DENARI, Alberto (Albertus Odofredi)
Bolognese, figlio di Odofredo, a causa della grandissima fama del padre fu sempre designato come "Albertus domini Odofredi", o addirittura come "Albertus Odofredus", ed anch'egli fu detto, per errore, "beneventanus" dal Diplovatazio; la data della sua nascita si può collocare nel quarto decennio del Duecento.
Quando, nel settembre del 1255, fu emancipato (con la massima solennità, nel palazzo comunale), era già sposato con Azzolina d'Alberto Gallucci; contestualmente la liberalità paterna gli concedeva, per mantenersi, una vigna, case e altro. Non aveva allora il titolo di "i doctor legum"; ignoriamo dove e quando abbia compiuto gli studi e cominciato a insegnare, ma appare improbabile che si sia allontanato dalla patria per l'uno o per l'altro motivo.
La precisazione è necessaria, giacché nella matricola del Collegio dei dottori padovani si trova il suo nome; a minare le certezze manifestate dal Gloria su di un suo professorato a Padova concorrono almeno due elementi: la scarsa affidabilità dei documento e il fatto che il D. fosse giovanissimo, se non infante, all'epoca, per cui si può ipotizzare un soggiorno in quella città di Odofredo. Questi, del resto, dové ben presto associare il figlio in tutto il complesso della propria attività didattica, professionale e politica, aprendogli una strada sicura.
Nella vita del D., pur con tutte le limitazioni e cautele derivanti dalla casualità della documentazione superstite e pubblicata, sono distinguibili due periodi, uno più "universitario" e uno più "politico". Il primo è caratterizzato dalla fitta rete di transazioni commerciali, compiute nella statio domini Odofredi, della quale il D. fu titolare dal 1265, relative ai bisogni tipici dello studente (denaro, libri, abitazione), e dalla regolazione di pendenze ereditate (nel 1269 riscosse una piccola parte d'un credito paterno di ben 400 lire, per collectae).
I mutui concessi agli scholares delle diverse nazionalità, in genere più persone obbligate in solido, riguardano somme medie (30-60 lire), con durata di sei-sette mesi; per il prestito dei libri, più raro, un atto del 1268, che si può scegliere come esempio, prevede che un Codex coll'apparato, o il valore di stima (24 lire), sarà restituito a semplice richiesta. Il giro d'affari non risulta comunque limitato all'ambito universitario: il D. in un caso presta a non studenti 350 lire per tre mesi, in altri due il mutuo serve per esercitare il mestiere di lanaiolo; acquista case e terreni, o li prende in locazione, o li vende; figura, nei documenti, come debitore o garante di obbligazioni.Dal 1274, a causa della lotta tra le fazioni geremea, guelfa, e lambertazza, ghibellina, la situazione politica bolognese cambiò radicalmente, e anche lo Studio ne risentì, sia a causa della proscrizione di molti maestri, sia perché gli studenti ottennero una serie di concessioni importanti, che confluiranno nello statuto comunale del 1288: tra di esse, la possibilità di avere mutui a condizioni favorevoli da banchieri non bolognesi, dei sistemi per calmierare gli affitti, una nuova regolamentazione delle stationes librarie; progressivamente decadde la collecta e si affermò il salarium, per i professori. Le attività del D. s'iriffirizzano principalmente alla sfera politica, con partecipazioni di primo piano. Già nel 1272 era stato incaricato dal governo, per la Parte geremea, di consigliare (insieme con Rolandino de' Romanzi e altri) se portare le armi contro Forlì o contro Modena. Precipitate le cose fino alla guerra civile che provocò, specie tra l'aprile e il giugno del 1274, morti e distruzioni, è facile immaginare che il suo ruolo fosse cresciuto, anche per il solo fatto di appartenere a quel ceto, gli uomini di legge, che soppiantava ormai, nella direzione della città, quello dei mercanti; mancano comunque notizie di lui fino al 1280, quando fece parte d'una magistratura di nove consoli che ebbe il governo per breve tempo mentre a Ravenna, per iniziativa di Bertoldo Orsini, rettore della provincia, si discuteva delle responsabilità dei disordini; cinque anni dopo fece parte della commissione incaricata di legiferare in merito alla riammissione dei Lambertazzi; nel 1286 fu uno dei rettori del Collegio dei giudici ed avvocati; nel 1287-88 venne incaricato, insieme con altri giurisperiti, di emettere lodo arbitrale nelle controversie tra il Comune di Reggio e i fuorusciti di quella città e di definire i diritti vantati da alcuni milites del contado reggiano; nel 1288 andò a perorare presso Niccolò IV la restituzione di Medicina ai Bolognesi; nel 1292 fu uno dei due delegati per la condotta della guerra contro Imola e sei anni dopo, durante il ben più grave conflitto mosso a Bologna da Azzo d'Este, fu esonerato, come gli altri professori ordinari dello Studio, dall'andare sui campi di battaglia, ma venne eletto tra gli otto sovrintendenti alla guerra. In quest'ultima occasione un suo palazzo, posto in castro Varignanae, risultando importante per la difesa, fu trasformato in fortezza. L'ultimo incarico pubblico importante è da collegarsi ancora con questa vicenda bellica: interposti i buoni uffici dei Fiorentini, Bonifacio VIII fatto giudice delle contese, il D. venne inviato a Roma in veste di ambasciatore per la propria città e per gli alleati, riuscendo a concludere un'onorevole pace: era il 1299.
Questi uffici, e altri di minore conto (spesso fu eletto, per il proprio quartiere di S. Procolo, tra i sapientes, anche in relazione ad affari determinati quali il reperimento dei fondi per gli stipendiari), non lo distolsero dalla cura dei propri interessi, sempre notevoli, anche se non più caratterizzati dalle necessità degli studenti. Nel 1286 ricevette in consegna, per una soccida ad laborandum, due buoi; nel 1295 venne costituita, a favore suo e dei suoi eredi, un'enfiteusi sopra diversi edifici di proprietà delle monache di S. Agnese; nell'occasione dell'ambasceria a papa Bonifacio, riuscì ad ottenerne un fattivo interessamento in ordine a una permuta immobiliare, ch'egli intendeva stipulare con la chiesa di S. Ambrogio. Aveva accumulato, con il complesso di queste attività, un ricchissimo patrimonio, del quale siamo puntualmente informati dal suo testamento, datato 22 febbr. 1299 e fatto depositare nella sacrestia dei domenicani di Bologna, che furono, insieme con i francescani e i frati di altri Ordini, beneficiari di alcuni legati: erede di buona parte delle sostanze fu Francesco, che con Lucia e Nicola aveva avuto dalla prima moglie; altri beni andarono alla seconda, Chiara di Folco de' Paci, e a Niccolò e Giovanna, avuti da lei. Benedetto, un illegittimo, ebbe una casa posta in curia S. Ambrosii, i possedimenti in curia Vetrane, e, tra gli altri mobili, alcuni libri legali già datigli in uso; a Paolo, figlio di Francesco, furono lasciati i volumi di diritto dettagliatamente elencati, comprendenti il Corpusiuris civilis glossato, e alcune Lecturae odofrediane, purché coltivasse gli studi giuridici (in ogni caso tali libri non dovevano uscire dalla famiglia).
Il D. morì nel 1300, all'età di circa settant'anni; non gli mancavano autorità e fama.
Durante i suoi funerali, il 16 febbr., Bologna si mise in lutto (cfr. G. Zaccagnini, Notizie ined. intorno ad alcuni ill. dottori dello Studio bolognese dei secc. XIII e XIV, in Studi e mem. per la storia dell'Univ. di Bologna, XIV [1938], pp. 178 s.). Dell'autorità, in ambito cittadino, sono testimonianza, oltre agli incarichi politici ricordati, la funzione, con ogni probabilità decisiva, avuta per il delicato e complesso problema dell'ammissione all'esame di dottorato dei bolognesi non in possesso di certi requisiti (in particolare, non figli, fratelli o nipoti dei membri del Collegio dei giuristi, oppure in odore d'appartenere ai Lambertazzi). Nella questione, che ebbe momenti critici a partire dal 1295, e che è nota anche perché tra i non ammessi si trovò Giacomo Belvisi, il D. sembra aver tenuto un atteggiamento aperto, accettando la veste di presentatore dei candidati: nel 1299, per risolvere il caso di Vianesio Pascipoveri, si dovette aspettare il suo ritorno dall'ambasceria romana.
Della fama è teste il Diplovatazio; il profilo biografico che egli ci dà del D. si basa sulle citazioni fattene da Giovanni d'Andrea, Alberico da Rosciate, Giovanni Battista Caccialupi e Alberto Gandino.
Quanto alle opere, qualificate "preclare" e "rare", si parla solo di quaestiones e di consilia, le prime raccolte in un liber magnus con quelle di altri autori, i secondi relativi ad affari senesi e pistoiesi, e resi insieme con altri giuristi, tra cui Dino del Mugello. La moderna esplorazione dei codici giuridici segnala quaestiones del D. in un manoscritto della Bibliothèque nationale di Parigi (Lat. 4489) e suoi consigli in manoscritti vaticani (Ottob. lat. 1307, con Dino; Arch. di S. Pietro A. 29; Chigi E. VIII 245)La citazione gandiniana si riferisce ad un fatto, che il Kantorowicz riconduce al luglio del 1289, riguardante la legittimità della tortura irrogata a un servo del D.; per aver errato nel redigere il libello processuale, dichiarato nullo, "dominus Albertus mirabiliter derisus fuit". Si trattò forse d'un incidente, nello svolgimento dell'attività forense; di questa (iniziata per tempo, poiché Odofredo menziona una divergenza d'opinioni tra Francesco d'Accursio e il proprio figlio, probabilmente manifestatasi in un processo) si hanno altre sporadiche tracce: l'elezione ad arbitro, per un fatto di sangue tra gruppi familiari, nel 1286, e l'inclusione, nel 1298, in una lista di suspecti, fornita al giudice da una parte processuale che ne ricusava, per ragioni politiche, il consilium.
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