GALLUZZI, Alberto
Nacque verso il 1330 da Opizzo di Alberto e da Iacopa di Pellegrino da Castel d'Aiano a Bologna o, più probabilmente, nella località di San Lorenzo in Collina, nel primo Appennino bolognese, dove Opizzo deteneva diritti su diverse terre e sul castello che ivi sorgeva. A differenza degli altri rami della consorteria familiare, saldamente ancorati e partecipi della vita cittadina, Opizzo preferiva risiedere nel contado e ivi abitò nel corso della sua giovinezza anche il Galluzzi.
Alla fine del 1360 lo si trova in città dove, insieme con il congiunto Ugolino, venne armato cavaliere dal cardinale Egidio Albornoz nel corso dei festeggiamenti che ne celebrarono l'ingresso in Bologna. Tale investitura corrispondeva pienamente a una reale disposizione per l'esercizio delle armi da parte del G., che durante tutta la sua vita espresse il meglio di sé quando fu chiamato ad azioni militari.
Il primo fatto d'armi nel quale egli ebbe modo di mettersi in luce fu, nel 1363, la conquista del castello di Monteveglio, tenuto dalle truppe di Bernabò Visconti in lotta contro le locali forze guelfe. D'intesa con un abitante del luogo e alla testa di un piccolo gruppo di armati, il G. si impadronì del castello, costringendo i difensori viscontei a rinserrarsi nella rocca dalla quale vennero definitivamente scacciati alcuni giorni dopo, essendo sopraggiunto in aiuto del G. un forte contingente di milizie pontificie.
Per circa una decina d'anni mancano notizie sulla sua attività. Quando, verso il 1370, le fonti recano ulteriori dati, questi concernono i rapporti del G. con Luigi (II) Gonzaga. Non è noto donde abbiano tratto origine tali rapporti, ma essi furono intensi e manifesti: a Bologna il G. agì a lungo e apertamente come una sorta di agente del signore di Mantova, che da lui veniva puntualmente informato degli avvenimenti cittadini e delle notizie giunte in città, con una forte attenzione a quelle dei movimenti delle varie compagnie di ventura.
A rafforzare tali rapporti intervenne il matrimonio del G. con Agostina, figlia di Luigi Gonzaga e vedova di Giacomo dalle Tovaglie. Dal matrimonio nacquero diversi figli, di sei dei quali, maschi, è noto il nome: Opizzo, Giovanni Gallo, Brandaligi, Ludovico, Antonio e Giacomo.
Nel 1375 il G. venne chiamato ad assumere l'incarico di capitano del Popolo a Firenze. Si trovò quindi in una posizione di primo piano nel momento in cui cominciava a prendere consistenza lo scontro di Firenze con lo Stato pontificio - noto come la guerra degli Otto santi -, ma non si sa se vi sia stato un contributo personale del G. alle contemporanee iniziative che condussero molti centri dello Stato della Chiesa, tra i quali Bologna, alla ribellione nei confronti del dominio pontificio. La sua presenza nella città felsinea è attestata solo nel maggio del 1376, quindi due mesi dopo la rivolta che portò alla cacciata del legato pontificio e alla creazione del nuovo regime denominato Signoria del popolo e delle arti. Del nuovo corso della politica bolognese il G. fu un indubbio sostenitore. Nel luglio del 1376 era tra i rappresentanti della città inviati a Rimini ai funerali di Pandolfo Malatesta; agli inizi del 1377 fece parte del primo consiglio deliberativo, detto dei Cinquecento, e nel novembre dello stesso anno venne scelto dagli Anziani e consoli, unitamente a Paolo Cattanei, Giacomo Leo e al dottore di leggi Andrea de' Buoi, quale ambasciatore presso papa Gregorio XI.
La nomina gli venne comunicata mentre si trovava a San Lorenzo in Collina e l'incarico, secondo quanto affermato dallo stesso G. in una lettera a Luigi Gonzaga, non gli giunse gradito. In effetti, i risultati che la missione bolognese avrebbe ottenuto ad Avignone presso il pontefice motivarono appieno la ritrosia del G.; d'altra parte l'attività diplomatica non gli era del tutto congeniale, preferendo agli incarichi di mediazione o di rappresentanza quelli di azione e di responsabilità diretta.
L'occasione per esprimere le sue più significative capacità gli venne offerta due anni più tardi: nel 1379, nominato anziano, fu chiamato a guidare le milizie bolognesi schierate sul territorio di Modena per contrastare il passo alle compagnie di Bernabò Visconti e in tale incarico dette ottima prova di sé. Subito dopo ricevette la nomina a conservatore del Comune e del Popolo di Siena. In una delle sue abituali comunicazioni a Luigi Gonzaga, affermò di avere accettato tale incarico per evitare di rimanere inattivo. Di certo non sembra fosse ben aggiornato sulla intricata situazione di Siena e il suo operato non incontrò il favore dei Senesi che lo giudicarono uomo di scarsa competenza e onestà. In altre città il giudizio su di lui fu invece diverso: Perugia, che lo ebbe quale podestà nel 1380, lo invitò a protrarre per un trimestre il suo incarico. Tornato a Bologna fu nuovamente chiamato a impegni militari e nel 1381 guidò le truppe inviate dalla città a prendere posssesso del castello di Solarolo, ceduto a Bologna da Francesco Manfredi. Nel 1382 fu ancora degli Anziani e consoli, ma questo fu l'ultimo ufficio cittadino ricoperto dal G. che interruppe successivamente ogni rapporto con il governo bolognese.
I motivi di quello che divenne un radicale contrasto sono da ricercare probabilmente nell'azione intrapresa in tale periodo da Bologna per assicurarsi il diretto controllo delle zone di montagna con l'istituzione di nuovi vicariati e il conseguente assoggettamento dei vari centri a vicari nominati dalla città. Tale iniziativa inferse un duro colpo a una struttura di potere che si giovava di antichi vincoli feudali e anche il G. dovette venirne ferito nell'orgoglio, nelle prerogative e, sembra, negli stessi diritti di proprietà esercitati a San Lorenzo in Collina. Ciò lo avrebbe indotto a un drastico mutamento, sino a farne il promotore di una congiura che avrebbe dovuto sottomettere Bologna a Gian Galeazzo Visconti, conte di Virtù. Nella sua iniziativa il G. coinvolse, a partire dal dicembre 1388, prima il conte Ugolino da Panico, forse il vero bersaglio delle misure antifeudali adottate da Bologna, quindi Giovanni Isolani, che aveva un forte seguito tra i popolari, Melchiorre da Saliceto e, attraverso quest'ultimo, Bartolomeo da Saliceto, all'epoca il più famoso dottore dello Studio.
Ottenuto l'assenso dei primi congiurati, il G. si recò a Mantova e, tramite il cognato Francesco (I) Gonzaga, informò il conte di Virtù delle condizioni disagiate di Bologna, colpita da una forte carestia, sollecitandolo ad agire militarmente contro la città. Il Visconti non accolse immediatamente l'invito ad agire e il G., che nel frattempo aveva ricevuto l'incarico di podestà in Pisa, vi si recò, promettendo ai congiurati che avrebbe comunque mantenuto i contatti con loro e col conte di Virtù. Dalla città toscana indirizzò in effetti varie lettere a Giovanni Isolani e a Melchiorre da Saliceto i quali, per parte loro, allargarono progressivamente le fila della congiura in città, sino a trasformarla in una sorta di azione politica, finalizzata ad attribuire la signoria al conte di Virtù non attraverso un'azione militare, come suggerito dal G., bensì per mezzo di un voto del Consiglio deliberativo. Nel settembre del 1389, per iniziativa di Ugolino da Panico, prese consistenza un nuovo piano militare che ebbe l'avallo del Visconti e nel quale era previsto anche un impegno del G. che stava per terminare il proprio incarico a Pisa.
L'ampiezza della congiura, la varietà delle iniziative poste in essere, il lungo periodo trascorso dal primo disegno approntato dal G. dovevano avere reso ormai chiaro al governo bolognese quanto si stava tramando e nel novembre del 1389 gli Anziani e consoli passarono all'azione. Alcuni congiurati - Giovanni Isolani, Melchiorre da Saliceto e Ugolino da Panico - furono arrestati e giustiziati; Bartolomeo da Saliceto ebbe salva la vita, ma venne indotto ad abbandonare la città; il G., sfuggito all'arresto, fu condannato a morte in contumacia e la sua effigie, quale traditore, venne dipinta sul palazzo pubblico. Nel maggio del 1390 riparò presso l'esercito visconteo, mentre a Bologna il governo prese le usuali misure punitive, confiscando i suoi beni e distruggendo le sue case, poste nella "cappella" di S. Isaia.
Nel settembre dello stesso anno moriva la moglie, Agostina Gonzaga; è probabile che il G. e i figli, che avevano anch'essi abbandonato la città e il territorio bolognese, si fossero stabiliti a Mantova, ma il G. non era uomo da rimanere a lungo inattivo. Nel 1392, al soldo di Gian Galeazzo Visconti, fu al comando di un contingente di 100 lance e nel 1397 accettò la nomina a podestà di Rimini. Morì in questa città, nel luglio del 1397, mentre esercitava tale ufficio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune, Governo, Provvigioni "in capreto", III.B, c. 309; Curia del podestà, Sententiae, b. 27, reg. Podestà Antonio dei conti di Romena, cc. 8, 9; Riformatori degli estimi, s. I, reg. 10/2, c. 111; reg. 11, c. 53; Venticinquine, S. Isaia, b. 8, anno 1343; Ufficio dei Memoriali, voll. 207, c. 292v; 320, c. 94; Studio Alidosi, Memorie ed epitaffi, s.v.Galluzzi; Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, E.XXX, b. 1140; F.II.8, b. 2375; Cronache senesi, a cura di A. Lisini - F. Jacometti, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XV, 6, p. 676; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 1, vol. II, ad ind.; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, ad ind.; Chronicon gestorum… civitatis Bononie, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXIII, 2, ad ind.; C. Ghirardacci, Historia dei vari successi d'Italia e particolarmente della città di Bologna, Bologna 1669, ad ind.; G.B. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, III, Bologna 1870, p. 101; G. Gozzadini, Delle torri gentilizie di Bologna…, Bologna 1875, pp. 261, 264; L. Tonini, Rimini nella signoria dei Malatesti, I, Rimini 1880, p. 270; A. Palmieri, La congiura per sottometter Bologna al conte di Virtù, Bologna 1916, passim; P. Litta, Le famiglie celebri d'Italia, s.v. Gonzaga, Luigi II.