DE POMPEIS, Alberto
Il D., di cui non si conoscono il luogo e la data di nascita, è stato a lungo ignorato dalla storiografia artistica napoletana, finché il rinvenimento di un inedito carteggio del 1770 (Strazzullo, 1968) e l'espletamento di analisi particolari (Mormone, 1956; Strazzullo, 1974; Fiengo, 1976) hanno consentito di individuare in lui uno degli ingegneri camerali più quotati dell'età di Carlo di Borbone e dell'inizio del regno di Ferdinando IV.
Relativamente alla prima documentazione, vi è da osservare che l'ingegnere Melchiorre Campanile, nel novembre 1770, inoltrò un memoriale al re, per denunziare gli arbitri che i tavolari commettevano a danno degli architetti e per ottenere la revoca dei privilegi loro accordati dalla legislazione vigente; simili ricorsi continuarono ad essere presentati fino al 1773. Alla suddetta petizione ne furono allegate altre, tra le quali una, a carattere personale, di Francesco De Pompeis, figlio di Alberto, desideroso di ottenere il posto che era stato di suo padre e dello zio paterno Giovanni, pur non potendo vantare, di fatto, altri titoli che l'addestramento ricevuto dai parenti e la loro apprezzata carriera pubblica, di cui richiamò gli impegni più rilevanti.
Il D., dunque, ricoprì la carica di ingegnere camerale per vent'anni, fino al luglio 1764. Di lui sono note esclusivamente le attività espletate come tecnico al servizio della Corona e come perito nella causa che vide contrapposti i due maggiori progettisti operanti a Napoli alla metà del sec. XVIII: M. Gioffredo e L. Vanvitelli.
Il primo incarico risale al 1744, anno cioè della sua assunzione (27 dicembre) da parte della Regia Corte, allorché fu designato per sovrintendere le riparazioni della strada Napoli-Gaeta (Strazzullo, 1968). Il lavoro fu portato avanti con grande celerità, onde rendere più agevole, in coincidenza della partenza del sovrano per la campagna di Velletri, il trasferimento della regina Maria Amalia e della reale infanta Maria Giuseppa Carmela nella. fortezza gaetana, ove giunsero il 27 marzo.
Nel 1748 il D. si occupò di problemi inerenti all'alloggiamento delle truppe: espresse parere sull'entità di certe spese di manutenzione, per le quali era sorta una contesa tra la Regia Camera e la città di Santa Maria Capua Vetere, ove stazionava un notevole contingente di soldati spagnoli. Su altri aspetti della questione si erano già pronunciati, nel corso dell'anno precedente, gli ingegneri militari Giovanni Battista Bigotti e Barrios, oltre al suo collega Martino Buonocore (Casiello-Di Stefano, 1980). Di conseguenza, avendo il D. dato prova, in quella come nelle precedenti occasioni, di "onoratezza ed abilità", Carlo di Borbone gli affidò la cura delle fabbriche reali sottoposte alla giunta dell'Economia, nonché la sovrintendenza sulla rete stradale nel territorio sito a nord-ovest della capitale. Ed è proprio nell'esercizio di tali compiti che, nel 1754, su sue relazioni, fu deciso il proseguimento dei lavori nel "Real Casino di Capodimonte" e fu approvata la perizia redatta dall'ingegnere Alessandro de Montier per i lavori inerenti al presidio di Pizzofalcone; inoltre, fu accolto il preventivo dei materiali occorrenti per l'allestimento del nuovo quartiere di artiglieria nella piazza dell'Arsenale, sempre a Napoli (Strazzullo, 1982).
Dopo il 1754 il D. diresse, in sostituzione del fratello Giovanni, l'altro costruendo acquartieramento militare di Nocera (Strazzullo, 1968), progettato da Felice Romano sul porto dell'antico palazzo dei feudatari; nel 1756, allorché fu promosso ingegnere camerale "provisionato" (Strazzullo, 1960), si limitò, contrariamente a quanto afferma il figlio Francesco in una petizione del 1770 (Strazzullo, 1968), al collaudo del "Ponte di Capua nel Fiume Volturno" e, l'anno successivo, vigilò sugli "accomodi" delle vie che, da Capua, si irradiavano verso il pantano di Mondragone, il demanio di Calvi e la montagna di Montemarsico. Queste ultime due opere furono effettuate dall'ingegnere militare Gioacchino Horsusan (Di Resta, 1982).
Tra gli "affari scabrosi" che il D. dovè affrontare se ne segnala soprattutto uno, che, sempre secondo la testimonianza del figlio, "dissimpegnò tra lo spazio di giorni quindici, col pericolo della vita". Si tratta "dell'apprezzo del feudo delle Serre e Persano. per qual fatiga si compiacque la Maestà del Re Cattolico spiegare il suo real gradimento in un Dispaccio" (Strazzullo, 1968).
È noto che la permuta tra il costituendo sito reale di proprietà del conte de Rossi e il feudo di Casal di Principe, appartenente al Regio Fisco, diede luogo, a cominciare dal 1756, a una serie di memorie tra periti, nella vana ricerca di una stima economica che potesse soddisfare le due parti in causa. Nel 1758 si rese necessaria la revisione del D., che, evidentemente, suggeri quel criterio di scambio, permuta per permuta, da taluno attribuito allo stesso sovrano, che incontrò il favore generale e rese possibile, il 10 marzo, la stipula del contratto (Alisio, 1976).
Un altro delicato incarico il D. assolse, insieme agli ingegneri G. Pollio e G. Levere, nel 1762, allorché fu invitato dalla Camera della Sommaria ad esprimere il proprio giudizio circa i dissesti riscontrati nella caserma di fanteria di Portici. Contrastanti pareri in proposito erano risultati dalle due inchieste precedenti, affidate a L. Vanvitelli e al collegio tecnico composto da G. Astarita, R. Alcubierre e G. Buonpiede. Il primo, infatti, aveva ascritto al direttore dei lavori, Agostino Caputo, la responsabilità delle lesioni, mentre gli altri lo avevano scagionato. Allo stesso modo degli immediati predecessori si regolò, con Pollio e Levere, il D. (Mormone, 1956).
Ma, se nella disputa per la fabbrica di Portici l'orientamento del D. sembra essere stato improntato alla prudenza, dal momento che il Caputo era come lui ingegnere camerale ordinario, nella vertenza tra Gioffredo e i di Sangro duchi di Casacalenda, in cui l'accusa e l'accusatore erano praticamente gli stessi della precedente causa, mantenne un atteggiamento molto spregiudicato, per cui il progettista delle dimore della nobile famiglia napoletana ebbe a confessare che, dopo la deposizione della perizia nel febbraio del 1764, "vennero a brutti termini, e poco vi mancò ànon perdere la vita, o l'uno, o l'altro" (Fiengo, 1976). In altre parole, mise a nudo, pochi mesi prima di morire, mediante una rigorosa ed imparziale perizia, le gravi responsabilità addebitabili al direttore del cantiere, anticipando così di diciassette anni la definitiva soluzione conferita al problema della responsabilità professionale dal decreto ferdinandeo.
Morì a Napoli nel luglio 1764 (Strazzullo, 1974).
Fonti e Bibl.: R. Mormone, Documenti sull'attività napoletana di F. Fuga, in R. Pane, F. Fuga, Napoli 1956, p. 197; F. Strazzullo, Ingegneri camerali napol. del '700, in Partenope, I (1960), 1, pp. 52, 58 s.; Id., Edilizia e urbanistica a Napoli dal '500 al '700, Napoli 1968, pp. 50 s.; Id., Documenti per la cappella Palatina di Portici in Napoli nobilissima, XIII (1974), p. 154; G. Fiengo, Vanvitelli e Gioffredo nella villa Campolieto di Ercola, Napoli 1974, pp. 37, 88 s.; Id., Gioffredo e Vanvitelli nei palazzi dei Casacalenda, Napoli 1976, ad Indicem; G. Alisio, Siti reali dei Borboni, Roma 1976, p. 73; S. Casiello-A. M. Di Stefano, Santa Maria Capua Vetere, Napoli 1980, p. 47; F. Strazzullo, Documenti del '700 per la storia dell'edilizia e dell'urbanistica nel Regno di Napoli, in Napoli nobilissima, XX (1981), p. 142; XXI (1982), p. 138; I. Di Resta, L'archit. militare a Capua dal XVIII al XIX secolo, in Storia dell'arte, 1982, n. 45, pp. 171 s.