GAMBARA, Alberto (Alberto da Gambara)
, Alberto (Alberto da Gambara). - Nobile bresciano, figlio di Alghisio (stando a un documento edito in Zaccaria, pp. 143 s.), nacque intorno al terzo decennio del secolo XII.
Il G. - la cui famiglia era originaria dell’omonima località del contado meridionale bresciano e possedeva a vario titolo beni di proprietà del monastero di Leno - apparteneva a quell’aristocrazia minore i cui membri vennero coinvolti in prima persona nelle vicende dei Comuni consolari dell’Italia centro-settentrionale.
C. Maggi nella sua Historia de rebus patriae (sec. XVI) lo ricorda console nel 1153, anno in cui venne distrutto Monterotondo, località del territorio bresciano. Fonti più antiche segnalano il G. nel 1156 quando, sempre in qualità di console, partecipò attivamente alla contesa tra Bresciani e Bergamaschi nella rivendicazione del possesso di tre castelli della Val Camonica, non lontani da Lovere.
La controversia, alimentata da una rivalità di vecchia data tra le due città, era scaturita dal fatto che tra il 1125 e il 1126 Giovanni Brusati, un ricchissimo camuno, aveva venduto ad alcuni nobili bergamaschi i tre castelli di Volpino, Coalino (ora Qualino) e Ceretello, suoi possedimenti per antiche investiture feudali come vassallo del vescovo di Brescia. Non è stato definitivamente accertato se il Brusati, prima di vendere i castelli ai Bergamaschi, li avesse offerti all’allora vescovo di Brescia Villano, con diritto di prelazione e se l’offerta fosse stata respinta; è certo comunque che il vescovo Rairnondo, appoggiato dai consoli cittadini nell’ambito della politica di espansione del Comune sul contado, ne rivendicò il possesso nel 1154, quando si recò nel campo di Federico I presso Roncaglia e chiese giustizia all’imperatore, tramite il cancelliere Rainaldo di Dassel. In seguito a una disposizione imperiale a lui favorevole, Raimondo e i consoli bresciani, tra i quali il G., inviarono a Bergamo una delegazione, ma i consoli bergamaschi rifiutarono di restituire i tre castelli. La questione venne risolta dal G. e dagli altri maggiorenti nel 1156 in uno scontro armato a Pontoglio con la conseguente distruzione del castello di Palosco. Il trattato del 21 marzo 1156, sottoscritto nella chiesa di S. Michele, situata tra Mura e Telgate, sancì, infine, il possesso dei tre castelli da parte dei Bresciani.
Dal 1157 in poi il G. partecipò alla lotta del Comune di Brescia contro Federico I; le vicende della sua vita si collegarono quindi a quelle, più generali, delle città padane impegnate nella rivendicazione della loro autonomia istituzionale contro le pretese giurisdizionali dell’imperatore. In virtù di un’alleanza precedentemente siglata tra Milano e Brescia il G. inviò quindi aiuti ai Milanesi impegnati nell’assedio del castello di Vigevano; l’anno successivo, con la discesa del Barbarossa in Italia, i Bresciani affidarono al G. il comando di contingenti armati destinati a soccorrere l’esercito di Milano, ma lo scontro ebbe esito infausto per le sue truppe che vennero sconfitte.
Nel 1160 Federico indisse un concilio a Pavia con l’intento di ricomporre formalmente lo scisma apertosi l’anno prima. La scomparsa di Adriano IV (settembre 1159) aveva infatti portato alla doppia elezione di Rolando Bandinelli, Alessandro III - intento a proseguire l’azione del suo predecessore nella difesa delle prerogative dei Comuni italiani -, e di Ottaviano de Monticelli, che aveva assunto il nome di Vittore IV, sostenuto dalla fazione filoimperiale. Al concilio di Pavia, destinato al fallimento per l’esclusiva presenza dei cardinali scismatici, fu invitato anche il vescovo di Brescia, Raimondo, il quale non volle parteciparvi e fu pertanto scomunicato nel 1161 insieme al G. e agli altri consoli, accusati di accordi segreti con il Bandinelli.
L’opposizione dei Comuni padani alle pretese imperiali fu duramente colpita in seguito alla distruzione di Milano, avvenuta nel marzo 1162 a opera dell’esercito del Barbarossa e anche le città alleate dovettero ben presto giungere a un accordo con il vincitore. L’8 apr. 1162 pertanto il G., insieme con gli altri consoli bresciani, si presentò a Pavia dal Barbarossa chiedendo di riconciliarsi con l’imperatore e accettando le dure condizioni di pace imposte.
Il G. ricompare in seguito, sempre in veste di console, nel 1170. Nel 1174 Federico I, nell’intento di infliggere una sconfitta risolutiva alle città italiane a lui ostili, ridiscese in Italia e solo le trattative, svoltesi presso Montebello nel 1175, alle quali partecipò anche il G., scongiurarono uno scontro frontale &a l’esercito imperiale e quello delle città alleate. Quale unico rappresentante del Comune di Brescia, il G. fu presente anche alla stipula della pace di Venezia, siglata nel 1177 &a Federico e i rappresentanti della Lega.
Le fonti ci informano anche su fatti di minore rilievo della sua attività di console: nello stesso anno condannò un certo Guiscardo, che aveva ucciso a tradimento il rivale Bicardo, ordinando che la condanna fosse annotata su una lapide posta sulla porta della chiesa di S. Pietro de Dom. Sempre nel !In il G. chiese ai consoli ferraresi di consentire ai cittadini bresciani il transito sul fiume Po, richiesta che venne accolta favorevolmente.
Dopo questa data non vi sono tracce del suo operato fino al 1186, anno nel quale, sempre in veste di console, accolse a Brescia - tre anni dopo la pace di Costanza - Federico I.
Nel 1188 era a Lodi dove convalidò il giuramento degli abitanti di quella città in base al quale essi non avrebbero venduto né donato a forestieri alcuna proprietà stabile interna alle mura; fonti bresciane lo segnalano di nuovo come console per l’anno 1190.
In occasione di un processo celebrato (1194) per stabilire i diritti dell’abate di Leno su una chiesa di proprietà dei Gambara, il G. fu chiamato a testimoniare in merito alle proprie prerogative di patronato. Dalle carte processuali risulta (Zaccaria, pp. 143 s.) che egli risiedeva in città nei pressi del cosiddetto mercato nuovo.
Il G. morì probabilmente nel 1197 e il suo impegno nelle vicende politiche e istituzionali di Brescia venne proseguito dal figlio Oberto.
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