calamaio Gli scoiattoli (1933), in ferro forgiato a fuoco, costituiscono alcuni esempi di tale indirizzo. Analogamente nei suoi raffinati disegni degli anni Trenta, a penna d'oca o a punta d'argento (animali, figure umane, ritratti), egli traspone in una dimensione sospesa l'immagine isolata, costruita con segni lievi e minuti, talora più plasticamente chiaroscurati, o puristicamente definita da una linea sottile o, più tardi, sfumata con tratti pulviscolari nel chiarore del foglio a cercare impalpabili evanescenze atmosferiche, affini a certi esiti di Scipione (G. Bonichi) e di M. Mafai.
Suo è il marchio con l'aquila per l'Enciclopedia Italiana, fondata da G. Treccani, pubblicata a partire dal 1929. Nel 1931 il G. espose due disegni alla Quadriennale nazionale d'arte di Roma (prese parte anche alle edizioni del 1935, 1939, 1948, 1951, 1955, 1959). Nel 1932 si registra, oltre a una personale nella galleria di palazzo Gagnoni Schippisi di Firenze, la partecipazione alla Mostra dell'Enciclopedia e alla I Mostra del libro religioso d'arte e d'arte decorativa al palazzo Doria di Roma. Componente della giuria di accettazione eletta dagli artisti per la II Quadriennale (1935), vi allestì una sala personale con tre sculture, cinque disegni a penna e sette a punta d'argento, introdotti da un suo scritto nel quale ribadì la sua "preparazione artigiana" e la passione per "l'arte del disegno", che intese "come osservazione di valori tonali dai quali scaturiscano le forme". L'anno seguente partecipò alla Biennale di Venezia, dove tornò a esporre anche nel 1942, 1948, 1950 e 1956. Inoltre, nel 1938 espose nella mostra Anthology of contemporary drawings allestita alla Cometa di Roma e nella sede di New York.
Negli anni Trenta prese parte ad alcune Sindacali del Lazio; nel 1934 alla II Mostra internazionale d'arte sacra di Roma. Risale al 1933 la commissione di forgiare un fregio in ferro e argento, destinato a costituire la Custodia della sacra roccia dell'agonia (1935) nella basilica del Getsemani a Gerusalemme: nell'originalità dell'invenzione, correlata pure all'inserimento nel contesto, di grande efficacia simbolica e formale è il contrasto tra le ferrigne, aspre corone di spine intrecciate a comporre il recinto e il bagliore argenteo delle colombe dalle ali spiegate, modulate dalla luce. Il G. fu spesso impegnato nell'ambito dell'arte sacra, oggetto in quegli anni di vivaci e polemiche discussioni. Da uno studio in gesso del 1936 (Maltese, 1964, fig. 12), modellato con graduata vibrazione materico-luministica nella posa dinamica protesa in avanti, deriva la statua di S. Teresa del Bambin Gesù per l'omonima chiesa di Anzio. L'opera, realizzata negli ultimi anni Trenta in terracotta e in grande dimensione, in una versione e fattura di più raggelata solennità, venne distrutta durante la guerra. Più tardi, la stessa tematica, ma in bronzo, fu riproposta, con positive varianti, per il collegio pontificio di Propaganda Fide di Roma.
Nel 1946 il G. consegnò a Pio XII la Portella, in oro sbalzato, del ciborio del santuario del Divino Amore, donata dai Romani al pontefice, quale "salvatore della città". Nel 1949 fu membro della commissione esaminatrice del concorso per le tre porte di S. Pietro in Vaticano. Agli inizi degli anni Cinquanta sono ascrivibili studi, bozzetti e modelli vari per formato, materia e composizione, talora di più asciutta ed energica intensità plastica, per la scultura del S. Michele arcangelo, mai installata, commissionatagli per sovrastare il lanternino del tiburio della chiesa di S. Eugenio di Roma, dove collocò croci terminali in bronzo.
In altre sculture che datano dalla seconda metà del quinto decennio (Saffo, Ritratto di Carlo Zuccarini, Ritratto di Roberto Melli, Ritratto della contessaCaproni di Taliedo, La dormiente, Simonide di Ceo, in terracotta, cera o bronzo) il G. mostra una acuta capacità di penetrazione psicologica e un efficace controllo formale sostenuto da una cultura di immagine che comprende stilizzazioni arcaizzanti, equilibri strutturali classicheggianti, soluzioni volumetriche di più serrata definizione o di più accidentato trattamento della materia. Ragguardevole è, negli anni Cinquanta, la sua produzione di vasi in rame e di piatti, fermagli, bracciali, candelabri in oro o argento battuto e cesellato: si ricorda, per l'invenzione armonicamente asimmetrica, il Servizio da tè dei cacciatori in argento e avorio (Roma, collezione Costantini).
Una selezione della produzione dal 1941 venne presentata nell'ambito della sala personale, introdotta da un testo di C. Maltese (catal., pp. 60-62), che il G. allestì alla Biennale di Venezia del 1956, ove espose, oltre a nove sculture, cinque lavori di oreficeria (tra cui Gocce, una fibula d'oro battuto e cesellato, della collezione di G.C. Argan) e molti disegni a punta d'argento, quale una Novizia carmelitana del 1948 (collezione M. Sarfatti) e due Ritratti muliebri (1941 e 1942) della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
Accademico di S. Luca dal 1960, l'anno seguente venne nominato accademico dei Virtuosi al Pantheon; nel 1962 il presidente della Repubblica gli conferì la medaglia d'oro al merito della scuola, della cultura e dell'arte.
Il G. morì a Roma il 26 apr. 1965; nell'ambito della Quadriennale romana che si inaugurò alla fine dell'anno vennero esposti diciassette suoi lavori, presentati da un testo di F. Ludovisi (catal., pp. 123 s.).
Personalità schiva e riflessiva, il G., sostenuto da una tensione spirituale e da una intima religiosità, con il suo lavoro meticoloso e paziente, a volte lentamente elaborato attraverso molteplici varianti, ma estraneo a notazioni di banale verismo, è riuscito, con tenacia e rigore, a ricomporre in unità di stile i diversi settori della sua attività, scandita da uno spiccato interesse per la sensibilizzazione luministica della materia.
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