ESTE, Alberto d'
Figlio legittimato del marchese Niccolò (III), signore di Ferrara e di Modena, e di Filippa della Tavola, visse prevalentemente a Ferrara, alla corte dei fratellastri Lionello, Borso ed Ercole I, che si avvicendarono alla testa dei domini estensi tra la fine del 1441 e l'inizio del 1505. Incerta è la data della sua nascita.
La relazione tra Niccolò [III] e Filippa della Tavola risale agli anni intorno al 1428; il Caleffini, tuttavia, afferma che l'E. nacque attorno al 1437. Sono senz'altro in errore il Frizzi e il Litta, che identificano l'E. con un altro Alberto d'Este, pure figlio del marchese Niccolò [III], ma nato nel 1415.
L'E. cominciò ben presto a partecipare alla vita pubblica ferrarese. Nell'ottobre del 1450, infatti, partecipò alle solenni esequie del marchese Lionello, suo fratellastro, morto il 1°di quel mese. Nel 1455 si parlò di un suo matrimonio con la figlia di Sigismondo Malatesta, matrimonio che però non ebbe poi luogo. Nel 1459, al seguito, insieme con altri gentiluomini ferraresi e forestieri, del fratellastro Borso, allora signore di Ferrara, accolse il papa Pio II che si recava alla Dieta di Mantova. In quegli stessi giorni ricevette con tutti gli onori Galeazzo Maria Sforza proveniente da Bologna.
Le sue relazioni con i fratellastri che si succedettero alla guida dei domini estensi non furono sempre tranquille. Nell'aprile del 1461, ad esempio, quando si trovava a Fossadalbero nella residenza di Borso, si sentì ingiungere da quest'ultimo, in un improvviso moto di collera, di allontanarsi entro poche ore dalle sue terre. L'E. partì immediatamente, seguito soltanto da pochi fedeli, e trovò asilo presso il signore di Mantova. Solo dopo alcuni mesi venne riammesso alla corte estense e poté così rientrare in patria.
Ignoriamo, per il silenzio delle fonti, i motivi che indussero Borso a bandire l'E. dai domini estensi. Tuttavia non è improbabile che il provvedimento sia da inserire nel quadro della azione repressiva intrapresa da Borso contro l'opposizione interna, che aveva i suoi esponenti in nobili e cospicui personaggi della società ferrarese. Sembra difficile, ad ogni modo, ipotizzare una complicità o un'acquiescenza dell'E. nei confronti delle trame promosse dai nemici di Borso, poiché negli anni successivi le fonti coeve lo annoverano tra i consiglieri più ascoltati di quel signore.
Nel 1464 l'E. e il fratellastro Rinaldo ebbero il comando di due galee armate, con cui si diressero verso Ancona per prendere parte alla crociata bandita da Pio II, crociata che, com'è noto, non ebbe poi luogo a causa dell'improvvisa morte del pontefice. Risale al 1470 un episodio che può essere indicativo della posizione personale dell'E. presso Borso. Durante una visita a Reggio, dove fu accolto con grandi onori, Ludovico Sforza fece all'E. un dono prezioso: un monile del valore di 3.000 ducati. Poiché i rapporti tra Milano e Ferrara dopo la pace di Lodi non erano buoni, il gesto potrebbe rivelare un tentativo di riavvicinamento, forse diretto a favorire - per il tramite dell'E. - una successione al Ducato gradita a Milano.
Quando nel 1471 Borso, rientrato da Roma dove il 14 aprile era stato creato duca di Ferrara dal papa, si ammalò gravemente, in città si scatenò la lotta fra le due fazioni che appoggiavano i due pretendenti alla successione: Ercole, un fratellastro di Borso, e un nipote di quest'ultimo, Niccolò, figlio del defunto marchese Leonello. L'E. - che a partire dal settimo decennio del secolo era stato molto vicino a Borso ed era perciò a conoscenza dei più importanti affari di Stato (in quel medesimo 1471 aveva accompagnato il suo signore a Roma per l'investitura ducale) - svolse un ruolo decisivo nei successivi avvenimenti ferraresi. Infatti alla morte di Borso, sopravvenuta il 19 agosto, l'E. ebbe con Ercole, che poteva contare sul sostegno esterno di Venezia, un lungo colloquio, dopo il quale si schierò decisamente dalla sua parte: gli consegnò il castello e gli dette il suo appoggio, assicurandogli la successione.
Tutto ciò può apparire sconcertante, dato che l'E., fino a quel momento, era stato considerato dalla voce pubblica tra i sostenitori di Niccolò di Lionello, col quale era cresciuto in grande familiarità; ma è anche possibile che egli ambisse a un'affermazione personale. Ci risulta che il duca di Milano era segretamente in contatto con lui, e attendeva la morte di Borso per intervenire presso di lui in favore di Niccolò, ma ci risulta anche che il 19 agosto l'inviato milanese a Ferrara, Francesco da Pietrasanta, comunicò a Galeazzo Sforza che l'E. non dava affidamento, dato che si stava accordando con Ercole.
In cambio del suo aiuto, l'E. ricevette dal nuovo duca di Ferrara il Polesine di Rovigo, le entrate di Badia e Lendinara, la terra di Sassuolo nel Modenese, il feudo di Castelnuovo presso Tortona, beni e' feudi che davano una rendita cospicua, pari a 25.000 ducati annui. Inoltre. a Ferrara, l'E. ebbe in dono il palazzo Schifanoia, recentemente trasformato da Borso in un luogo di amena e lussuosa residenza. Il 20 agosto, quando Ercole I si recò in duomo per prestare giuramento, l'E. era accanto a lui insieme con i fratellastri Gurone e Rinaldo.
Ercole doveva molto, dunque, all'aiuto dell'E.: tuttavia quest'ultimo, per l'influenza personale e il grande seguito che aveva in città e a corte, rappresentava un'insidia potenziale per il nuovo signore. Ad ogni modo, nei primi anni di Ercole I non ci furono tra i due, a quanto ci consta, dissensi di rilievo, e l'E. continuò ad apparire nella vita cittadina in una posizione di primo piano. Così nel 1472 ebbe spesso occasione di rappresentare il duca nelle cerimonie pubbliche, e a corte era fra i primi, anche se alcuni nobili ferraresi a lui molto vicini furono duramente colpiti dai provvedimenti adottati da Ercole contro i fautori dell'esule Niccolò di Lionello.
All'inizio del 1473 il clima interno del Ducato era piuttosto pesante, dato che i bandi e le condanne erano all'ordine del giorno. Tuttavia presso la corte si susseguivano i festeggiamenti, i giochi e i tornei, registrati con dovizia di particolari dai cronisti ferraresi coevi. A questi riti cortigiani non si sottrasse l'E., che nel corso del carnevale di quell'anno dette una memorabile festa da ballo nel suo palazzo, nel marzo ricevette solennemente la sposa del fratellastro Rinaldo, proveniente dal Monferrato, e nell'aprile si recò a Napoli per accompagnare a Ferrara Eleonora d'Aragona, che andava sposa al duca Ercole. Solo nel maggio del 1474 il contrasto tra l'E. e il duca si manifestò apertamente, quando il primo fu bruscamente allontanato dai domini estensi. Il motivo ufficiale del provvedimento - il rifiuto opposto dall'E. di recarsi a Modena per ricevere il re di Dacia - era indubbiamente di una certa gravità, perché, come Ercole scrisse al marchese di Mantova, un signore privo dell'obbedienza era come un privato cittadino senza onore e senza stima. Esso non basta tuttavia a spiegare l'atteggiamento fortemente ostile di Ercole, che incriminò e fece condannare il fratellastro per lesa maestà e che, pur facendogli grazia della vita e dei beni, lo confinò a Napoli, rifiutando anche di incontrarlo e di ascoltarne le preghiere di perdono. La presa di posizione del duca non mutò col tempo: alcuni mesi più tardi Ercole confiscò tutti i beni e tutte le entrate dell'E., pur concedendo a quest'ultimo una rendita di 300 ducati al mese. L'esilio dell'E. durò dieci anni.
Queste circostanze confermano che dietro l'episodio della disobbedienza si celavano in realtà profondi contrasti. Con ogni probabilità l'E. rappresentava un gruppo d'opposizione che aveva sostegni fuori del Ducato, forse a Mantova e a Milano. Non si può inoltre escludere che egli avesse avuto parte, in qualche modo, nelle trame ancora vivacissime dell'esule Niccolò di Leonello e dei suoi partigiani per rovesciare il regime di Ercole.
Che l'E. fosse un personaggio molto rappresentativo e popolare lo attesta il Caleffini, vissuto alla corte estense e autore di un particolareggiato Diario. Secondo quest'ultimo, infatti, l'E. era un uomo di grande fascino ed eloquenza, un principe splendido, di grande liberalità e di raffinati costumi, amante della vita fastosa e delle donne (alcuni storici hanno addirittura avanzato l'ipotesi che all'origine della sua "disobbedienza" vi fossero in realtà ragioni di rivalità in campo sentimentale). Se la sua cultura non era molto vasta, l'E. si interessava tuttavia alla storia romana e aveva familiarità con gli antichi storici latini. Sappiamo che prediligeva la sobria concisione di Sallustio: un letterato di corte, Ludovico Carbone, gli dedicò appunto una traduzione delle opere di questo autore. Fra i nobili ferraresi degli ambienti della corte e del governo ducale l'E. contava vaste amicizie e importanti rapporti di parentela: una sorellastra, nata dal matrimonio di Filippa della Tavola con un cittadino ferrarese, aveva sposato il figlio di un alto officiale estense; il fratello Gurone aveva intrapreso la carriera ecclesiastica ed era diventato protonotario e abate di Nonantola.Alla sua partenza da Ferrara per l'esilio l'E. fu salutato nel cortile del palazzo ducale da un folto gruppo di nobili e di gentiluomini; nelle strade della città in quella stessa occasione il popolo fece ala al suo passaggio. A Ravenna l'E. si congedò dai suoi accompagnatori e si imbarcò per Napoli, dove soggiornò per alcuni anni. Nel 1475 fece parte del seguito di Ferdinando d'Aragona durante un viaggio a Roma. Come appare da una lista delle spese della corte di Ferrara del 1476 l'E., pur esiliato, godeva ancora della rendita assegnatagli nel 1474, e un modesto appannaggio era riservato anche alla madre di lui, Filippa.
Nel 1478, quando, nella guerra scatenatasi fra le potenze italiane dopo la congiura dei Pazzi, Ercole assunse il comando generale dell'esercito fiorentino, uno dei maggiori avversari di Firenze, il re Ferdinando, certo che il ritorno dell'E. nel dominio estense avrebbe provocato tumulti e costretto il duca a tornare in patria, lo espulse da Napoli; ma l'E., come in altre occasioni, si mostrò leale verso la sua casata. Invece di recarsi a Ferrara, raggiunse nel campo fiorentino Ercole, che lo accolse con grandi dimostrazioni di affetto e gli consenti di fermarsi a Firenze e di prendere alloggio in un palazzo requisito ai Pazzi. Tuttavia il ritorno dell'E. a Ferrara era ancora indesiderato: nel 1479, infatti, Ercole convocò il fratellastro a Modena e gli ordinò di risiedere nel feudo di Castelnuovo presso Tortona, concedendogli di riscuoterne le entrate a titolo di appannaggio. La permanenza dell'E. a Castelnuovo fu tuttavia breve. Quando Roberto Sanseverino, ribelle alla reggente milariese, conquistò Tortona dove aveva sostenitori, e riuscì facilmente a prendere Castelnuovo, l'E., che aveva tentato inutilmente di mettersi in salvo, fu fatto prigioniero e tradotto altrove.
Nel 1484, dopo dieci anni di esilio trascorsi a Napoli, a Firenze, a Castelnuovo, forse a Cremona e infine a Pavia, l'E. poté fare ritorno in patria. Rientrò a Ferrara ai primi di settembre., proprio nel giorni in cui si pubblicava la pace di Bagnolo fra il duca e Venezia, con cui si metteva fine alla guerra per il Polesine iniziata dalla Serenissima nel 1482, guerra che era stata disastrosa sotto ogni profilo per il piccolo Ducato estense. Durante la guerra la Signoria veneziana aveva offerto all'E. un'allettante condotta, ma egli aveva rifiutato per non combattere contro la sua stessa casata. Con il conseguimento della pace, il regime di Ercole aveva superato una grave crisi: insieme all'E. furono richiamati nel Ducato molti esuli, fra cui anche i membri della potente famiglia Trotti.
Stabilitosi in un palazzo che il duca gli aveva assegnato, nei mesi che seguirono l'E. riprese il posto che gli spettava alla corte ferrarese. Nel 1485 si recò con Ercole a Venezia: col duca e con il seguito di quest'ultimo prese alloggio nel palazzo estense sul Canal Grande e partecipò ai festeggiamenti del carnevale. Con questa visita, gli Este iniziavano a riannodare i rapporti con la Signoria veneta. Due anni dopo l'E. si mise nuovamente in viaggio con il duca, che si recava a sciogliere un voto a San Giacomo di Compostella.
Sembra tuttavia che questo pio pellegrinaggio fosse un semplice pretesto. In realtà Ercole avrebbe inteso fermarsi alla corte del re di Francia, dove intendeva sollecitare aiuto per il recupero del Polesine, che era stato costretto a cedere ai Veneziani. Il viaggio, ad ogni modo, si interruppe a Milano per un intervento del papa, d'intesa con le potenze italiche.
In questi anni l'E. rappresentò più volte il duca nelle cerimonie ufficiali, e soprattutto nel sontuosi ricevimenti riservati agli ospiti forestieri giunti in città nel quadro delle fitte relazioni con le potenze estere che consentiva al Ducato estense di inserirsi attivamente nel gioco diplomatico del tempo. Nel 1490 dette in moglie una sua figlia naturale - natagli da una relazione con Bianca Mezzaprili, che fu poi moglie di un certo Francesco Petrati - a Febo Gonzaga, dei signori di Sabbioneta. Nel 1495 l'E. ebbe in dono dal duca Ercole un palazzo in Ferrara. Nel 1497 era infermo a causa della gotta, ma due anni dopo la sua salute era migliorata, tanto che poteva partecipare come "maestro di campo" a un torneo alla sbarra.
L'E. morì l'8 apr. 1502, verosimilmente a Ferrara.
Stranamente i cronisti ferraresi coevi, di solito attenti agli avvenimenti ed alle cerimonie pubbliche, non registrano la morte dell'E. e le sue esequie. Questo silenzio può forse spiegarsi col fatto che l'E. era ormai vecchio e dimenticato, estraneo alle nuove personalità che animavano allora la corte ferrarese. Pochi mesi prima Lucrezia Borgia, giunta a Ferrara per il matrimonio con Alfonso, aveva preso alloggio proprio nel palazzo dell'E. in Borgo S. Luca: i festeggiamenti sontuosi seguiti alle nozze oscurano in questi mesi ogni altra notizia.
L'E., che non si era sposato, lasciò, oltre alla figlia già ricordata, anche tre figli maschi: Agostino, Borso e Francesco Maria.
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