BIANDRATE, Alberto di
Nacque probabilmente dopo la metà del secolo XI, e sembra si possa affermare che discendesse dalla famiglia comitale che estendeva il suo dominio su Pombia, la Val d'Ossola e la Valsesia, e che dal primo feudo prendeva il nome, anche se nelle fonti è ricordato come conte di Biandrate: forse la famiglia aveva già lasciato il titolo precedente per le pretese su quel contado dei vescovi di Novara, cui l'imperatore Corrado II l'aveva concesso già nel 1025togliendolo al conte Uberto (Conradi II Diplomata, in Mon. Germ. Hist., Dipl. reg. et imp. Germ., IV, a cura di H. Bresslau, Hannoverae et Lipsiae 1909, n. 38, pp - 40-42).
L'unico elemento che permette di affermare la discendenza diretta o indiretta è impossibile precisare del B. da Uberto è costituito dalle pretese sui territori già posseduti dal conte di Pombia da parte del figlio del B., Guido (ma non è escluso che la famiglia del B. avesse già prima rivendicato quei beni e che proprio nei contrasti intorno al possesso di Pombia vada inserita l'uccisione del vescovo di Novara, Alberto, il 24 maggio 1083 da parte di signori che il dittico di S. Gaudenzio di Novara identifica con i conti di Biandrate: cfr. F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. Il Piemonte, Torino 1899, p. 241). Poco convincenti per la scarsezza della documentazione appaiono infatti tutti i tentativi di delineare una genealogia (per i principali, cfr. Raggi, 1916, pp. 385-398), a cominciare da quello di Benvenuto di San Giorgio del 1527, che poneva come capostipite un Alberto da cui sarebbero nati Alberto, Guido e Ardizzone, i tre "comites blandratenses" nominati nella charta blandratina del 1093, ma di cui non si precisa se fossero fratelli, né di chi fossero figli (la genealogia è edita in A. Raggi, I conti di Biandrate, in Boll. stor. per la prov. di Novara, XXVII [1933], p. 185-188). Identificando il primo con il B. è possibile che Guido vada identificato con l'omonimo fratello partecipante alla crociata, anche se nella Historia Hierosolymitana Alberto d'Aix lo ricorda con il solo titolo di "miles" (p. 559). Molto dubbia appare l'identificazione del B. con quel conte Alberto figlio di Ottone, che nel 1087, con i fratelli Uberto, Lanfranco e Obizzo, confermava al monastero di Cluny il possesso di beni, non precisati, già concessi dal conte Guido (Carte Valsesiane fino al sec. XV, a cura di C. G. Mor, Torino 1933, n. 9., pp. 17-19).
Nel 1093 il B., con gli altri due conti Guido e Ardizzone, si accordava con i milites e i rustici di Biandrate con la cosiddetta charta blandratina: i contisi impegnavano ad aiutare i milites abitanti in Biandrate e quelli che vi sarebbero venuti ad abitare a conservare i beni già posseduti o acquistati in futuro, riservandosi solo i diritti di alta giustizia, mentre per tutto il resto erano chiamati a giudicare dodici consoli. Da parte loro i milites giuravano di aiutare i conti a mantenere beni e benefici, contro tutti gli uomini estranei a Biandrate, di aiutarsi anche reciprocamente per lo stesso scopo, di attenersi per la regolamentazione delle discordie a quanto giudicassero i consoli. I conti facevano la stessa promessa di aiuto per il mantenimento dei beni ai rustici, di cui si precisavano diritti e doveri.
Biandrate è considerato uno degli esempi più antichi di Comune, citato in particolare dal Gabotto a conferma della sua teoria sulle origini signorili del Comune (Le origini "signorili" del "Comune", in Boll. stor.-bibl. subalpino, VIII[1903], p. 136);ma già il Pawinski aveva inserito il rapporto qui stabilito tra milites e conti nel quadro delle relazioni feudali stabilite con la Constitutio de feudis del 1037, e anche recentemente il Cognasso tende a considerarla più come "una carta di fondazione del luogo" che come una charta libertatis di Biandrate (p. 123).
Il B. fu uno dei capi della cosiddetta crociata lombarda del 1101, la prima di quelle partite alla volta della Terra Santa nell'entusiasmo suscitato dalla notizia della presa di Gerusalemme. Oltre al B., definito dalle cronache come "comes illustris de Blandraz" (Alberto d'Aix, p. 559) e "potentissimus Italorum" (Orderico Vitale, col. 764), presero parte alla crociata suo fratello Guido, Ottone Altaspada, figlio di una sorella, Alberto, arcivescovo di Milano, Guiberto, conte di Parma, Ugo di Montebello e altri "comprimores Italiae" (Alberto d'Aix, p. 559).
I crociati lombardi partirono alla metà di settembre del 1100 (Hageruneyer, 1900-1901, p. 359), in numero che il Runciman valuta approssimativamente a diecimila (p. 4). La decisione dell'imperatore Alessio I di contenerli in zone limitate, nel loro passaggio per i territori dell'Impero, non sortì effetto; nonostante l'opposizione dei loro capi, dicono i cronisti, i crociati cominciarono a depredare Greci e Bulgari, tanto che, probabilmente nel marzo 1101 - comunque non prima della fine di febbraio (Hagenmeyer, 1902, p. 400) -, l'imperatore, per sorvegliarli meglio, li fece andare a Costantinopoli, sistemandoli fuori delle mura: qui avrebbero dovuto attendere l'arrivo dei rinforzi dalla Francia e dalla Germania. Non riuscendo però ad evitare i disordini, ordinò loro, ma senza risultato, di passare il Bosforo; dispose allora il divieto di comprare e vendere merci, ma cavalieri e fanti si rivoltarono e dettero l'assalto al palazzo imperiale. A sedare la rivolta dei crociati intervennero i loro capi, l'arcivescovo di Milano, il B. e Ugo di Montebello.
La posizione di primo piano del B. è confermata anche dal seguito del racconto di Alberto, che narra come, sedata la rivolta, egli e l'arcivescovo di Milano si recassero in ambasceria dall'imperatore, cercando di placare la sua ira e proclamandosi innocenti di quanto era avvenuto. L'imperatore ne approfittò per indurli ad attraversare lo stretto e lasciare la città, facendo loro ricchi doni (p. 562). "Corruptus" dall'imperatore e "nimium ei credens", il B. avrebbe accettato dieci cavalli e oggetti preziosi, mentre l'arcivescovo di Milano avrebbe rifiutato i doni temendo che, passato il Bosforo, i crociati sarebbero stati attaccati. Concluso infine l'accordo per l'intervento di Raimondo di Saint-Gilles, i crociati passarono a Nicomedia (fine aprile 1101), dove furono raggiunti nel maggio dai crociati franchi.
Nelle successive vicende (per un racconto dettagliato delle quali, cfr. Grousset, pp. 322 ss., e Runciman, pp. 5 ss.) le fonti non isolano la figura del B., salvo nella disfatta finale; lo si può però implicitamente ritenere partecipe di quelle decisioni che condussero i crociati al massacro: contro il parere dell'imperatore e di Raimondo, che consigliavano di raggiungere Gerusalemme per la via già seguita dalla prima crociata, essi imposero la loro volontà di andare a liberare Boemondo di Taranto a Neocesarea, nel nord-est dell'Anatolia, senza tener conto delle difficoltà dell'impresa. Continuamente attaccata dai Turchi, la spedizione proseguì oltre Ancira (od. Ankara) e Gangra verso Kastamuni, fino allo scontro decisivo, avvenuto probabilmente tra Merzifun e Amasia, forse il 5 ag. 1101 (Hagenmeyer, 1902, pp. 450 ss.). Una parte di rilievo. ma alquanto ingloriosa, almeno secondo Alberto d'Aix, anche altrove propenso ad accusare i Lombardi, ebbe nello scontro finale il Biandrate. Egli, a capo, come il fratello e il nipote, di una delle schiere di crociati, sarebbe stato il primo a non resistere all'attacco dandosi alla fuga (p. 569). Orderico Vitale dice erroneamente che il B., "strenuissimus heros", fu ucciso in battaglia (col. 768); il Raggi (p. 402) ipotizza, invece, che il cronista abbia confuso il B. con il fratello Guido, di cui effettivamente non si ha più notizia. Dal racconto di Alberto sembra si possa ricavare, anche se non è detto esplicitamente, che gli scampati raggiunsero Costantinopoli e vi svernarono.
Il B. si trovava comunque tra i principi giunti per mare, probabilmente in febbraio (Hagenmeyer, 1905, pp. 399 s.), ad Antiochia, dove si riunirono i superstiti non solo della crociata lombarda ma anche di quelle ugualmente fallite, guidate l'una da Guglielmo II di Nevers, l'altra da Guglielmo di Poitiers, duca di Aquitania, e da Guelfo IV di Baviera (Grousset, pp. 329 ss.; Runciman, pp. 8 ss.).
Partendo da Antiochia alla volta di Gerusalemme, i capi crociati furono indotti da Raimondo di Saint-Gilles ad occupare Tortosa (Tartûs), episodio che lo Hagenmeyer (1905, pp. 400 ss.) pone sia pure approssimativamente al 18 febbr. 1102. Alla conquista dovette partecipare anche il B., stando alla notizia che dei capi solo Guelfo di Baviera e Renato di Borgogna rifiutarono l'invito di Raimondo dirigendosi direttamente su Gerusalemme. Qui i crociati celebrarono la Pasqua il 6 apr. 1102.
Il B. rimase presso Baldovino re di Gerusalemme almeno fino al luglio 1103: a questa data infatti partecipando ad una battuta di caccia presso Cesarea con il re, il nipote Ottone Altaspada e altri, si batté valorosamente contro un improvviso attacco di Saraceni.
Non si sa quando abbia lasciato la Terra Santa: solo ipoteticamente si potrà porre la sua partenza dopo la morte del nipote, ucciso nel settembre 1104 nella difesa di Giaffa (Alberto d'Aix, p. 608).Le tracce del B. si perdono fino al 1111, quando lo si trova al fianco dell'impera-tore Enrico V. Iniziatore della politica filoimperiale della famiglia, egli, insieme con Bonifacio di Monferrato, è testimone dell'accordo sancito a Ponte Mammolo presso Roma tra Enrico V e il papa Pasquale II l'11 apr. 1111; egli anzi con altri "ceteri regis laterales", non meglio precisati, si oppose a che il patto venisse redatto per iscritto. Seguì ancora Enrico V sulla via del ritorno in Germania: un diploma, datato il 19 maggio 1111 presso Verona, ricorda che, su domanda sua e di altri, Cristallo di Premeriaco fu preso sotto la protezione imperiale.
Un intervento del B. presso Enrico V per la concessione alla città di Torino di un tratto di strada è ricordato in un diploma imperiale del 23marzo 1111: anche se interpolato o addirittura falso, esso è ugualmente testimonianza dell'importanza politica del Biandrate.
Non si hanno altre notizie del B.: doveva essere già morto nel 1119, se in quell'anno all'assedio di Como partecipava la contessa di Biandrate con il figlio Guido in tenera età.
Benvenuto di San Giorgio nel De origine gentilium suorum riporta l'epitaffio che i Milanesi avrebbero messo sulla tomba del B. in quanto loro console (Raggi, p. 405). La notizia non trova altrove conferma, né si può dire se già il B., come poi il figlio Guido, fosse cittadino di Milano.
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