CASALOLDO, Alberto di
Uomo politico bresciano, nacque probabilmente intorno al 1170 da una famiglia di conti rurali, i comites di Casaloldo, delle cui vicende anteriori al sec. XII poco si conosce.
La prima notizia sicura ad essi relativa è contenuta in un documento veronese del 1138 nel quale vengono citati Azzone (I) e Vizzolo, due dei tre figli del conte Laffranco. Sede della famiglia era il piccolo centro di Casaloldo (Mantova), che perdettero nel 1149 quando, nel corso della lotta per il possesso di Asola sulla riva sinistra del Chiese (Mantova), i Bresciani diroccarono il loro castello e li costrinsero a rifugiarsi in Mantova. Qui i conti di Casaloldo finirono con lo stabilirsi - abitavano nel quartiere di S. Iacopo con i conti di Riva -, acquistando la cittadinanza e stringendo legami di parentela con le principali famiglie locali.
Ritornati nel loro castello di Casaloldo durante il lungo regno di Federico I, i conti, seguaci fedelissimi dell'imperatore, cercarono di farsi amici i loro antichi sudditi per ottenere l'appoggio contro le mire espansionistiche della città di Brescia e contro la lega lombarda. Ma i Bresciani, dopo aver distrutto Montechiaro, un'altra roccaforte dei conti, avviarono trattive con gli uomini e con il Comune rurale di Casaloldo. Nel 1179 i consoli di Casaloldo acquistarono da privati alcuni terreni nella stessa località, ceduti poi al Comune di Brescia perché vi fosse eretto un castello con intorno case a vantaggio di coloro che avessero voluto andare ad abitarvi. Il 16 marzo 1180 il Comune di Brescia concesse agli uomini di Casaloldo di tenere mercato presso il nuovo castello. Era un fiero colpo inflitto contro l'autonomia e il potere dei conti, ai quali, per riconquistare l'antica influenza, non rimase che l'impegno politico all'interno delle città di Mantova e di Brescia, come capi delle fazioni legate all'Impero.In un simile contesto politico viene per la prima volta ricordato dalle fonti il C.: l'8 giugno del 1199 fu presente in Mantova alla cerimonia in cui Corrado Gonzaga venne nominato ambasciatore a Padova con l'incarico di raggiungere un accordo di alleanza con quella città. Esponente, in quanto capo della famiglia dei conti di Casaloldo, di uno dei partiti che allora si contendevano la supremazia in Brescia, quello moderato - al quale aderivano il popolo minuto ed alcune potenti consorterie nobiliari: Casaloldo, Confalonieri, Prandoni, Martinengo - e fautore quindi di un programma di pace e di compromesso, il C. osteggiava la politica di alleanza ad ogni costo con Milano e di guerra contro le città di Bergamo e di Cremona perseguita dal partito intransigente allora al potere col sostegno del popolo grasso e di alcune grandi famiglie, quali i conti di Palazzo e i conti di Montichiari. Quando Narisio di Montichiari costituì, mentre l'esercito bresciano si trovava all'assedio di Soncino, la "societas Sancti Faustini", una consorteria militare di cui intendeva servirsi per la conquista del potere, anche il C. aderì alla "societas militum" che, subito costituitasi a Soncino tra i soldati bresciani, rientrò in Brescia per rovesciare con la forza Narisio. Il tentativo fallì, soprattutto grazie all'intervento del vescovo, Guido di Palazzo, e all'ingresso in città di fedeli di quest'ultimo provenienti dalle valli. Narisio di Montechiari fu creato podestà e bandì da Brescia, con la "societas militum", i suoi avversari. Espulso anche egli, come gli altri capi dell'opposizione, il C. compare tra gli esponenti della "societas militum" - ora detta "parte Brucella" -, che il 9 dic. 1200 strinsero a Castel Robecco un patto, "concordia", col Comune di Cremona: per esso i consoli dissidenti di Brescia, i "consules militum", ed i rappresentanti di una ventina di famiglie nobiliari bresciane si impegnavano ad aiutare Cremona contro Crema e a non partecipare ad azioni militari contro Bergamo, Pavia, Panna; mentre il Comune di Cremona prometteva di appoggiare la parte Brucella nella sua lotta contro la fazione capeggiata da Narisio. La "concordia" giurata a Castel Robecco non tardò a mostrare i suoi effetti: il 9 ag. 1201, presso Calcinate, i Cremonesi con l'aiuto di tutti i fuorusciti bresciani e di reparti bergamaschi e mantovani riportarono una completa vittoria sugli avversari: lo stesso carroccio di Brescia cadde nelle loro mani e venne portato a Cremona. La pace tra le due città lombarde venne firmata nel novembre di quello stesso anno: anche il C. poté rientrare in Brescia insieme con gli altri sbanditi, e subito si inserì d'autorità nella lotta politica. Sfruttando il malcontento della cittadinanza nei confronti di un regime ormai screditato da tre anni di guerre disastrose combattute per il solo vantaggio di Milano e facendo leva sulla prostrazione causata dalla carestia dell'anno 1202, il C. e i suoi fautori rovesciarono il governo e si impadronirono del potere (inizi 1202). Vennero sostenuti, allora, dallo stesso vescovo, Giovanni di Palazzo, e da suo fratello Marco. Fu un successo effimero. Pochi anni più tardi il C., abbandonato dal vescovo, dalle frange popolari dell'antica parte Brucella e da larghi strati dei suoi stessi sostenitori, venne esautorato ed espulso da Brescia. Con lui furono banditi i suoi partigiani, e lo stesso podestà, il bolognese Alberto da Musso (ottobre 1206).
La prova di forza era stata preceduta da una scissione del partito al potere, una frazione del quale, capeggiata da lacopo Confalonieri, aveva avuto l'appoggio del vescovo nella rivolta che aveva portato alla cacciata del Casaloldo. Secondo il Bosisio, che riprende l'accusa lanciata da un antico cronista (p. 651), alla base della rivolta dovette esserci la politica stessa perseguita dal C.: questi era riuscito infatti a stringere e a far accettare un'alleanza con Cremona, Bergamo e Parma. Il trattato relativo, che era stato sottoscritto dal C. e da altri autorevoli rappresentanti del Comune di Brescia (tra i quali anche Narisio di Montichiari), avrebbe dovuto - secondo le intenzioni del conte - essere giurato da tutti gli "homines civitatis et episcopatus et districtus Brixiae". Data la forte opposizione interna al regime del C., questo obbligo dovette provocare nella città un risentimento diffuso, tale da indurre quanti rifiutavano un radicale capovolgimento della politica estera bresciana a cercare di modificare con la violenza l'instabile equilibrio delle forze interne.
Bandito con la sua consorteria militare dalla base di Leno - il cui abate si era dichiarato a lui favorevole -, il C. proseguì nelle campagne la resistenza contro il governo bresciano sino a quando, grazie ai buoni uffici del podestà allora in carica, Guido Lapo Marchesi, non venne riammesso in Brescia. Il suo rientro fu consacrato da una solenne cerimonia di pacificazione tra il conte, i consoli del Comune e la fazione dei Confalonieri (26 ott. 1207). Cacciato nuovamente nel giugno del 1208 (ma questa volta con lui vennero banditi anche altri che erano stati prima suoi avversari: Narisio di Montichiari, i Confalonieri, i Martinengo) a causa della sua opposizione all'alleanza stretta all'inizio dell'anno con Milano e con le altre città guelfe della pianura padana - Piacenza, Bologna, Vercelli, Alessandria -, il C. si rifugiò a Cremona e da lì iniziò, con gli altri sbanditi, una vivace attività militare tendente a strappare Pontevico a Brescia. L'azione conclusiva, che vide i fuorusciti bresciani combattere accanto ai soldati cremonesi, fallì solo per il tempestivo intervento di contingenti milanesi (settembre del 1208). La discesa in Italia di Ottone IV di Brunswick significò per Brescia un anno di pace: le diverse fazioni si accordarono temporaneamente fra loro, e gli sbanditi furono riammessi entro le mura. Quando l'imperatore entrò nella Città (15-22 maggio 1210), approvò la concordia delle parti, riconobbe le magistrature e lasciò sul posto come fiduciario e podestà imperiale il conte Tommaso di Savoia. Già allora il C. doveva essersi schierato dalla sua parte, perché l'imperatore lo compensò generosamente.
Infatti il 23 giugno 1210 Ottone IV, considerata la fedeltà, la sincera devozione e i servigi e gli ossequi a lui e all'Impero prestati dal C., gli concesse con un pubblico diploma il possesso di Lonato, con tutta la sua corte, con l'albergaria, l'onore ed il distretto, il fodro e gli altri diritti signorili. Concedette inoltre con la stessa donazione anche le località di Castelnuovo, Drato, Pazato, Collato, Gozzolengo, Palazolo, Soma, Custoza e metà dell'Isola dei Conti; inoltre ebbe l'onore, il distretto ed i redditi che appartenevano all'Impero in Nogaria, Sancto Perscon, Cereta, Gabetto, Riva Chiara, con le rive e i diritti di pesca sul lago di Garda dal corno di Moniga al Molino dei figli di Bagnacane, di Desenzano e di monte Calvelo.
Qualche mese dopo questa donazione, tuttavia, il C. fu l'anima di una violenta sommossa popolare, che espulse dalla città alcune fra le maggiori consorterie militari, Iacopo Confalonieri, il podestà imperiale, il vescovo stesso (febbraio 1211). Scopo della rivolta era stato quello di liberare la politica estera bresciana dall'ipoteca dell'amicizia ad ogni costo con Milano, amicizia che feriva gli interessi vitali di forti gruppi di potere. A capo del nuovo governo furono, ognuno col titolo e i poteri di podestà, il C., Narisio di Montichiari e Iacopo di Pontecarale, che però, non riuscendo a padroneggiare la nuova situazione, dopo alcuni mesi preferirono abbandonare la carica e la città.
Da questo momento il C. resterà costantemente fuori Brescia, ma la molesterà dal suo castello di Lonate. Nello stesso 1211, secondo una notizia non ben documentata riferita dall'Amadei (p. 338), il C. avrebbe occupato di sorpresa uno dei feudi dei marchesi di Canossa, il castello di Gonzaga, con altri territori annessi, sotto il pretesto di legittime ragioni di agnazione e di parentela con la defunta contessa Matilde. Resta tuttavia il fatto che l'imperatore Ottone IV il 22 febbr. 1212 concesse con un suo diploma Gonzaga e Bondeno de' Roncori, per retto feudo, al C. e a Narisio di Montichiari, definiti come "diletti nostri fedeli"; il documento concedeva loro anche l'onore ed il distretto. Questa iniziativa spiacque non poco a papa Innocenzo III, allora in lotta: con Ottone IV: il papa, dopo aver tentato inutilmente di cacciarli dai territori della contessa Matilde, fu poi costretto ad usare le censure ecclesiastiche e a scomunicare il conte. Federico II, il candidato del papa, preferì cedere al pontefice su tale questione e ingiunse ai due conti la restituzione delle terre avute in feudo da Ottone IV, autorizzando la loro messa al bando dell'Impero qualora avessero risposto con il rifiuto. Il bando venne effettivamente pronunciato dal vescovo di Trento, legato e vicario del re Federico II, a Cremona, "in publica concione in platea maiori" il 2 maggio 1213. Ma il C. non consegnò i possessi matildini. Federico II, due mesi prima della sua incoronazione imperiale, il 30 sett. 1220, cedette ai rappresentanti della Chiesa romana, i cappellani pontifici Alatrino e Rinaldo, il possesso giuridico tanto del castello di Gonzaga, quanto degli altri castelli tenuti dal C. e dai suoi figli, e autorizzò gli stessi rappresentanti papali ad entrare in corporale possesso degli immobili. Nel frattempo venne riconfermato il bando imperiale contro i conti Alberto e Narisio, che continuavano a occupare indebitamente il territorio di Gonzaga. L'anno seguente, il 18 febbr. 1221, Onorio III riconfermò la scomunica ed il bando: tale azione permise al pontefice di ottenere qualche tempo dopo il possesso materiale del castello di Bondeno de' Roncori, che venne reinfeudato nel 1224 al vescovo di Reggio.
Ma i Casaloldo continuarono a tenere saldamente il possesso signorile e feudale su Gonzaga. Infatti, nel 1237, quando ormai il C. era già morto, Federico II, concedendo l'amministrazione di Gonzaga agli uomini del Comune di Mantova, escluse esplicitamente le proprietà feudali dei figli del Casaloldo. Inoltre nel 1255 Guglielmo d'Olanda, re dei Romani, con un nuovo diploma di infeudazione concesse ai Casaloldo di riacquisire giuridicamente i loro antichi diritti su Gonzaga. La nuova signoria feudale venne esercitata per pochi anni, sino al 1278, anno in cui i Mantovani, guidati da Pinamonte Bonacolsi, la tolsero violentemente ai Casaloldo e la concessero dapprima allo stesso Bonacolsi e poi alla famiglia dei Gonzaga.
Dopo il 1213 l'attività del C. fu costantemente rivolta alla difesa dei due grandi possedimenti. Nel 1215 fu infatti a Gonzaga per combattere gli uomin. del Comune di Reggio, che con un colpo di mano avevano cercato di impossessarsi di quel castello. Per avere ragione degli avversari il C. chiese allora l'aiuto dei Mantovani e dei Veronesi, riuscendo a sventare la minaccia. Nello stesso 1215 il C. raggiunse anche un accordo con l'abate di S. Benedetto di Polirone, che esigeva dal C. le decime ecclesiastiche insolute sui possedimenti comitali al di là dell'Oglio. L'anno successivo, 1216, venne chiamato a ricoprire la carica di podestà della città di Verona. Concluso il periodo di questa magistratura, il C. dovette lottare contro il vescovo e podestà di Brescia Alberto da Reggio, che inviò il suo capitano Lotorengo Martinengo per riconquistare Lonato, ormai saldamente tenuta dai Casaloldo. Gravissime lotte dovette pure sostenere, tra il 1220 ed il 1224, per difendere il castello di Gonzaga contro i Cremonesi, Ferraresi, Mantovani e Bresciani, che avevano ricevuto l'ordine da Federico II di far guerra al C. ed ai suoi consorti, ormai più volte colpiti da scomunica e dal bando dell'Impero. Il C. fu successivamente podestà di Parma nel 1227 e morì nel 1232, quando suo figlio Baldovino ricopriva la carica di podestà di Mantova.
Lasciò cinque figli, di cui il più noto è Baldovino, seriamente implicato, essendo ancora podestà di Mantova nel 1235, nella uccisione del vescovo della stessa città, Guidotto da Correggio. Gli storici mantovani affermano che l'assassino, un membro della famiglia degli Avvocati, agì in accordo con Baldovino, poiché i due nobili avevano una comunanza di interessi contro il vescovo: da una parte il sordo rancore dei Casaloldo per la politica della Chiesa contro il pacifico possesso del castello di Gonzaga, dall'altra l'intolleranza degli Avvocati contro la politica di rivendicazione di diritti e di possessi instaurata dal vescovo Guidotto contro le usurpazioni di beni ecclesiastici da essi compiute. Si può dire, tuttavia, che col C. la famiglia dei conti di Casaloldo abbia raggiunto la massima potenza, sia economica sia politica; in seguito la loro storia sarà caratterizzata da una serie di sconfitte, dapprima ad opera dei Bonacolsi e poi dei Gonzaga.
Fonti e Bibl.: J. F. Böhmer, Acta Imp. selecta, Innsbruck 1870, p. 636, n. 926; S. Maffei, Annali di Mantova, Tortona 1675, p. 566; R. Volta, Comp. della st. di Mantova, Mantova 1807, pp. 166 s.; F. Odorici, Storie bresciane, III, Brescia 1857, pp. 58-61; J.-L-A. Huillard-Bréholles, Hist. diplom. Federici secundi, I, 2, Paris 1857, p. 856; C. D'Arco, Studi intorno al Munic. di Mantova dall'origine fino all'anno 1863, III, Mantova 1874, pp. 45, 303; F. L. Fè d'Ostiani, I conti rurali bresciani nel Medioevo, in Arch. stor. lomb., XXVI (1899), pp. 5-53; A. Luzio, ICorradi di Gonzaga, signori di Mantova, ibid., XL(1913), pp. 249-282; P. Torelli, Regesto mantovano, Roma 1914, p. 405; G. Lonati, Un compromesso fra la pieve di Salò e il Comune di Gardone Riviera, in Arch. stor. lomb., LVIII (1931), pp. 279-335; F. Amadei, Cronaca univers. della città di Mantova, I, Mantova 1954, pp. 338-41; Mantova. La storia, I, Mantova 1958, pp. 74, 117-190 passim; V. Colorni, Ilterritorio mantovano nel Sacro Romano Impero, Milano 1959, pp. 122-129; A. Bosisio, Il Comune, in Storia di Brescia, I, Brescia 1961, pp. 650-655.