FONTANA (della Fontana), Alberto
Discendente da una famiglia capitaneale piacentina, il F. giocò un ruolo essenziale nella politica interna ed esterna del Comune di Piacenza, nel corso di una lunga carriera che abbraccia gran parte del sec. XIII. Resta oscura la sua parentela con Alberto Enrico Fontana, giudice e podestà di Milano nel 1209, poiché mancano documenti privati che permettano di tracciare la genealogia della famiglia.
Appare per la prima volta nelle cronache piacentine in occasione dei disordini che segnarono gli anni 1233-1235, quando fu alla testa del popolo piacentino, a fianco di Guglielmo Landi. Fece parte della fazione capeggiata da quest'ultimo, che tentava di far schierare il Comune di Piacenza al fianco di Federico II, abbandonando l'alleanza milanese. Dopo aver provocato l'espulsione dei milites della città, Guglielmo Landi fu bandito e il F. lo seguì nell'esilio. Ma anche in esilio il F. rimase attivo e non esitò a chiamare Enzo, figlio naturale di Federico II, per andare a devastare il contado di Piacenza nel 1246.
Durante la "rivoluzione" che scoppiò a Piacenza nel 1250, quando la città passò dalla parte guelfa alla parte ghibellina, il F. poté tornarvi. Molto presto si allentarono però i suoi legami con il successore di Guglielmo Landi, Ubertino Landi, che si affermò come luogotenente di Oberto Pelavicino alla testa del governo della città, e nel 1257 il F. fu uno dei capi della congiura che portò all'espulsione da Piacenza di Oberto Pelavicino e Ubertino Landi. Il F. approfittò della situazione per farsi eleggere podestà di Piacenza e divenne da questo momento uno dei capi politici più importanti della città.
Gli anni 1250-1260 segnarono nella storia di Piacenza una svolta fondamentale nella lotta tra le grandi famiglie, sia di origine terriera sia di origine mercantile. Vi partecipavano i Fontana, anche se resta oscuro il ruolo giocato dai rami della famiglia che si dedicavano alle attività commerciali, gli Arcelli e i Malvicini. Il 7 febbr. 1261 il F. fu, tuttavia, cacciato dalla città e Piacenza tornò sotto il governo di Oberto Pelavicino fino al 1266.
Il 3 dic. 1266 il F., appoggiato alla sua fortezza di Pescremona, era divenuto nuovamente così forte da poter cacciare i suoi avversari da Piacenza. Tuttavia non resistette a lungo; due giorni dopo venne espulso di nuovo dalla città. Nel 1267 fu podestà a Parma. L'espulsione definitiva di Oberto Pelavicino nel 1268 e l'esilio del suo fedele luogotenente Ubertino Landi gli restituirono una posizione eminente nella città, insieme con gli Scotti e i Pallastrelli. Nel 1269 fu alla testa degli "intrinseci", dei quali fu podestà, per assediare la fortezza di Bardi, dove si era rifugiato Ubertino Landi. Nello stesso anno fu chiamato come podestà a Bologna, dove il suo governo incontrò opposizione. In effetti venne incarcerato per frode, ma fu poi assolto. Tornato a Piacenza, entrò in conflitto con Giovanni Pallastrelli, perché come capo del partito popolare rifiutò di entrare in guerra con il Comune di Pavia. Le sue reticenze si comprendono facilmente se si considera che il Comune di Pavia era allora retto da esponenti del partito popolare e che i possedimenti fondiari dei Fontana erano contigui al contado di Pavia. Giovanni Pallastrelli, capo del partito aristocratico, erede della societas militum, premeva per la guerra contro Pavia, ma nella situazione del 1270 il F. portò avanti le posizioni tradizionalmente ghibelline della famiglia, di fronte al guelfismo del Pallastrelli. L'alleanza con i capi del partito popolare di Pavia ebbe però conseguenze gravi per la sua carriera politica.
Nel 1271 il governo comunale di Piacenza si trovò di fronte ad una decisione importante, cioè se accettare o rifiutare l'alleanza che gli proponeva Carlo d'Angiò. Dal 1264 tutta l'Italia peninsulare scivolava a poco a poco in campo guelfo e le vittorie di Carlo d'Angiò, prima su Manfredi e poi su Corradino, affermavano la sua potenza.
Anche Piacenza si trovò costretta a stipulare un trattato di alleanza con il sovrano. La discussione vide contrapposti in città due partiti, uno guidato dagli Scotti, favorevole a Carlo d'Angiò, l'altro ostile all'alleanza, capeggiato dal Fontana. Gli Scotti, grandi banchieri guelfi, intendevano trarre il migliore profitto per le loro fortune dal fatto che il papa Gregorio X, di origine piacentina, li proteggeva e apriva i grandi mercati occidentali. Il F. temeva invece di vedere il sovrano, divenuto signore della città, insediarvi i suoi uomini che, stabiliti nel contado su posizioni fortificate, avrebbero minacciato le posizioni dei Fontana di fronte a Pavia, rimasta favorevole al partito ghibellino. Il F. intendeva restare fedele all'alléanza che lo legava ai capi del partito popolare di Pavia, e non esitò perciò a far fallire un tentativo di pacificazione, voluto dai milites di Pavia nel 1276.
Se si crede al racconto dell'anonimo ghibellino, l'ostilità del F. nei riguardi dei Pallastrelli e degli Scotti, favorevoli alla conclusione del trattato con Carlo d'Angiò, sarebbe stata causata da questioni matrimoniali. Le motivazioni indicate dal cronista anonimo nascondono in verità ragioni di fondo molto più serie. I Fontana, rappresentati dal F., si opposero a coloro che disponevano di un solido impianto commerciale, sia in Occidente sia sul Mediterraneo orientale e a Genova come gli Scotti. Inoltre il F., che nei momenti in cui dominava la città si comportò come un vero tiranno, aveva perso le simpatie del ceto sociale sul quale gli Scotti costruivano la loro fortuna politica, le corporazioni e l'ambiente dei mercati della banca piacentina guelfa, riunito a partire dal 1280 intorno ad Alberto Scotti.
Tuttavia ci fu un riavvicinamento tra il F. e Alberto Scotti che sposò una figlia dei Fontana. Sembra che lo Scotti avesse accettato questo matrimonio per assicurarsi l'appoggio di un esponente della nobiltà fondiaria ben insediato nella parte occidentale del contado di Piacenza, rivale per il dominio della Val Tidone del grande esule Ubertino Landi, padrone della fortezza di Zavattarello, che era uno dei punti strategici per sorvegliare le strade che da Pavia si dirigevano verso il contado di Piacenza e il grande porto di Genova. Alberto Scotti considerava importante l'alleanza con i Fontana per controllare ogni mossa ostile da parte di Pavia, dove il F. conservava relazioni con i capi del partito popolare. Quando, nella primavera 1290, nel corso di un nuovo conflitto tra i due Comuni rivali di Pavia e Piacenza, le operazioni militari andarono male per le truppe piacentine, il F. si trovò al fianco del genero per permettergli di stabilire la sua signoria sulla città di Piacenza e di bandire un certo numero di uomini appartenenti a famiglie rivali. Tuttavia l'alleanza tra i due non durò a lungo. Quando la situazione militare sulla frontiera con Pavia si era consolidata con la fondazione della fortezza di Castel San Giovanni in pieno territorio dei Fontana, e l'influenza del F. sull'evoluzione degli avvenimenti sembrava oramai di secondaria importanza, Alberto Scotti non esitò a sbarazzarsi di un alleato ingombrante, bandendolo nel 1291.
Secondo i cronisti Guerino e Giovanni Musso, il F. sarebbe morto di dispiacere nel febbraio 1292.
Fonti e Bibl.: J. de Mussis, Chronicon Placentinum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVI, Mediolani 1734, coll. 461-482; Corpus Chronicorum Bonomensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, 1, 2, pp. 117, 177 s.; Chronica tria Placentina, a cura di B. Pallastrelli, in Monumenta historica adprovincias Parmensem et Placentinam pertinentia, XI, Parmae 1859, ad Indicem (Anonimo ghibellino e Guerino); L. Mensi, Diz. biogr. piacentino, Piacenza 1899, p. 186; E. Nasalli Rocca, Vescovi, città e signori nell'Oltrepò pavese, in Arch. stor. lomb., LX (1933), pp. 427-446; Id., Per la storia sociale del popolo italiano. Il consorzio gentilizio dei Fontanesi signori della Val Tidone, in Arch. stor. per le prov. parmensi, s. 4, XVI (1964), pp. 195-213; P. Castignoli, L'alleanza tra Carlo d'Angiò e Piacenza e la nuova costituzione del Comune, in Boll. stor. piacentino, LXX (1974), pp. 1-38; P. Racine, Plaisance du à Xe la fin du XIIIe, siècle. Essai d'histoire urbaine, Lille-Paris 1979, III, pp. 1217, 1221, 1235, 1254, 1257, 1278, 1280 s., 1305, 1345, 1355 s., 1363 s., 1366; Id., Storia di Piacenza, Piacenza 1984, pp. 280 ss., 286, 335; Id., Una grande figura di signore italiano: Alberto Scotto, in Boll. stor. piacentino, I-XXVI (1981), pp. 143-185; J. Heers, Les partis et la vie politique dans l'Occident medieval, Paris 1981, p. 103; P. Racine, Un fuoruscito de l'Italie septentrionale au XIIIe, siècle: Uberto Landi, in Exil et civilisation en Italie (XIIe-XVIe siècles), a cura di J. Heers - C. Bec, Nancy 1991, pp. 33-47.